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La data della Vittoria

Una persona attenta (o, se preferite, pignola) potrebbe chiedersi sul perché in Russia e quasi tutta l’ex URSS la vittoria nella Seconda guerra mondiale si festeggi il 9 maggio invece che l’8 (come si usa in Europa). Penso che oggi sia il giorno giusto per spiegare questo fenomeno.

Andiamo in ordine cronologico. Il 7 maggio 1945 nella città francese Reims fu firmato l’atto di capitolazione delle forze armate tedesche.

Dall’atto furono previsti la cessazione dei combattimenti, la resa di tutti i militari tedeschi e il passaggio agli Alleati della coalizione vincente di tutti gli armamenti del Wehrmacht. Per la Germania firmò il colonnello-generale Alfred Jodl, mentre per gli alleati il generale statunitense Walter Bedell Smith e il maggior-generale sovietico Ivan Susloparov.

L’entrata in vigore dell’ordine di resa per le forze armate tedesche fu prevista per le ore 23:01 CET dell’8 maggio 1945. Subito dopo la firma della resa Henry Truman e Winston Churchill comunicarono ai propri concittadini la notizia ufficiale della fine della guerra. Ecco la reazione dei newyorkesi:

Iosif Stalin, però, si rifiutò di riconoscere la resa firmata a Reims e pretese che tutta la cerimonia venisse rifatta sul territorio tedesco occupato dalle forze dell’URSS. Inoltre, chiese l’annullamento dell’atto di resa appena firmato a Reims. La seconda richiesta fu fermamente declinata da Truman e Churchill perché le popolazioni dei loro Stati non avrebbero compreso il senso di tale sottile gioco politico. Avere due atti di resa è comunque meglio che averne uno. Quindi il testo di Reims con alcune modifiche apportate dalla parte sovietica fu firmato l’8 maggio a Karlshost (Berlino). Firmarono i generali Keitel e Stumpff e l’ammiraglio Friedeburg per la Germania, il maresciallo Arthur Tedder per gli Alleati occidentali e il maresciallo Zukov per l’URSS.

La data e l’ora della resa già stabiliti a Reims non furono modificate, quindi gli Alleati occidentali da sempre festeggiano la Vittoria l’8 maggio. Negli Stati del Commonwealth i festeggiamenti partirono già il 7 maggio 1945 dopo la diffusione delle prime notizie sulla firma di Jodl.

In URSS il primo comunicato ufficiale sulla resa firmata dalla Germania fu diffuso alle ore 02:10 del 9 maggio 1945. Di conseguenza, proprio il 9 maggio fu proclamato in URSS la Giornata della Vittoria. Dal 1947 al 1964 è stato un giorno lavorativo.


La caccia ai terroristi ucraini

In questi giorni vi è sicuramente capitato di leggere del presunto «gruppo diversivo ucraino» che avrebbe tentato di introdursi in Crimea per compiere degli atti terroristici. Si tratta di una «notizia» diffusa dalle istituzioni russe: pur essendo un comunicato che ha una scarsa credibilità anche agli occhi delle persone più ingenue, merita di essere commentato.

Prima di tutto bisogna sottolineare il fatto che la descrizione della «invasione» ha subito dei cambiamenti radicali nel corso di un tempo molto breve. Il gruppo ha attraversato il confine supportato dal fuoco della artiglieria (per attirare attenzione?), no, anzi, di nascosto. Il gruppo aveva un notevole carico di armi ed esplosivi, no, anzi, questi dovevano essere portati da un secondo gruppo non ancora arrivato. Il gruppo aveva l’obbiettivo di fare un attentato in una fabbrica (ops, appartiene a un oligarca ucraino), quindi no, voleva fare un attentato al passaggio delle auto istituzionali (ops, all’est ucraino occupato succede anche senza di loro), quindi no, volevano fare delle esplosioni sulle spiagge per compromettere la stagione turistica (ops, siamo già a metà agosto), quindi no… Etc, etc.. E, ovviamente, il gruppo non sapeva della massiccia presenza di militari e esponenti del FSB sulla penisola: triplo ahahahaha. Insomma, la storia è piena di dettagli mal progettati.

