Ci sono dei momenti in cui inizio a dispiacermi anche per la triste sorte dei futuri studenti delle scuole (o delle Facoltà universitarie dove si studia la storia). Per esempio, quando immagino lo studio di quel pezzo del manuale di storia nel quale verrà descritta l’annessione dei nuovi territori ucraini da parte della Russia putiniana. Infatti, la cronologia dei fatti sarebbe questa:
– alla fine di maggio del 2022 l’esercito russo conquista un altro pezzo del Donbass, compresa la città ucraina di Lyman;
– il 30 settembre 2022 Vladimir Putin e i capi delle repubbliche autoproclamate del Donbass e delle amministrazioni occupanti delle regioni ucraine firmano, al Cremlino, i «documenti» sulla «entrata delle repubbliche nella Federazione Russa»: i «documenti» parlano della realizzazione del diritto alla autodeterminazione dei «popoli» di quelle regioni ucraine;
– il 1° ottobre 2022 l’esercito ucraino libera la città di Lyman;
– il 2 ottobre 2022 la Corte costituzionale russa ha ritenuto legittima l’annessione dei territori ucraini, motivando il proprio giudizio con un mini-trattato storico-politico-sociale (giudizio mio: un trattato di qualità ehm… molto dubbia);
– il 3 ottobre 2022 la Camera bassa del «parlamento» russo (la Duma) ratifica i «documenti» del 30 settembre con 413 voti a favore dei 408 deputati presenti (rileggete bene, non ho sbagliato);
– nessuno si accorge che sarebbe stato annesso anche un territorio non controllato più nemmeno dall’esercito russo;
– gli stessi «documenti» vengono ratificati all’unanimità anche dalla Camera alta del «parlamento» russo (il Consiglio federale);
– l’unico Stato a riconoscere i nuovi territori come parte della Russia è l’autorevolissima Corea del Nord.
Non se serva una continuazione – il cervello di una persona normale potrebbe esplodere già dopo i pochi punti appena elencati –, ma, purtroppo, potrebbe arrivare…
L’archivio del tag «guerra»
Il venerdì 30 settembre il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato di avere firmato una richiesta di adesione accelerata alla NATO. («Accelerata» significa aggirando il cosiddetto Piano d’azione per l’adesione alla NATO preparato individualmente per ogni potenziale candidato). Per il momento provo a essere diplomatico e dico di non sapere se la presentazione di tale richiesta possa avere degli effetti sperati. Tanto, volevo scrivere di altro.
La domenica 2 ottobre i presidenti di Montenegro, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Macedonia del Nord, Polonia, Romania e Slovacchia hanno affermato – nella loro dichiarazione comune – il sostegno alla adesione dell’Ucraina alla NATO. Il documento è pubblicato sul sito della presidenza polacca.
Ecco, la lista degli Stati con la reazione così veloce e netta mi sembra molto logica e prevedibile: è composta dagli Stati che si sentono più in pericolo a causa della vicinanza geografica con la Russia; si sentono in pericolo nonostante il fatto che l’esercito russo si sia dimostrato infinitamente meno forte di quanto si pensasse fino a poco più di sette mesi fa. Sperano dunque che una presenza maggiore della NATO nella regione possa aumentare la loro sicurezza. Anche se capiscono che alla guida della Russia c’è un personaggio per nulla razionale, sempre meno razionale, capace di colpire in qualche pure la NATO. Allo stesso momento, non so se capiscono che Zelensky – il presidente di uno Stato lontano e non enorme – sta costringendo la NATO in generale e gli USA in particolare a prendere (e manifestare) finalmente una decisione circa la partecipazione diretta nella guerra in corso. Biden e Stoltenberg non saranno felicissimi di questo fatto…
Ma ancora meno sarà felice Putin, qualora dovesse scoprire di contare – agli occhi dei leader occidentali – meno di Zelensky. Sarà il colpo finale per il suo stato mentale (che ormai non mi azzardo a definire con il termine «salute»). Spero che le persone che prendono le decisioni non se ne preoccupino più di tanto.
