Il giornale tedesco Nordsee-Zeitung ha pubblicato sul proprio sito un articolo riccamente illustrato con delle foto scattate nel porto di Bremerhaven (Germania). Se siete capaci di leggere in tedesco o, almeno, usare i traduttori online, leggetelo pure. Ma in realtà potrebbe essere interessante anche solo guardarlo.
In sostanza, si tratta di una piccola parte degli aiuti Continuare la lettura di questo post »
L’archivio del tag «guerra»
Yahoo News scrive che un ingegnere russo – che dal 2018 al 2021 avrebbe collaborato alla costruzione bombardiere strategico Tu-160 a Kazan – alla fine di dicembre 2022 ha chiesto l’asilo politico negli USA presentandosi al confine messicano. Dai documenti ottenuti i giornalisti hanno potuto scoprire l’identità della persona, e proprio questo fatto è sembrato a loro abbastanza strano: solitamente i personaggi del genere – se e quando giudicati attendibili – vengono protetti con più efficienza.
A me, un semplice lettore attento delle notizie, l’accaduto non sembra invece strano: molto probabilmente – anche se non posso averne l’assoluta certezza – si tratta di un nuovo e logico passaggio nella guerra mondiale di informazione. In sostanza, attraverso un canale giornalistico (anche se non tra i più popolari a livello mondiale) si è voluto lanciare un nuovo messaggio a tutti quei russi che attualmente collaborano con il proprio Stato nell’ambito militare: «scappare non è ancora tardi, vi accoglieremo». Sarebbe uno dei modi (o tentativi) di indebolire la macchina bellica russa. Uno dei modi tradizionali che potrebbero avere un effetto positivo, indipendentemente dalla sua portata.
Ormai è impossibile notare una tendenza che avrei chiamato, se non si fosse verificata nel corso di una vera guerra, con il termine ridicola. In sostanza, l’esercito russo ha preso la moda di vantarsi della conquista dei centri abitati minuscoli. Ricordiamo benissimo il recente esempio del paese Soledar (10.490 abitanti ai tempi della pace) la cui presa è stata spacciata per un enorme successo strategico militare russo. Ora, invece, è arrivato il turno di Krasnaja Gora (5504 abitanti): un paesino nelle vicinanze di Bachmut.
È evidente che in entrambi i casi si sta tentando di mascherare – attraverso la propaganda – l’incapacità di conquistare Bachmut stesso, ma sono dei tentativi che possono funzionare solo con un pubblico molto superficiale. Soprattutto quando notiamo che Krasnaja Gora è stata dichiarata conquistata ben due volte in poche ore: prima da Wagner e poi dalle squadre d’assalto dei volontari con il supporto di fuoco delle truppe missilistiche e dell’artiglieria del Gruppo di forze «Sud». Non penso proprio che i combattenti del Wagner si siano messi a difendere la località appena occupata dall’esercito russo…
Insomma, provate anche voi, se vi ricordate, osservare gli sviluppi di questa tendenza nel parlare dei «successi militari».
The Telegraph scrive che i rappresentanti di alto livello dell’industria militare britannica stanno discutendo con i loro colleghi ucraini la possibilità di una produzione congiunta di attrezzature e armi sul territorio ucraino.
Gli esperti militari, logicamente, si dividono tra due opinioni: con la produzione delle armi sul posto l’Ucraina diventa più indipendente dagli aiuti occidentali e risparmia il tempo prezioso, ma, allo stesso tempo, rischia di vedere arrivare i razzi russi proprio sulle (future?) aree industriali in questione (le quali non possono nemmeno essere piccole).
Gli osservatori civili (uno dei quali ha scritto il presente post) si possono invece fare una domanda probabilmente logica. Quale delle due opzioni è più facile e veloce:
a) costruire (o convertire una esistente) fabbrica per la produzione degli armamenti moderni e istruire i suoi futuri operai;
b) produrre le armi laddove li sanno già fare e poi portarli in Ucraina?
In ogni caso, l’industria militare modernizzata sarà abbastanza utile alla Ucraina dopo la vittoria in questa guerra. Per esempio, perché la avvicinerà alla NATO. Ma si tratta dei piani per un futuro per ora indefinito. Purtroppo.