La spiegazione della comparsa di una notizia simile è molto semplice: le massime cariche istituzionali russe hanno inventato un modo di evitare il prolungamento delle sanzioni europee a partire dall’inizio del 2017. Come? Facendo passare l’Ucraina per uno Stato-terrorista, uno Stato che avrebbe delle sue grosse responsabilità nel fallimento di tutti gli accordi di pace presenti e futuri. Se non dovesse funzionare, se gli interessi della Russia in quella area geografica non dovessero dunque essere riconosciuti legittimi, allora all’inizio del 2017 si passerà alle azioni veramente forti. Ma non prima.


71 anni della Vittoria

Oggi in Russia (e in tante altre ex Repubbliche dell’URSS) si festeggia la Giornata della Vittoria. Sapevo di doverne dedicare un post. E per quest’anno ho pensato di fare una cosa meno formale del solito. Sicuramente avrò tante altre occasioni per scrivere qualcosa storicamente rilevante sui fatti della Seconda guerra mondiale.

Ad Aleksander Suvorov, uno dei più grandi condottieri della storia russa, viene attribuita la frase «una guerra non è finita finché non sepolto l’ultimo soldato». Io sono nato 38 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ma per me non finita finché non trovo un suo eroe. La descrizione di questa mia missione è alla fine del post, mentre prima vorrei presentarvi due persone.

Non si tratta di un testo sulla storia della guerra in senso tradizionale, quindi chi ha paura di deludersi può anche saltarlo.
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Eroina in punizione

Uno dei peggiori culti civili diffusi in Russia è quello della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Riconosco l’importanza dell’evento stesso della vittoria e di tutte le circostanze degli anni che la precedettero, ma la propaganda statale, a partire dal 1965, ha sempre insistito nel sostituire la relativa memoria storica con sole volgarità. Le celebrazioni del Giorno della Vittoria – 9 maggio – organizzate dallo Stato (o con una partecipazione anche minima dello Stato) si trasformano puntualmente in una forma di propaganda (interna, ma a volte pure sterna) corrispondente alle necessità politiche del momento. Prima o poi ne scriverò un testo serio e dettagliato.

Oggi, invece, volevo scrivere solo di un piccolo dettaglio. Come forse alcuni di voi sanno, tra il 1965 e il 1985 dodici città e una fortezza sovietiche vennero decorate con il titolo di «Città Eroina» per dei meriti particolari nella propria difesa. Queste città sono Leningrado (ora San pietroburgo), Odessa, Sebastopoli, Stalingrado (ora Volgograd), Kiev, Mosca, Kerc, Novorossijsk, Minsk, Tula, Murmansk e Smolensk. (Di Brest è stata decorata solo la fortezza perché la popolazione della città si schierò subito con i «liberatori» nazzisti, mentre la guarniggione della fortezza seppe di dover morire in ogni caso e preferì farlo combattendo). In tutti e tredici casi le battaglie furono realmente dure, lunghe, sanguinose e, in alcuni casi, ripette in più occasioni. Ma quasi tutta la guerra è stata così.

Sotto le mura del Cremlino moscovita, accanto al monumento dedicato al milite ignoto, è costruita una fila di «piedistalli» (non mi viene il termine tecnico) dedicati a tutte le Città Eroine. Ogni anno, con l’avvicinarsi della festa del 9 maggio, le Istituzioni cittadine e federali provvedono a porre dei fiori davanti al nome di ognuna di queste città. Quest’anno, però, i moscoviti si sono resi conto che il nome di Kiev è rimasto senza i tradizionali fiori.


Foto di Anton Belitskij.