A qualcuno il video di oggi potrebbe sembrare non particolarmente informativo e/o interessante. Mentre in realtà mostra quell’esatto momento in cui Putin ha definitivamente chiuso a sé stesso ogni strada di uscita da questa guerra. Vi sembrava che lo avesse fatto già tempo fa? Come al solito, ha saputo fare la mossa peggiore del peggio concepibile dalla mente umana.
In sostanza, con la firma dei «documenti» sulla annessione dei territori ucraini – il video contiene proprio il processo della firma – ha dichiarato ufficialmente e per sempre i reali obbiettivi della guerra in Ucraina. E, ovviamente, ha definitivamente reso impossibile l’interruzione della guerra tramite una trattativa con l’Ucraina: da ora in poi, o tratta la resa lui o tratta la resa l’Ucraina (la seconda opzione mi sembra impossibile perché l’Ucraina viene in qualche modo appoggiata da quasi tutto il mondo sviluppato, mentre il regime putiniano no).
P.S.: fino a qualche mese fa non pensavo di scendere a questi livelli, ma ora lo scrivo: il muso di quella creatura non sembra proprio appartenere a un essere mentalmente sano.
Non so se tutti hanno già letto la interessante (e in una certa misura pure curiosa) intervista del comandante in capo delle Forze armate ucraine Valerii Zaluzhnyi alla rivista Time.
Naturalmente, per ora non bisogna aspettare – dalle interviste del genere – delle rivelazioni tecniche su molti aspetti della guerra in corso (potrebbero rivelarsi utili non solo ai lettori civili), ma il testo mi è sembrato comunque molto bello.
Negli ultimi due giorni mi è capitato più di una volta di leggere una osservazione che, molto probabilmente, ai tempi normali avrebbe potuto sembrarmi solo un classico esempio di «dietrologia». Ma i tempi di adesso non sono normali, dunque prendiamola pure in considerazione.
Guardiamo la mappa dei gasdotti russi indirizzati verso l’Occidente e prestiamo una attenzione particolare che attraversano l’Ucraina. Come ben sapete, al giorno d’oggi sono gli unici a fornire il gas russo all’Europa.
Come potete vedere, i due gasdotti principali che partono dal territorio russo passano a nord e a sud della città di Kharkiv, dunque nella zone dove l’esercito ucraino sta riconquistando con una buona velocità i territori occupati dall’esercito russo.
Ma se ora qualcuno – sentendosi forte con la mobilitazione dei civili – dovesse tentare di organizzare una nuova offensiva russa proprio lungo il percorso del tubo, quel qualcuno potrebbe sperare l’Occidente chieda all’Ucraina di difendersi con molta cura, senza danneggiare il tubo. Difendersi senza «sparare» nulla di particolarmente potente a bersagli vicini al tubo del gas…
Quanto appena scritto è un altro argomento da aggiungere alla raccolta di considerazioni su chi avrebbe voluto far saltare i gasdotti del Baltico. Qualora l’ipotesi dovesse essere vera, provate a immaginare i suoi costi (anche in termini delle entrate economiche mancate) e i potenziali rischi dell’insuccesso.
Come ben sapete, la notte tra il 25 e il 26 settembre sui gasdotti «Nord Stream 1» e «Nord Stream 2» nel Mar Baltico sono state registrate le strane perdite simultanee. Le indagini sono ancora in corso, ma tutti gli indizi disponibili indicherebbero un intervento dall’esterno: in sostanza, un sabotaggio. I probabili autori del danno, secondo alcuni, potrebbero essere la Russia e l’Ucraina.
A questo punto potremmo provare a ragionare e chiederci: a chi dei due conviene?
Alla Ucraina – che si sta difendendo da una invasione militare – conviene inviare dei sabotatori in un mare lontano per danneggiare due gasdotti non funzionanti del nemico? Conviene farlo mentre sul suo stesso territorio continua a funzionare un gasdotto russo indirizzato verso l’Europa?
Alla Russia – che spera di costringere l’Europa ad abolire le sanzioni e, allo stesso tempo, comprare le materie prime a condizioni russe – conviene danneggiare i propri gasdotti costati decine di miliardi di euro?