La società statunitense SpaceX ha limitato l’accesso dell’esercito ucraino alle comunicazioni satellitari Starlink nell’ambito del controllo dei droni. Lo ha dichiarato la presidente dell’azienda Gwynne Shotwell: in base a quanto sostiene, la SpaceX non vuole che la sua tecnologia venga utilizzata per gli scopi offensivi.
È evidente che si tratta di una logica molto forte. Significa che la Starlink permette, molto generosamente, agli ucraini di rispondere al fuoco quando essi vengono massacrati. Quando, invece, gli ucraini stanno per scacciare gli orchi putiniani dal proprio territorio — quindi quelle creature che occupano, torturano, stuprano e uccidono quotidianamente i civili — la Starlink si oppone. Non vorrebbe che gli ucraini liberassero i propri territori occupati dove i civili vengono massacrati. Per qualche motivo la signora Gwynne Shotwell non vuole che gli ucraini si comportino in questo modo: è meglio che stiano in trincea a sparare che magari Putin si stufa a giocare alla guerra e ferma tutto da solo.
Ovviamente, a questo punto non riesco a pensare che pure il CEO della azienda — il quale sicuramente c’entra in qualche modo con la suddetta scelta — stia diventando un personaggio sempre più strano. In un senso nettamente negativo.
Der Spiegel scrive che il Consiglio federale di sicurezza tedesco ha approvato l’invio di 178 carri armati Leopard 1 all’Ucraina. Sempre secondo l’articolo menzionato, i primi carri armati dovrebbero arrivare d’estate, mentre la maggioranza non prima del 2024 (principalmente perché dovrebbero essere riparati e/o preparati per l’utilizzo).
La notizia è sicuramente positiva. È positiva almeno quanto quella riguardante i Leopard 2 e gli Abrams. Ma, soprattutto, è positiva perché ora sono pronto a fare una scommessa almeno con me stesso: la massa principale dei Leopard 1 arriverà prima del previsto. Lo penso perché secondo gli esperti militari i carri armati sono più vulnerabili durante la fase di trasporto; in più, è abbastanza difficile (per non dire impossibile) trasportarne di nascosto tanti insieme in una volta. Quindi se dici quando arrivano, la Russia inizia ad aspettarli con i missili pronti.
Qualcuno vuole fare una scommessa?
P.S.: poi gli stessi esperti dicono che in guerra i carri armati sono poco utili e ancora meno durature senza il supporto della aviazione. Chi decide sulla fornitura degli armamenti sicuramente lo sa benissimo e prende le decisioni tenendolo in mente.
Prima che io mi dimentichi dell’argomento menzionato nel post di sabato, metto in evidenza un altro aspetto scontato della guerra in corso in Ucraina (e non solo di questa guerra): oltre all’esercito ucraino, a combattere contro gli invasori sono i partigiani. I partigiani che, ovviamente, svolgono tutte le attività tipiche al loro «mestiere» non solo sui territori ucraini temporaneamente occupati dall’esercito russo, ma anche sul territorio tradizionalmente russo. Di conseguenza, non è da escludere il loro merito in alcune perdite russe non spiegabili (o non ancora spiegate) in altri modi.
Bene, ora posso comunicarvi di avere scritto quelle righe di banalità solo per segnalarvi l’interessante intervista con alcuni partigiani pubblicata da The Observer. Quando trovate del tempo, leggetela almeno per avere una idea sugli obbiettivi e sulla autovalutazione delle proprie possibilità dei combattenti non ufficiali ucraini.
E, ovviamente, non credete a certi personaggi che vorrebbero appropriarsi dei successi di quelle persone.
Tantissimi russi – alcuni dei quali, a quanto pare, ricoprano degli incarichi istituzionali abbastanza alti – non hanno ancora capito che la guerra è una cosa che si fa in due. Nel senso: anche se chiami la guerra con qualche nome alternativo, lo Stato attaccato partecipa comunque alla vera guerra. Quindi anche i militari di entrambi gli eserciti vengono feriti e uccisi, i mezzi vengono distrutti, i territori dei due Stati vengono colpiti assieme a tutto (e a tutti) quello che si trova sopra. Sì, so benissimo che sembra una enorme banalità, ma in Russia c’è chi si sorprende per questa cosa ogni volta ne rimane toccato: in prima persona o attraverso qualche parente o amico.
