Due catene di supermercati russi di fascia bassa hanno comunicato ieri di avere sospeso l’acquisto delle barrette di cioccolato Mars, Snickers e Twix, nonché delle caramelle M&Ms e Skittles e delle gomme Orbit. La decisione sarebbe stata presa a causa della non conformità delle «condizioni proposte dal fornitore ai principi di equità dei prezzi». Serve una traduzione in linguaggio umano? Non penso…
Potrebbe sembrare strano che la Mars non abbia mai aderito alle «sanzioni aziendali» contro la Russia: come hanno fatto tante altre aziende occidentali che hanno lasciato il mercato russo con l’inizio della guerra in Ucraina. Ma è stata una scelta della azienda concreta, ipotizzare il probabile motivo non è tanto interessante.
È molto più interessante puntare qualche milione di euro sulla futura reazione dei consumatori abituali russi. Saranno convinti che anche in questo caso si tratti di una sanzione dei «cattivi capitalisti occidentali». Un po’ come sono stati convinti della stessa cosa nel 2014, quando era addirittura stata la Russia a vietare l’import di molti prodotti alimentari.
Ancora più interessante provare a dedurre quanta valuta estera hanno ora le aziende private russe che si occupano del commercio al dettaglio. E, ancora più importante, a quali conclusioni giungono analizzando le capacità finanziarie delle fasce ampie della popolazione russa: essendo, appunto, della fascia bassa, servono le masse più ampie di consumatori…
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Non è assolutamente detto che alla «importante dichiarazione» di Trump fatta il 14 luglio segua qualche atto concreto, ma è comunque importante capire che i dazi del 100% sono in sostanza impossibili contro il commercio russo del petrolio. È vero che è già stato fatto notare molte volte il carattere globale del mercato del petrolio, ma leggere una spiegazione in più non fa mai male.
Insomma, avete già capito qual è l’argomento dell’articolo che segnalo questo sabato. Leggete il testo originale e non i miei tentativi di riassumerlo ahahaha
La Commissione europea ha presentato una bozza del «road map» per porre fine alle importazioni di energia russa nell’UE:
The roadmap will see a gradual removal of Russian oil, gas and nuclear energy from the EU markets in a coordinated and secure manner as the EU transitions to clean energy.
A parte, forse, il tema dell’abbandono del gas russo, tutto in questa notizia è negativamente fantastico.
Lasciamo che gli altri Stati acquistino sempre più petrolio e uranio russo: ai prezzi che possono imporre a Putin (il quale, avendo ora meno acquirenti, venderà a chiunque in qualsiasi quantità). Questa misura ha solo un senso autoterapeutico, ma non quello economico: non vogliamo essere degli sponsor diretti della guerra.
Mentre la stessa Commissione europea ha l’intenzione di passare all’energia pulita in breve tempo: anche se il recentissimo incidente in Spagna, Portogallo e Francia dovrebbe aver mostrato anche alle menti «verdi» da ricovero che l’UE ha troppa fretta in questo campo. Ma gli euroburocrati non sono bravi a reagire e a trarre conclusioni rapidamente. Per loro, «rapidamente» non significa solo cinque giorni, ma anche tre anni.
Anche se, in generale, la ricerca dell’indipendenza da un vicino violento è una cosa giusta. Ma le cose giuste devono essere ben pianificate.
Negli ultimi mesi mi accorgo sempre più spesso che il Bloomberg pubblica regolarmente, al posto delle notizie vere, delle «notizie» o interpretazioni degli eventi di invenzione propria. Proprio per questo ho smesso di reagire alle sue pubblicazioni e non invito gli altri a farlo.
