L’archivio del tag «libri»

Voluto e ottenuto

Venivo bombardato dalle notizie sui tentativi italiani di far estradare Cesare Battisiti ormai da molti anni, da quando è iniziato il mio rapporto stretto con l’Italia. Più mi informavo sulla sua figura e più mi era antipatico, lo è anche ora. Ma, dato che a differenza dei miei primi amici e conoscenti italiani non voleva proprio scomparire dall’orizzonte informativo, avevo iniziato a seguire il suo rapporto con la giustizia italiana come una specie di partita sportiva. Vista la lontananza nel tempo dei fatti per i quali era stato condannato, non escludo che pure molti giovani italiani lo possano osservare in un modo simile. In ogni caso, io, a differenza degli italiani, ho più probabilità di rimanere uno spettatore emotivamente imparziale.
Ecco, ora che la suddetta gara è finita, posso sperare che qualcuno trovi la forza (e una certa libertà intellettuale dagli schemi preimpostati) di dirmi: in qualità di scrittore Cesare Battisiti merita la mia attenzione oppure no? Avendo poco tempo per la letteratura non tecnica, preferirei di non sperimentare su un campo così pericoloso.


I mondi tra i libri

Relativamente alle mie librerie ormai da anni sono costretto ad affrontare almeno una delle seguenti questioni:
1. Come ingrandirle,
2. Come infilare dentro un libro in più.
Fino a pochi giorni fa ho affrontato felicemente e con un certo successo entrambe le questioni, rischiando gravemente di essere nominato al Nobel per la fisica. Nonostante il fatto che almeno la metà dei libri che leggo sia ormai in formato digitale (lunga vita al mio Kindle!), non penso di smettere ad amare pure quelli analogici.
Ma ecco che pochi giorni fa ho scoperto di poter affrontare anche una terza questione che riguarda le librerie. È possibile anche abbellirle senza ostacolare l’accesso ai libri stessi!

Beh, con la scusa di dover rafforzare la struttura si può anche fare…

Ma senza esagerare. Andrebbe benissimo solo uno tra i pezzi esistenti (se compatibile con le proporzioni della libreria).


Il ritorno dei libri lunghi

Nel nostro mondo esistono molte cose delle si potrebbe (e si dovrebbe) parlare e scrivere senza un motivo formale: solo perché esistono. Tra queste cose vi è anche la cultura; se andiamo più nello specifico, vi è anche la letteratura.
Ma, per fortuna o purtroppo, sono alcune date importanti a ricordarmi di scrivere di alcuni argomenti. Ieri, per esempio, Lev Tolstoj avrebbe compiuto 190 anni. Ed io approfitto di tale data per consigliarvi — senza fare alcuna sorpresa — il suo romanzo già più noto in Europa: «Guerra e pace». Anticipando la possibile reazione (anche quella espressa mentalmente) dei miei lettori, aggiungo anche una mia considerazione che finalmente — dopo anni di tentativi — sono riuscito a formulare in un modo relativamente comprensibile.
Sul nostro pianeta sono sempre esistite moltissime persone incapaci di comprendere un testo scritto più lungo del contenuto di un «balloon». Quelle persone, nel migliore dei casi, non hanno mai letto un libro dai tempi degli studi scolatici. Tale triste fatto non significa, però, che quelle persone siano rimaste totalmente fuori dalla vita culturale: in varie epoche hanno avuto l’accesso ai combattimenti dei gladiatori, alle rappresentazioni degli artisti di strada, cabaret, cinema etc. Oggi hanno l’accesso alla televisione e al suo sostituto online (cioè il segmento dal punto di vista educativo meno sensato dell’internet). Grazie alla accessibilità pressoché totale della televisione e dell’internet, verso questi ultimi sono definitivamente migrate anche tutte (o quasi tutte) quelle persone che fino a pochi anni fa cercavano nella letteratura esclusivamente il divertimento.
Di conseguenza, la letteratura ritrova, dopo svariati secoli, la possibilità di tornare a orientarsi ai lettori di qualità. Ai lettori capaci di comprendere un testo lungo e non leggero. Volendo, potete chiedere la conferma a un qualsiasi scrittore contemporaneo: al giorno d’oggi è molto più facile pubblicare un romanzo che, per esempio, una raccolta di racconti. Gli editori si stanno adeguando al nuovo contesto!
Mi adeguo pure io. E vi consiglio ancora il romanzo «Guerra e Pace» di Lev Tolstoj. Lo faccio perché spero che i mei lettori appartengano, alla categoria dei lettori. Secondo l’idea iniziale dell’autore, «Guerra e Pace» doveva essere la parte introduttiva di un ciclo di romanzi, una introduzione utile alla comprensione dei motivi che spinsero i cosiddetti decabristi alla loro azione politica. Purtroppo, però, con l’avanzare dell’età Lev Tolstoj rimase affetto dal morbo della religiosità, lasciando dunque da parte la realizzazione della sua idea grandiosa. Ma noi, per fortuna, ne possiamo apprezzare almeno la parte iniziale.
In conclusione, vi invito a controllare bene l’edizione del romanzo che eventualmente andrete a comprare in libreria. Il romanzo, infatti, contiene delle considerevoli parti del testo in francese (come per tutti gli altri intellettuali russi dell’epoca, anche per Lev Tolstoj la lingua francese era naturale quanto quella russa), dunque accertatevi che siano presenti le note con le traduzioni. Tale avvertimento, ovviamente, non vale per le persone che leggono tranquillamente in francese: più si è vicini all’originale, meglio è.