Apparentemente, in entrambi i casi la risposta sarebbe uguale: no. Anche se, per esempio, alla Ucraina potrebbe convenire essere l’unico territorio di transito del gas russo, mentre alla Russia potrebbe convenire avere una accusa in più contro il «regime di persone cattive» ucraine.
Purtroppo, decenni di osservazioni mi hanno insegnato due cose. Prima di tutto, vedo che Putin sa solo distruggere. Dall’inizio di questa guerra lo avrete visto anche voi: per realizzare le proprie fantasie perverse, con la tenacia di un maniaco Putin sta distruggendo non solo l’Ucraina, ma pure la Russia. Sta distruggendo la sua economia, scienza e cultura. Sta distruggendo le vite di centinaia di migliaia di persone. In questo contesto i due gasdotti sembrano quasi degli spiccioli. In secondo luogo, Putin segue da anni la logica «africana»: intervenire con durezza all’interno della Russia per intimorire (o apparire un duro) all’esterno: lo si è visto all’inizio del secolo negli interventi contro i terroristi islamici-caucasici, lo si è visto quest’anno durante la guerra in Ucraina.
Insomma, mi sembra infinitamente più probabile che i gasdotti siano stati danneggiati su ordine del Cremlino. Ma ancora una volta è stata una scelta incomprensibile per noi, per le persone razionali. Possiamo solo aspettare quale strana spiegazione inventino, prima o poi.
Continuo a ritenere importante comunicare al mondo che la Russia è piena di gente contraria alla guerra. Molte di queste persone sono disposte ad affrontare dei rischi abbastanza seri.
Allo stesso tempo, vedo che in Occidente esistono ancora delle persone ingenue che continuano a chiedere perché i russi non manifestino la propria contrarietà in piazza.
Quindi con il video domenicale di oggi commento entrambe le affermazioni riportate sopra. Si tratta di una prima raccolta delle immagini (video e alcune foto) riprese in alcune grandi città russe il 21 settembre, dopo il discorso di Putin sulla mobilitazione militare.
Sì, queste sono le manifestazioni contro la guerra e contro la mobilitazione.
Giusto per cambiare un po’ l’argomento, questo sabato vi segnalo una lettura sulle attese del Cremlino (comunemente noto con il cognome Putin) circa i «risultati» dei «referendum» che si stanno «svolgendo» dal 23 al 27 settembre nei territori ucraini occupati dall’esercito russo.
Per qualche strano motivo Putin è convinto di avere diritto a «difendere» quei territori come se fossero russi solo e necessariamente dopo una formalità legale. E non importa che quella formalità non sia riconosciuta da alcun altro Stato (o organizzazione) del mondo. Certo, alcuni osservatori russi stanno dicendo da anni che Putin sia un classico legalista (lo è anche quando inventa, da un giorno all’altro, delle leggi a lui favorevoli), ma ora questa sua caratteristica sta assumendo una forma veramente ridicola.
Ci sono degli aspetti della mobilitazione militare proclamata da Putin che difficilmente verranno raccontati in breve dai mass media. Per esempio: in un solo giorno Putin ha raggiunto il grandissimo risultato di far sentire, alle grandi masse dei cittadini russi, questa guerra come una guerra propria. Sentirsi direttamente coinvolti, toccati dalla guerra. Infatti, grazie alla propaganda interna numerose persone erano – fino al 20 settembre – favorevoli o indifferenti all’intervento militare in Ucraina, ma hanno immediatamente cambiato idea dopo avere compreso che la mobilitazione riguarda loro parenti, amici, colleghi e, ovviamente, loro stessi. Di conseguenza, dalle conversazioni private e dai post sui social sono miracolosamente spariti i vari «non mi interesso di politica» o «tra poco liberiamo il pianeta dal male ucraino» (parole non mie!). Io non riesco ancora a immaginare quanto possa durare questa percezione collettiva, la comprensione di essere in guerra. Non so nemmeno a quali conseguenze possa portare. Ma, intanto, posso constatare che con questa mobilitazione Putin si è sparato a tutti gli arti in una volta.