La settimana scorsa, però, ho appreso una notizia interessante e non contraria alla logica, dove proprio il Bloomberg era indicato come fonte. In sostanza l’India avrebbe aumentato notevolmente le spedizioni di beni e tecnologie a duplice uso soggette a restrizioni all’esportazione verso la Russia, posizionandosi al secondo posto dopo la Cina. Le esportazioni indiane di beni come microchip e macchinari hanno raggiunto i 60 milioni di dollari in aprile e maggio, il doppio rispetto ai primi tre mesi dell’anno. A luglio, le vendite hanno raggiunto i 95 milioni di dollari. Secondo dati recenti, quasi il 20% di tutta la tecnologia sensibile che entra nel complesso militare-industriale russo passa dall’India. Poiché i Paesi occidentali hanno vietato alle loro aziende di fornire la maggior parte dei beni a duplice uso alla Russia, i produttori russi li acquistano da Paesi terzi.
Ecco, non ho la certezza assoluta sulla precisione dei dati riportati, ma capisco che si inseriscono bene nella logica generale degli eventi. Dal febbraio 2022 il governo russo, tra le altre cose, sta cercando di a) vendere il petrolio tramite i vari Stati-intermediari (tra i quali l’India è uno dei principali) e b) cercare le vie del cosiddetto «import grigio» (acquistare le tecnologie necessarie tramite i vari Stati-intermediari). In entrambi i casi sta cercando di agire – seguendo una delle idee strane di Putin – utilizzando non le valute dei principali «Stati-nemici», ma le valute degli intermediari. Ma la rupia indiana, con le sue problematiche di conversione, non è la valuta più utile del mondo. Di conseguenza, le rupie ottenute con la vendita del petrolio o rimangono dei soldi inutilizzabili, o si spendono per le tecnologie dell’import grigio.
I Governi degli Stati occidentali preoccupati della situazione creatasi dovrebbero saperlo, ma non sono sicuro che sappiano anche come comportarsi in questo specifico caso.
Ieri, due settimane dopo l’arresto di Pavel Durov a Parigi, il Telegram ha aggiornato la propria politica di moderazione e ha permesso agli utenti di segnalare i contenuti illegali nelle chat: lo si legge nella nuova versione del FAQ sul sito del Telegram. Ma per ora non è chiaro come si farà a moderare le chat private.
Però la cosa più importante consiste nel fatto che la nuova regola del Telegram – palesemente nata in seguito alle «conversazioni» di Durov con le Autorità francesi – si inserisce perfettamente in una tendenza tristissima ma tipica degli ultimi decenni: quella di trasferire, in via di fatto obbligatoria, ai contribuenti le funzioni che uno normale Stato dovrebbe svolgere con le tasse raccolte. Ma le tasse finiscono non si capisce dove (ma si ipotizza dove: nel cosiddetto «Stato sociale»), dunque salta fuori il principio «siete cittadini/imprese responsabili, dovete fare voi». Per esempio, le banche, i broker, gli avvocati e gli agenti immobiliari sono stati obbligati a cercare da soli i criminali finanziari e gli evasori fiscali e a consegnarli alla polizia. Le persone che vivono nella stessa zona spesso sono costretti ad auto-organizzarsi (o pagare le aziende di sorveglianza private) per proteggersi da teppisti e piccoli criminali. L’assistenza medica gratuita nei Paesi sviluppati viene di fatto sostituita – se si vuole guarire – con un’assicurazione privata. In base alle proprie circostanze di vita, ognuno può ricordarsi altri numerosi esempi…
Mentre nel contesto dell’argomento del post odierno va ricordato che i social network e i messenger devono, secondo la logica dello Stato occidentale moderno, cercare i criminali vari e portarli alla polizia. In sostanza, assumere delle persone (moderatori) che facciano il lavoro della polizia (pagata con le tasse), la quale si prenderà poi pure tutto il merito.
Fino a poco fa il Telegram di Pavel Durov era fuori da questa tendenza, ma forse sta per essere costretto a inserirsi in essa. Devo precisare che non mi sembra un evento positivo?
Questo sabato faccio una eccezione e, anziché segnalarvi un nuovo articolo lungo, vi consiglio una lettura di importanza più globale.
