Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno invitato – in un articolo pubblicato sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung – i Paesi occidentali a sviluppare un equivalente del Piano Marshall per la ripresa dell’Ucraina.
È veramente curiosa questa capacità di elaborare i piani belli per il futuro radioso sanza compiere, allo stesso tempo, degli sforzi sufficientemente grandi per avvicinare quel futuro… Anzi, tale capacità è abbastanza diffusa tra le persone «normali», ma è molto curiosa da osservare tra le persone che hanno raggiunto qualcosa nella vita.
La guerra putiniana in Ucraina prima o poi finirà: per dei motivi fisiologici (relativi ad alcune persone concrete) o tecnici (perché pure ora l’esercito russo si trova a combattere, in sostanza, contro le risorse di tutto l’Occidente). Ma non bisogna essere un genio per capire che un nuovo «Piano Marshall» è molto più utile a uno Stato sopravvissuto che a un cimitero enorme. Avere paura ad aiutare di più ora significa far aumentare quel cimitero.
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Quando il ministro della «Difesa» russo Sergei Shoigu chiama i colleghi occidentali per avvisare che l’Ucraina sarebbe pronta a usare una «bomba sporca», una persona media potrebbe logicamente sospettare solo una cosa: è la Russia che si sta preparando a usare quel tipo di bomba. Infatti, è almeno dai tempi della aggressione in Crimea che i rapporti del regime putiniano con l’Ucraina seguono il principio «non siamo stati noi». L’unica differenza consisterebbe nel fatto che il presidente Zelensky, dichiarando che i militari russi avrebbero minato la diga idroelettrica di Kakhovka, ha in un certo senso costretto la Russia a fare un «avviso» simile.
Di conseguenza, potremmo presumere che si stia tentando di attribuire alla Ucraina le proprie intenzioni.
Quale dei due pericoli – tra l’uso di una bomba sporca e l’esplosione della diga – mi sembra più probabile? Pensando di essere una persona razionale, avrei detto che è più probabile l’uso di una bomba. Infatti, l’esplosione della diga provocherebbe ben due danni. Da una parte danneggerebbe il sistema energetico ucraino (attualmente sembra uno degli obiettivi principali dell’esercito russo). Dall’atra parte, però, provocherebbe l’inondazione di vaste porzioni di quei territori che la Russia ha da poco annesso (perché la sponda sinistra del fiume è più bassa). Certo, sappiamo bene che Putin, quando è fissato con un obiettivo, non si ferma davanti all’inconveniente di creare problemi al «proprio» popolo, ma nel caso specifico la scelta del male minore mi sembra troppo evidente.
Ma, ovviamente, non è ancora detto che faccia almeno una delle due cose. O, al contrario, che non le faccia entrambe.
Vi è sicuramente capitato di leggere che il 19 ottobre Vladimir Putin ha firmato un decreto sulla introduzione della legge marziale nelle quattro «nuove regioni annesse» e dello «stato di allerta» di vario grado nelle regioni russe…
Per me l’evento più interessante è lo stato di allerta perché è solo la seconda volta che Putin concede – in tutto il periodo del proprio regno – una libertà di azione ai governatori delle regioni russe. Precedentemente, si è sempre impegnato nel ridurre quella libertà, facendo solo una eccezione nel 2020 durante la prima ondata del Covid-19: in quella occasione si era improvvisamente chiuso in una delle proprie residenze dicendo di agire in base alle singole situazioni locali. Nel caso della pandemia quel modo di fare poteva anche avere un senso. Ma non si capisce perché i governatori debbano prendersi tutta la «libertà» (che in realtà è sempre una responsabilità) di stabilire il grado dello stato di allerta nella propria regione per attuare al meglio i piani bellici di Putin.
Se volete capire un po’ meglio cosa intendo, seguite pure il link e leggete la spiegazione ben schematizzata del provvedimento firmato da Putin.
Per fortuna, non tutto dipende dalle tendenze politiche del momento.