La gente ha già apprezzato questa finezza politica e ha pensato di correggere l’incidente con le proprie mani. Voglio vedere se li lasciano fare in un luogo del genere…


Lo scambio dei condannati

Come forse sapete, ieri a Kiev sono stati condannati a 14 anni di reclusione due militari russi (Yevgeny Yerofeyev e Alexandr Alexandrov) per aver partecipato ai combattimenti contro l’esercito ucraino nel sud-est della Ucraina stessa. Come nei casi di tutti gli altri militari russi imprigionati, feriti, uccisi o semplicemente fotografati nell’area del conflitto, il Ministero della difesa russo ha da subito sostenuto che i due si sarebbero licenziati prima di andare a combattere in Ucraina.

Il fatto storicamente provato che la Russia ha sempre lasciato soli i propri militari finiti in difficoltà nel corso di una missione merita un testo serio a parte. Oggi volevo scrivere sul possibile scambio di militari fatti prigionieri e condannati dalle corti dei due Stati-parte del conflitto.

Yerofeyev e Alexandrov condannati in Ucraina, una volta finiti nelle mani degli ucraini, hanno ammesso di fare parte dell’esercito regolare. Ma, visto che il loro datore di lavoro nega tutto, formalmente avrebbero potuto essere processati per il terrorismo internazionale. Processati e condannati a una pena ben più grave.

Nadezhda Savchenko, al momento del suo rapimento, era una militare ucraina: non lo nega lei e non lo nega lo Stato ucraino. Quindi Savchenko è stata condannata a 22 anni di reclusione per avere combattuto contro gli invasori. Processata e condannata dagli invasori stessi. Si trova qualcosa di simile nella storia militare?

Ora il presidente ucraino Poroshenko propone di fare uno scambio: Yerofeyev e Alexandrov per Savchenko. Tale proposta fa ridere per due motivi. Prima di tutto, nessuno dei dirigenti dello Stato ucraino è realmente interessato, in questo periodo storico, a rivedere la Savchenko in patria. La sua popolarità (l’immagine della ucraina) è troppo facilmente convertibile in un consistente capitale politico. Non è detto che sia in grado di convertirla lei, ma ci sono dei partiti pronti ad aiutarla nella traballante situazione politica ucraina. Mi riferisco, in particolare, al partito della miracolosamente risorta Yulia Timoshenko.

Il secondo motivo è l’interesse dei dirigenti dello Stato russo verso i propri cittadini. Come ho scritto poco prima, un semplice militare non ha alcun valore e può essere lasciato dove sta per l’eternità. Un commerciante di armi (Viktor Bout) o un trafficante-grossista di droga (Konstantin Yaroshenko), essendo evidentemente legati a più personaggi di spessore russi, hanno invece un valore altissimo. In più, il presidente Putin trova molto più interessante trattare con l’Occidente che con il governatore di un territorio «storicamente russo». Un territorio che per uno spiacevole equivoco si chiama, per ora, Ucraina.

L’interesse mediatico e politico verso la sorte della Savchenko fa comunque da garanzia di un suo ritorno in patria prima dell’esaurimento della pena.


Oggi vi spiego in poche parole il riaccendersi del conflitto sul controllo di Nagorno-Karabakh.

Quando i prezzi del petrolio crollano e non vogliono proprio rialzarsi, ogni petrocrazia inizia a sentire, prima o poi, il bisogno di una piccola guerra vittoriosa. Una guerra finalizzata alla riappropriazione dei «territori storici sottratti ingiustamente». Una guerra che appare molto utile per risolvere i problemi politici interni del governante, di distrarre i cittadini dagli emersi problemi economici. Provate a ricordarvi voi qualche esempio recente.

Ricordatevi, poi, che già domenica, dopo tre giorni di scontri, il presidente di Azerbaijan Ilham Aliyev ha dichiarato di avere vinto la guerra. Come nei precedenti ai quali mi riferivo io, il reale risultato è poco chiaro e non ha alcuna importanza.