Allo stesso tempo, in Russia e in Occidente la maggioranza schiacciante delle persone logicamente segue quella parte della guerra che avviene sul territorio ucraino. Lo segue perché è quella la vera tragedia e il vero crimine. Ma, comunque, non bisogna perdere di vista che la guerra putiniana contro l’Ucraina ormai sta colpendo anche il territorio russo. Questo è normale e in un certo senso giusto (ed è stranissimo usare una espressione del genere). Questo si verificherà sempre con più frequenza. Va osservata per la sua importanza cronologica.
Di conseguenza, per questo sabato vi consiglio l’articolo su come e quanto l’Ucraina colpisce il territorio russo nell’ambito della guerra in corso. Su come, in sostanza, sta restituendo la guerra alla Russia. E su come reagisce la Russia in tutte le sue forme.
Come probabilmente avete letto (o come potevate logicamente immaginare), già da qualche tempo per la data odierna era stata programmata la visita di Putin a Volgograd: per i festeggiamenti dell’ottantesimo anniversario della fine della battaglia di Stalingrado (il nome che per una parte del periodo sovietico ha portato la città di Volgograd). Nel corso dei preparativi per la bassa visita, tra l’altro, ieri sono stati inaugurati – all’esterno del museo della Battaglia di Stalingrado – i busti di bronzo di Iosif Stalin e dei marescialli Georgy Zhukov e Alexander Vasilevsky. In precedenza, sullo stesso posto si trovava un busto di marmo di Zhukov, ma, secondo lo scultore Sergei Shcherbakov, è stato sostituito perché «il marmo è un materiale morbido, assorbe l’umidità e lo sporco».
Ebbene, tale «notizia» è fatta da ben due elementi che in realtà non sono proprio nuovi. In primo luogo, da anni siamo purtroppo abituati all’aumentare continuo dei monumenti dedicati a Stalin nei luoghi più o meno pubblici della Russia.
In secondo luogo, per l’ennesima volta Putin è andato a ripescare nella storia delle grandi vittorie per mascherare, in qualche modo, l’assenza delle grandi vittorie nel presente. Questa volta, in particolare, percepisce (non è difficile) l’assenza delle grandi vittorie belliche, quindi tenta di sfruttare al massimo una delle più note ed eroiche vittorie della Seconda guerra mondiale. I tre «artefici della vittoria» immortalati nei nuovi monumenti hanno fatto tutto il possibile per pagare la vittoria in quella guerra con più vite sovietiche possibile, e quest’ultimo fatto li accomuna incredibilmente bene con Vladimir Putin.
Di conseguenza, la notizia dei monumenti non solo è nata vecchia, ma è pure «logicamente simbolica» (metto le virgolette perché l’espressione mi sembra di un senso potenzialmente non scontato). È molto più interessante scoprire cosa dirà e cosa farà Putin durante e dopo le celebrazioni: molto probabilmente capisce che l’imminente arrivo delle armi pesanti occidentali in Ucraina lo costringe ad accelerare l’offensiva contro l’esercito ucraino non ancora ben attrezzato.
Non perché vorrei raccontarvi una barzelletta, ma perché voglio informarvi bene, inizio il post odierno con il testo completo dell’articolo 353 del Codice penale russo attualmente in vigore:
1. La pianificazione, la preparazione o lo scatenamento di una guerra di aggressione vengono puniti con la reclusione da sette a quindici anni.
2. La conduzione di una guerra di aggressione è punita con la reclusione da dieci a venti anni.
[traduzione mia]
Ridete pure. E poi continuate a leggere.
Il tribunale distrettuale di Ivanovskyy della regione dell’Amur ha condannato a tre anni di carcere l’attivista Vladyslav Nikitenko, il quale, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, aveva inviato denunce contro Vladimir Putin al Comitato investigativo russo e alla Procura russa.
Nikitenko è stato giudicato colpevole per avere ripetutamente «screditato» l’esercito (articolo 280.3 parte 1 del Codice penale), nonché di cinque episodi di insulto a un giudice (articolo 297 parte 1 e 2 del Codice penale). Il pubblico ministero aveva chiesto di condannare Nikitenko a tre anni e due mesi di carcere.
Non posso non aggiungere la foto del «pericoloso criminale»:
Orwell e Kafka erano due grafomani incapaci…