Una lettura estiva

Si avvicina un periodo in cui molte persone vanno (o si preparano a farlo) in vacanza. Di conseguenza, è il momento giusto per consigliare un libro grande e bello: «Everything was Forever, Until it was No More: The Last Soviet Generation» di Alexei Yurchak.
Questo libro è un tentativo di spiegare perché lo Stato sovietico, apparentemente così solido e «immortale», di fatto si polverizzò in pochi giorni d’agosto del 1991. Direi che si tratta di uno dei tentativi migliori che mi sia capitato di leggere. Non è una lettura facile. È un testo scientifico serio, un mix tra scienza politica, filosofia, sociologia e psicologia. Ma dopo averlo letto capirete molte cose dell’URSS e, probabilmente, della Russia post-sovietica.

Per tutti coloro che si specializzano nello studio della Russia si tratta di un libro consigliato con una forza che lo rende obbligatorio.


Richard Pipes

Con un po’ di ritardo ho saputo della morte dello storico statunitense Richard Pipes.
Molto probabilmente lo conoscevate già, ma io sfrutto comunque la triste occasione per consigliarvi uno dei suoi libri più noti e interessanti sulla Russia: «Russia Under the Old Regime». Il libro ricostruisce la storia russa dai tempi di antichità fino agli anni ’80 del XIX secolo ed è, nonostante un approccio non strettamente scientifico, una fonte utilissima per comprendere anche la Russia contemporanea.
Non ho letto tutte le opere di Richard Pipes, ma posso comunque assicurarvi che è stato un autore di altissima qualità.


Tom Wolfe

Ho appena appreso della morte dello scrittore Tom Wolfe… E devo ammettere che si tratta di una non rara occasione in cui il mio primo pensiero è stato «non pensavo che fosse ancora vivo».
Nonostante una certa dimenticanza (almeno nei limiti del mio campo visivo nella vita culturale/sociale statunitense contemporanea), non smetto di essere grato a Wolfe. Il suo romanzo «The Electric Kool-Aid Acid Test», letto circa vent’anni fa, mi ha fatto abituare anche alla letteratura non tradizionale. Il che comportò, a sua volta, ulteriori benefici culturali.

Ah, direi che almeno il libro appena citato può essere consigliato a tutti i miei lettori.