Il Dipartimento di Giustizia degli USA comunica che in Italia è stato arretato, su richiesta degli USA, Artem Uss, il figlio del governatore della regione russa di Krasnojarsk Aleksandr Uss. Un altro personaggio coinvolto nel «caso Uss», Yury Orekhov, è stato arrestato in Germania. Le autorità statunitensi chiederanno l’estradizione di entrambi negli USA. Secondo l’accusa, Uss e Orekhov avrebbero acquistato – attraverso una società di comodo tedesca da loro creata, la Nord-Deutsche Industrieanlagenbau GmbH (NDA GmbH) – delle tecnologie statunitensi utilizzate nella produzione degli armamenti. Le tecnologie in questione sarebbero poi state vendute alla Russia, anche a una azienda colpita dalle sanzioni occidentali. Alcune delle tecnologie ottenute attraverso tale schema sono state trovate negli armamenti russi abbandonati sul campo di battaglia in Ucraina.
Purtroppo, l’estradizione dei due accusati potrebbe invece diventare una questione politica, il cui esito mostrerà il vero rapporto di due Governi europei con la guerra in corso. Presterei un po’ di attenzione a questo test pratico.
Nel frattempo, devo constatare che al momento della scrittura del presente post i media italiani stavano ignorando quasi totalmente l’argomento. E coloro che ne hanno scritto non hanno azzeccato la foto di Artem Uss, che in realtà sarebbe questa:
So che pure in Italia alcune persone sostengono la tesi in base alla quale le guerre si finiscono con la negazione del sostegno alla vittima della aggressione. Io, per ora, ho abbastanza salute mentale per sostenere l’esatto contrario, quindi spero che Uss e Orekhov – come pure altri personaggi del genere – abbiano presto l’occasione di visitare gli USA.
Considerando quanti miliardi di dollari sono stati spesi solo negli ultimi vent’anni dallo Stato russo per l’esercito e quanti dei mezzi – nel senso largo del termine – acquistati con quei soldi sono già stati utilizzati nella guerra in Ucraina, non possiamo non sorprenderci della povertà dell’esercito russo. Infatti, anche da uno studio superficiale delle foto in arrivo dalle zone della guerra possiamo scoprire delle cose assurde. Per esempio, possiamo vedere delle reti riempite di pietre e appese ai lati dei carri armati nella speranza di salvare in tal modo il mezzo dai Javelin:
Oppure delle griglie artigianali con dei sacchi di sabbia messi sopra: Continuare la lettura di questo post »
Il breve video di oggi illustra uno dei metodi con i quali procede la tristemente nota mobilitazione in Russia: la polizia ferma gli uomini giovani davanti alle entrate della metropolitana di Mosca. A differenza di quanto succede negli alberghi, si agisce ancora senza l’uso della forza fisica.
Prima o poi riuscirò a trovare o produrre un video con tutti i metodi adottati…
A partire da oggi in Bielorussia è stato introdotto il cosiddetto «regime di operazioni antiterrorismo»: secondo il Ministero degli Esteri bielorusso tale misura è necessaria a causa delle «provocazioni» pianificate da «alcuni Stati vicini». Le presunte provocazioni, secondo il ministro (il quale, ovviamente, sta solo trasmettendo le idee del proprio capo), «comporterebbero l’occupazione di alcune parti del territorio bielorusso».
Dopo avere letto la notizia, ho provato a ricordarmi chi ci sia – di così terrificante e aggressivo – lungo i confini bielorussi. Per quanto mi sforzassi, non sono proprio riuscito a ricordarmi alcun candidato realistico… E voi avreste qualche idea in merito?
Io, per esempio, mi sono ricordato solo delle esercitazioni militari congiunte russo-bielorusse «Union resolve – 2022» che si erano tenute dal 10 al 20 febbraio di quest’anno. Tali esercitazioni si erano svolte sul territorio bielorusso. Uno dei dettagli più interessanti di quelle esercitazioni consiste nel fatto che le truppe russe non sono mai rientrate alla base. Non sono tornate non perché i bielorussi le abbiano usate come «materiale di studio pratico». Semplicemente, una parte di esse è andata in territorio ucraino, mentre l’altra parte è rimasta in territorio bielorusso per qualche motivo sconosciuto. È così che quelli che sono rimasti in qualche modo sembrano, più di tutti gli altri candidati, dei potenziali terroristi-provocatori.