Alcune settimane fa ho finito di leggere un libro che mi interessava da un po’ di tempo: «Spin Dictators: The Changing Face of Tyranny in the 21st Century» dell’economista russo Sergey Guriev (dissidente al regime di Putin; attualmente è il provost e professore di economia alla Instituts d’études politiques (Sciences Po) di Parigi) e del politologo statunitense Daniel Treisman. È un libro che descrive la nuova tipologia dei dittatori che si è affermata e diffusa nel XXI secolo, spiega come i dittatori di oggi si differenziano da quelli del passato e perché, in un certo senso, i «nuovi» dittatori sono più pericolosi per il nostro povero mondo. Considerando che negli ultimi mesi il mondo sembra proprio impazzito, il suddetto libro appare come uno degli strumenti utili per mettere in ordine i nostri tentativi mentali di comprendere quello che sta succedendo attorno.
Ammetto che in realtà «Spin Dictators» è scritto in un modo meno accademico di quanto mi aspettavo prima di iniziare la lettura (almeno rispetto al livello accademico al quale sono abituato io), ma questo è anche un suo pregio: diventa un libro accessibile e interessante non solo per quelli come me, ma anche per le persone «normali», comuni. Infatti, può essere letto non solo assieme ai numerosi dati statistici allegati che rafforzano e illustrano le considerazioni degli autori, ma anche come una semplice narrazione. In entrambi i casi si tratta di una lettura interessante e utile.
Ve lo coniglio ora anche per consentirvi di fare in tempo a regalarvelo per una delle vicine feste e, eventualmente, leggerlo proprio durante il periodo festivo meno carico di impegni rispetto a tanti altri periodi dell’anno.
P.S.: il libro è inglese, purtroppo non so se e quando uscirà anche in italiano.
Per oltre un anno molte persone (con delle idee politiche molto varie) mi hanno chiesto se e perché le sanzioni occidentali non causino dei problemi alla economia russa. E io ho sempre cercato di spiegare che l’effetto delle sanzioni non può essere immediato…
Ma ecco che, finalmente, posso mostrare uno degli effetti che si sono finalmente messi in evidenza in un modo comprensibile più o meno a tutti.
Perché il rublo russo si sta svalutando tanto? Non è solo un tipico fenomeno stagionale (estivo). Ha anche almeno due altre spiegazioni. In primo luogo, i soldi che ancora arrivano in Russia grazie alla vendita delle materie prime possono essere spesi in pochissimi modi. In secondo luogo, continua essere molto alta la tendenza di portare i capitali fuori dalla Russia, al sicuro (tecnicamente è abbastanza difficile, ma la gente che ha le somme serie è motivata a provare alcune vie poco convenzionali che vi risparmio).
L’importante è capire che le sanzioni producono sempre i loro effetti.
Molto probabilmente vi è già capitato di leggere che la settimana scorsa Vladimir Putin ha ottenuto una importantissima vittoria nella sua «guerra del gas».
Il Bloomberg scrive, citando i partecipanti alla fiera annuale dell’energia E-World di Essen, che secondo i top manager dei principali operatori i prezzi dei contratti del gas a breve termine in Europa potrebbero diventare negativi in alcuni brevi periodi di questa estate. Un evento di questo tipo (in cui i produttori di gas pagano gli acquirenti che prendano il loro gas) sta diventando sempre più probabile, dato che i prezzi si sono già avvicinati ai livelli pre-crisi. La settimana scorsa i prezzi del gas nella borsa europea sono scesi sotto i 300 dollari per mille metri cubi per la prima volta in due anni. Alla contrattazione del 26 maggio, il costo dei futures di giugno sull’hub TTF nei Paesi Bassi è sceso dello 0,3%, a 25,38 euro per 1 MWh, o circa 286 dollari per 1000 metri cubi, incluso il tasso corrente sul mercato forex internazionale.
In particolare, in alcuni mercati regionali del gas in Europa i prezzi potrebbero diventare negativi nelle ore o nei giorni in cui si registra un’elevata produzione di energia rinnovabile.
Per apprezzare meglio la suddetta notizia, ricordatevi le preoccupazioni per l’inverno freddo che si provavano in Europa appena otto o nove mesi fa. La velocità con la quale è stata raggiunta la «grande vittoria» è impressionante.