La criminologia storica

Ieri pomeriggio avevo notato una certa quantità di repost della notizia sul ritrovamento di una fossa comune di oltre quattrocento bambini in Scozia. Penso che per la maggioranza delle persone si tratti di un evento eccezionale se non singolare. Male, molto male. La conoscenza della Storia in generale e della storia giudiziaria in particolare aiutano tanto a non rimanere sorpresi di fronte alle cose in realtà banalissime (purtroppo banalissime).
Come è indicato in tutti gli articoli sul caso in questione che mi è capitato di leggere, tutti i bambini sarebbero morti tra il 1864 e il 1981. I primi 37 anni di quel periodo coincidono dunque con l’età vittoriana, cioè quella epoca nel corso della quale nel Regno Unito nasce la cosiddetta attività di baby-farming. Troverete tanti dettagli al link, mentre io sottolineo gli aspetti più interessanti in questo momento. Tante madri che rifiutando i propri neonati o comunque figli piccoli, avevano la possibilità di affidarli alle baby-farm gestite solitamente dai privati/famiglie, ma anche da altre «formazioni sociali». L’obiettivo dichiarato delle baby-farm era quella di trovare una nuova sistemazione permanente per i bambini abbandonati. In cambio del proprio lavoro prendevano una somma settimanale oppure una importante somma «una tantum»: in entrambi i casi quei soldi servivano anche per il mantenimento dei bambini.
I lettori potrebbero chiedere: perché le madri non potevano o non volevano occuparsi direttamente del destino dei propri figli non voluti? Non lo potevano fare a causa di una doppia morale ipocrita che ha caratterizzato praticamente tutta l’epoca vittoriana: infatti, i valori protestanti convivevano con, per esempio, con le case di lavoro, forti disparità nelle famiglie e una totale tolleranza della prostituzione (quasi la metà di Londra fu di fatto composta di case chiuse più o meno legali/professionali). Così, più in concreto, rimaneva in vigore «Poor Law Amendment Act» del 1834, uno dei punti del quale vietava alle madri non sposate chiedere gli alimenti ai padri dei loro figli. Attraverso tale norma si sperava di raggiungere tre obbiettivi: 1) escludere ogni possibilità di estorsione da parte delle donne (gli uomini non avevano ancora i mezzi scientifici per dimostrare la propria non-paternità); 2) stimolare i matrimoni formali e legali; 3) non moltiplicare il parassitismo delle donne povere perennemente incinte a spese degli uomini costretti a mantenerle. Nella vita reale, naturalmente, le donne furono costrette a scegliere tra l’aborto clandestino, l’abbandono del neonato o il ricorso al baby-farming. La terza scelta fu economicamente la più sensibile ma anche la più umana: permise a tante madri di sperare nella sopravvivenza e in un futuro non troppo grigio dei propri figli. La situazione fu aggravata da una formale disapprovazione delle madri sole: non ebbero la possibilità di trovare un lavoro fuori dalle case di lavoro (previste dallo stesso Atto) o ottenere aiuti.
Di conseguenza, il baby-farming fu un fenomeno molto richiesto dalle donne del Regno Unito dell’epoca. Molto richiesto e, allo stesso tempo, esercitato dalle persone con una concezione di onestà non omogenea. Alcune di esse svolsero la propria attività in modo responsabile, cercando e spesso trovando delle nuove famiglie per i bambini affidati a loro. Altri operatori del baby-farming, invece, si comportarono in un modo che avreste già potuto ipotizzare da voi: prendendo la somma totale per il mantenimento del bambino per liberarsi dell’assistito (uccidendolo, non curandolo se malato o lasciandolo morire di fame – all’epoca fu facile mettersi d’accordo con gli ispettori). Prendendo «in gestione» tanti bambini si raccoglieva, col tempo, un buon capitale. Proprio a uno dei casi più rilevanti di tale comportamento criminale è dedicato il libro che potrei consigliarvi:
Alison Rattle, Allison Vale, «Amelia Dyer: Angel Maker: The Woman Who Murdered Babies for Money», Andre Deutsch, 2007
Non so se nell’orfanotrofio scozzese, dalla storia del quale siamo partiti, sia mai stata utilizzata la stessa logica commerciale o, nel corso del XX secolo, una qualche sua forma modernizzata (in realtà non voglio finire sotto processo). Vi solo accennato della prassi storica che ricopre una parte del periodo al quale appartengono i corpi ritrovati.


AppleBook

Oggi in Europa esce un libro della Apple: «Designed by Apple in California». Nel libro sono raccolte le fotografie dei 450 prodotti della Apple realizzati nel periodo tra il 1998 e il 2015. A quanto pare, nel libro non c’è alcun testo tranne il titolo e la prefazione di Jonathan Ive (Chief Design Officer della Apple).

Il formato piccolo (26×32 cm) costa 199 dollari.

Il formato grande (33×41 cm) costa 299 dollari.

Tra il brevetto sulla borsa di carta e questo libro non so quale sia l’innovazione più interessante.

Come potete immaginare, il libro è in vendita nelle migliori librerie della Apple.


195 anni di Fëdor Dostoevskij

Oggi è il 195-esimo anniversario della nascita di Fëdor Dostoevskij. Nonostante lo status mondiale del Grande Classico riconosciuto al festeggiato, non ho l’intenzione di fingere un grande amore verso il patrimonio letterario che egli ci lasciò. Allo stesso tempo, non ho l’intenzione di apparire un critico letterario. Sono un lettore, e questa è la cosa fondamentale perché gli scrittori scrivono per i lettori e non per i critici (o scienziati della letteratura, cioè un’altra categoria di parassiti librari).
Quindi mi limito a consigliarvi, proprio oggi, l’unico romanzo di Fëdor Dostoevskij che merita realmente di essere letto: «L’idiota». Si tratta di una opera anomala dell’autore in quanto è l’unica che a) tratta una pluralità di caratteri diversi, b) racconta della vita dei personaggi che anche oggi ci circondano nella vita quotidiana.
Insomma, fortemente consigliato.


Politica vaticana

Constatiamo per l’ennesima volta che l’assegnazione del Nobel per la Pace e la beatificazione hanno per destinatari, principalmente, delle persone di qualità piuttosto dubbie.

Ciò vale anche per Madre Teresa di Calcutta che per il suo operato sarebbe dovuta essere processata per i crimini contro l’umanità, ma ha avuto la fortuna di morire prima. A chi non conoscesse ancora i metodi e i risultati del suo operato, consiglio di leggere almeno il libro di Christopher Hitchens «La posizione della missionaria. Teoria e pratica di Madre Teresa».

Chi, invece, è già informato e dotato del pensiero critico, può farsi delle domande sulla reale posizione di Papa Francesco all’interno della Chiesa cattolica: come forse sapete, i gesuiti sono sempre stati contrari alla beatificazione di Madre Teresa.