Attendo quindi, con un interesse enorme, l’inizio della fase attiva della operazione antiterroristica bielorussa, ahahahaha
Come avrete già letto ieri, alla riunione dell’Assemblea generale dell’ONU, 143 Stati hanno condannato la recente annessione russa di quattro territori ucraini, 5 Stati hanno votato contro la risoluzione e 35 Stati si sono astenuti:
Non mi sorprende che i voti contrari siano quelli della Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua e Siria.
Non mi sorprende nemmeno che tra gli astenuti ci siano la Cina e l’India (si sa che sono critici nei confronti della politica putiniana, ma allo stesso tempo cercano di sfruttare la situazione) o alcuni Stati africani (i vertici dei quali sono stati «convinti» dal ministro degli Esteri russo nei mesi scorsi).
L’unico «grande tradimento» che vedo è quello di Nauru: uno dei pochissimi staterelli che ai tempi avevano riconosciuto l’annessione della Crimea e, prima ancora, la «liberazione» della Ossezia del Sud. E suppongo che l’unica preoccupazione di Putin sia quella, e non il fatto di trovarsi – in base alla distribuzione dei voti vista sulla immagine sovrastante – in una compagnia molto dubbia.
In diverse fonti ho letto che solo i bombardamenti della mattina del 10 ottobre sarebbero costati alla Russia – in termini del materiale bellico utilizzato – più di 400 milioni di dollari (pure i missili sovietici prodotti decenni fa vanno rimpiazzati con quelli di nuova produzione, quindi il prezzo di un missile degli anni ’70 può essere considerato quello con il quale viene acquistato il missile nuovo). Ma non volevo certo lamentarmi – o vantarmi – dei soldi sprecati in quel modo: gli ucraini sono costretti a subire il problema in un modo infinitamente peggiore. Volevo solo partire dal fatto che l’esercito russo ha distrutto un’altra parte della ricchezza nazionale, raggiungendo il «grandissimo» obbiettivo di colpire gli obiettivi civili in diverse città ucraine.
Prima di procedere, posto due foto. Non preoccupatevi, nell’intero contesto di questa guerra sono delle immagini molto pacifiche.
La prima foto è stata scattata il pomeriggio del 10 ottobre:
La seconda foto è stata scattata la mattina dell’11 ottobre: Continuare la lettura di questo post »
Un interessante fenomeno socio-culturale (ma forse anche economico?) che si sta sviluppando in Russia a partire dal 24 febbraio difficilmente sarà trattato dai giornalisti occidentali prima della fine della guerra in Ucraina. Ma questo non lo rende meno interessante e, in un certo senso, meno ottimistico. E allora sarò io a anticipare i giornalisti, gli storici e i sociologi.
Gli editori e le librerie russe testimoniano che a partire dal 24 febbraio 2022 in Russia è aumentata la domanda, da parte dei lettori, dei libri di storia dedicati alla Seconda guerra mondiale in generale e alla Germania nazista in particolare. Per alcuni libri o autori (sia russi che occidentali) l’aumento della domanda può arrivare anche a diverse centinaia di percento. La seconda ondata dell’aumento della domanda è iniziata il 21 settembre: il giorno della proclamazione da parte di Putin della mobilitazione «parziale» dei civili per la guerra.
Il fenomeno in questione potrebbe sembrare, a un lettore occidentale, solo un piccolo fatto statistico. Alle persone che si orientano un po’ di più nella realtà quotidiana russa è invece evidente un’altra cosa: si tratta di una importantissima fonte per le ricerche sociologiche quantitative. Infatti, nella Russia contemporanea i sondaggi sono di fatto impossibili: la maggioranza delle persone ha paura di rispondere (o di rispondere sinceramente) alle domande riguardanti la politica (nel senso più ampio del termine) e, da sette mesi e mezzo, la guerra. Succede perché ognuno ha in mente un ragionevole dubbio: chi è la persona che mi sta facendo la domanda? È un agente in borghese? È un informatore della polizia? Se rispondo in un modo «sbagliato», dopo quanto tempo mi arrestano?
Di conseguenza, siamo costretti a studiare l’opinione dei cittadini residenti in Russia basandoci anche su una molteplicità di fonti indirette. Compreso il mercato dei libi.