Certo, una telefonata da Mosca a Baku avrebbe potuto fermare la guerra già nelle prime ore, ma non avrebbe risolto i problemi di Aliyev di cui sopra. In più, Azerbaijan e Armenia, se ho capito bene, sono destinatari di circa 5% dell’export degli armamenti russi.


Nadezhda Savchenko

Oggi i giudici hanno concluso la lettura pubblica della sentenza con la quale Nadezhda Savchenko è stata condannata a 22 anni di reclusione (poco più di 20 ancora da scontare). Nonostante l’assurdità della accusa e l’indicativa profanazione totale del processo penale russo, continuo a non capire perché il caso debba interessare l’opinione pubblica al di fuori dalla Russia e Ucraina.

E’ naturale che il fatto sia diventato un argomento discusso nella politica interna dei due Stati. Grazie, in parte, all’impegno di uno dei tre avvocati è diventato uno dei pochi temi della politica estera nella campagna elettorale statunitense. In quest’ultimo caso si tratta però più del ricorso a uno strumento estremo per salvare l’assistita in tempi brevi, salvarla possibilmente anche in senso fisico.

Non vedo però la ragione per parlare in questa sede di questa ennesima follia giudiziaria russa. Essa, come tante altre degli ultimi quindici anni, fa parte della politica interna. Cosa ne può fregare ai miei lettori?


Ritirandosi non si risparmia

Relativamente al ritiro delle truppe russe dalla Siria in tanti hanno pensato, logicamente, alle positive conseguenze di tale mossa per lo Stato russo. In assenza di dati ufficiali, è calcolato dagli esperti del settore militare che un giorno di guerra in Siria costa alla Russia circa 2,5 milioni di dollari.

Mi sento però in dovere di dare una grande delusione a chi ci tiene tanto ai soldi dei contribuenti russi. Le missioni militari all’estero come quella in questione hanno una incidenza minima sulle spese dello Stato. Le principali quote di risorse destinate al Ministero della Difesa, infatti, in tempo di pace vengono spese per la produzione del nuovo materiale bellico e le esercitazioni dei militari.

La produzione di un aereo militare (giusto per fare un esempio) dura alcuni anni. Una volta prodotto, l’aereo militare inizia a invecchiare con la velocità del pensiero di un ingegnere aerospaziale, quindi diventa presto obsoleto: va modernizzato o sostituito con uno più vicino alle tendenze generali del settore. Lo stesso vale per le bombe portate dall’aereo in questione. I piloti, poi, devono fare continue esercitazioni: pure questo comporta una serie di spese.

Insomma, la maggior parte delle risorse materiali impegnate nella missione siriana è stata in realtà spesa nei decenni precedenti. L’unica vera spesa aggiuntiva è rappresentata dagli stipendi dei militari. Questi ultimi non fanno più le esercitazioni, ma combattono, prendendo circa 200 mila rubli al mese (poco più di 2500 euro) per la missione all’estero. Considerate, però, che il budget militare della Russia per il 2015 è stato di 3 trilioni e 300 miliardi di rubli.

Direi che le motivazioni economiche del ritiro non meritino tanta attenzione.


Missione compiuta. Quale?

Un politologo intelligente russo (di quelli intelligenti ce ne sono pochi in tutto il mondo), Stanislav Belkovsky, sostiene da anni che Vladimir Putin è un tattico e non un stratega. Di conseguenza, il presidente russo può permettersi di svegliarsi una mattina (nel suo caso sempre tarda) e decidere, senza un apparente motivo, che gli «obbiettivi fissati per la missione in Siria sono stati raggiunti». Raggiunti in meno di sei mesi?