A questo punto – in realtà come prima – preferisco sperare in qualche collaboratore di Putin armato e stufo della trasformazione della Russia in un nuovo Reich, ma non in una rivoluzione. La rivoluzione è in sostanza una nuova guerra, la quale toccherà in qualche modo anche gli Stati vicini alla Russia. Quindi agli Stati europei converrebbe già ora di comprendere un concetto semplicissimo: se una persona non vuole combattere nell’esercito putiniano e/o sentirsi costretta a combattere contro i propri concittadini, bisogna aiutare quella persona a mettersi al sicuro. Mentre il regime di Putin crollerà, prima o poi, per merito delle sanzioni, dei conflitti interni o dei processi fisiologici inevitabili. Vedo che per ora sola la Germania ha iniziato a manifestare qualche sintomo di comprensione.
Sulla mobilitazione militare «parziale» indetta ieri da Putin si possono già dire almeno tre cose concrete.
Prima di tutto, è parziale solo a parole – credibilissime parole di Putin e del ministro della difesa – e non in base al decreto presidenziale firmato da Putin. In tale decreto, composto da 10 commi, manca il comma numero 7. Ieri pomeriggio in molti avevano pensato che si tratti di un errore di numerazione, quasi un errore di battitura. Poi, però, si è scoperto che il testo del settimo comma sarebbe «riservato per l’uso interno» (© del sito ufficiale della Presidenza della Federazione Russa). Proprio quel comma, come sostiene il portavoce di Putin, contiene il riferimento alla quantità dei riservisti direttamente interessati dalla mobilitazione. Nel resto del decreto non si dice alcunché sulla quantità dei riservisti da chiamare alle armi; il decreto non contiene nemmeno dei chiari criteri di scelta dei riservisti da chiamare. Quindi, in sostanza, il principio della pubblicità della norma giuridica è stato intenzionalmente violato al fine poter mandare in guerra qualsiasi quantità delle persone e qualsiasi persona concreta.
«Perché chiamate proprio me, che ho 123 anni, sono malato, non ho alcuna qualifica utile e, casualmente, sono un aperto oppositore di Putin?»
«Perché lo facciamo in base alla norma riservata per l’uso interno».
Di conseguenza, la mobilitazione mira a risolvere non solo il problema militare, ma pure quello della politica interna.
La seconda cosa che si può dire sulla mobilitazione proclamata da Putin riguarda la sua inutilità pratica. Infatti, i quasi sette mesi di guerra in Ucraina hanno dimostrato che all’esercito russo mancano non solo le armi e le munizioni moderne, ma pure a) tantissimi beni materiali quotidiani (il carburante, l’uniforme, il cibo, le medicine da campo etc.); b) la capacità di gestire la logistica (i beni necessari arrivano al fronte lentamente e in partite relativamente piccole). Di conseguenza, non si capisce come si intenda a equipaggiare centinaia di migliaia di riservisti chiamati con la mobilitazione. Inoltre, non si capisce come, quando e da chi verranno istruiti per aggiornare le loro competenze utili per la guerra.
Insomma, sulla pratica le persone richiamate con la mobilitazione potrebbero essere usate come un semplice scudo umano posizionato, al fronte, davanti all’esercito professionale almeno minimamente attrezzato e preparato.
La terza cosa che si può dire sulla mobilitazione riguarda la reazione dei semplici cittadini russi. Tale reazione si è rivelata più informativa di ogni ricerca sociologica circa il sostegno dei cittadini russi alla guerra putiniana in Ucraina. Certo, le persone che sono andate a manifestare in piazza sono relativamente poche: perché in pochi sognano essere picchiati dalla polizia, arrestati, multati e/o condannati a qualche anno di reclusione nel carcere russo. È invece molto più interessante vedere l’aumento della domanda dei biglietti aerei per le destinazioni estere. Un sociologo che chiede il mio parere sulla guerra potrebbe essere un informatore della polizia, quindi evito di dirgli quello che penso realmente; ma con l’aumentare della probabilità di essere mandato a combattere per Putin, io intensifico i miei sforzi per mettermi al sicuro.
Questo sono – in sintesi – le tre cose che per ora posso dire della mobilitazione militare in Russia.
Purtroppo, seguirà la continuazione.