Da più di anno mi capita, con una certa periodicità, di rispondere alle domande più o meno dettagliate sull’andamento attuale della economia russa. Ogni volta parto dalla presunzione che le persone realmente interessate all’argomento abbiano già letto almeno i dati statistici principali e/o le notizie sugli effetti delle varie sanzioni, ma poi, molto spesso, scopro di essere un po’ idealista…
Di conseguenza, sono «costretto» a collezionare gli esempi pratici che possano illustrare la situazione corrente con la massima facilità e chiarezza. Anche per le persone meno preparate sulle materie economiche.
L’esempio più recente — tra quelli belli — mi è arrivato ieri: si tratta dei dati riguardati gli utili della Gazprom (ve la ricordate?). In base ai dati forniti dalla azienda stessa, l’utile netto della Gazprom nel 2022 è stato di 747,246 miliardi di rubli. Questo dato è diminuito di oltre tre volte: del 72,2%, rispetto al 2021, quando l’azienda aveva registrato un utile netto di 2,684 trilioni di rubli.
Allo stesso tempo, il fatturato della Gazprom nel 2022 ha raggiunto 7,979 trilioni di rubli: circa il 25% in più rispetto al 2021 (quando era di 6,39 trilioni di rubli).
I dati appena riportati vanno letti anche nel contesto della diminuzione delle forniture del gas all’Europa.
Ora ripescate le vostre conoscenze basilari in economia e immaginate cosa significa la suddetta notizia: una azienda incassa in valuta straniera, fattura più di prima in termini della valuta nazionale e guadagna meno di prima sempre in termini della valuta nazionale…
«Come sta andando l’economia russa?»
Nei giorni scorsi avete sicuramente letto che l’UE e i membri del G7 hanno finalmente deciso di imporre un prezzo fisso al petrolio russo. Tale prezzo inizialmente sarà di 60 dollari al barile, ma la somma è in realtà solo un dettaglio poco significativo.
Infatti, dal punto di vista economico l’idea del prezzo fisso non è proprio il massimo. Capisco benissimo l’intenzione di colpire il regime politico russo e il tentativo di non finanziare la guerra, ma il mercato del petrolio rimane sempre globale. Di conseguenza, il prezzo fisso viola le leggi del mercato, aumenta il costo dell’energia e permette agli acquirenti di guadagnare sulla aggressione russa (qualcosa del genere sarebbe successo anche con tutte le altre merci di questo mondo). Mi sembra che sarebbe molto più giusto e sensato permettere alla Russia di vendere qualsiasi quantità di petrolio al prezzo di mercato, ma a una condizione.
Tutto il petrolio russo dovrebbe essere venduto attraverso un fondo speciale, che stabilirà la redditività approssimativa della sua estrazione (più o meno 30 dollari al barile). Tale importo andrebbe trasferito sul conto delle compagnie petrolifere che hanno estratto il petrolio venduto. Altri 5 dollari ricavati dalla vendita di ogni barile andrebbero messi da parte in un conto speciale: la Russia potrà spendere il denaro accumulato su quel conto per l’acquisto di qualsiasi bene umanitario, per esempio medicinali. Tutto il rimanente dalla vendita del petrolio potrebbe essere trasferito alla Ucraina in qualità del risarcimento per i danni della guerra.
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il normale prezzo di mercato di un barile del petrolio Urals sia di 65 dollari: l’Ucraina riceverà 30 dollari per ogni barile venduto dalla Russia. Si tratterrebbe non solo di una giustizia economica, ma anche di quella psicologica: i residenti del Cremlino osserveranno, con terrore e disperazione, che ogni barile venduto sta aiutando l’Ucraina e non la guerra.
Ovviamente è una soluzione meno facile di quella del prezzo fisso (ma le soluzioni facili funzionano?) e almeno in parte raggirabile (ma lo è pure quella del prezzo fisso), ma può essere in qualche modo provata.
Purtroppo, non sono (ancora) un economista di fama mondiale, ahahahahaha