Pur essendo infinitamente contento per il ritiro delle truppe russe, continuo a non capire le motivazioni del loro invio in Siria. Il ministro della Difesa russo, per esempio, ha dichiarato oggi che nel corso della missione sono stati distrutti più di due mila «delinquenti» provenienti dalla Russia, di cui 17 leader di bande. Si tratterebbe di un risultato eccezionale dei famosi bombardamenti fatti a canine penis.

La spiegazione più razionale del ritiro delle truppe che posso inventarmi per ora è l’offesa di Putin per la recente intervista di Obama. Lo so che una persona not completely stupid non si offende così facilmente e/o vistosamente, ma non diventa nemmeno l’oggetto di determinate dichiarazioni/definizioni.

In chiusura del presente post vi do una piccola informazione storica. Nell’URSS esisteva un metodo facile di riempire di spettatori tutte quelle manifestazioni patriottiche e ideologiche che la gente non visitava per l’iniziativa propria: si mandavano i militari, cioè i dipendenti pubblici meno liberi di decidere sul proprio tempo libero. Ecco: due anni fa la Russia ha ottenuto una località turistica quotata pochissimo tra le persone libere di scegliere. Chi potrà dare a loro un giusto esempio? E chi potrà allargare quella località turistica in caso di arrivo di decine di milioni di turisti?


Scatola cinese

Venerdì 18 dicembre a Mosca è stata aperta la scatola near dell’aereo russo abbattuto dalla Turchia.

L’apertura è avvenuta in diretta televisiva, la procedura è stata ripresa da 4 telecamere.

Il risultato è stato sorprendente. Prima di tutto guardate questo fotogramma:

E ora vi faccio una breve spiegazione tecnica.

Prima di tutto, bisogna specificare che le scatole nere degli aerei possono registrare le informazioni in tantissimi modi. Quelli più diffusi in passato scrivevano su fili metallici, nastri magnetici o le pellicole fotografiche. Oggi, invece, funzionano un po’ come le nostre chiavette USB: all’interno hanno un hardware simile che funziona sulle schede della stessa tipologia.

Secondo: come potete vedere, le schede si sono spezzate. Più o meno lo stesso succederebbe alla vostra chiavetta USB chiusa in un barattolo metallico e buttata giù da diecimila metri. Lo succederebbe, essenzialmente, per tre motivi contemporaneamente: 1) le schede sono sottili e fragili; 2) le schede sono fissati in pochi punti; 3) all’interno della chiavetta c’è troppo spazio vuoto che permette alle schede di sbattersi una infinità di volte durante la caduta.

Terzo: è facilmente visibile che per la scatola nera sono state utilizzate le schede e il telaio che normalmente si utilizzano per gli elettrodomestici di casa. Saranno stati comprati direttamente in Cina o su qualche negozio online?

Quarto: una volta tutta elettronica di bordo degli aerei russi (e sovietici) era pesante, tecnicamente obsoleta e costosa. Allo stesso tempo, però, era difficile da rompere perché (ma non solo) tutti gli spazi vuoti tra le componenti e le pareti interne delle singole «scatole» erano riempiti con una materia simile al silicone. Di conseguenza, ogni pezzo era ben protetto dagli urti dovuti alle cadute.

Quinto: le schede (flash) di memoria danneggiate in quel modo non sono altro che spazzatura. E’ impossibile recuperare alcuna informazione da esse.

Conclusione: la televisione di Stato russa ha svelato in diretta uno dei più grandi segreti militari. Tale segreto consiste nel fatto che in Russia non sanno produrre (e nemmeno montare in modo sicuro) l’elettronica aerospaziale.

Un grande saluto a tutti coloro che considerano la Russia una Grande Potenza.

Preciso subito che io non sto ridendo per le figuracce della Russia e non voglio essere cittadino di una grande potenza. Io voglio essere cittadino di uno Stato normale nel quale, semplicemente, funziona tutto.

P.S.: i più curiosi possono vedere il video della apertura della scatola nera di cui sopra:
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