L’archivio del tag «bielorussia»

Farò piangere a te

È arrivato il momento di svelare il grande mistero politico: Aleksander Lukashenko è ancora vivo, sano e non destituito solo grazie alla longanimità di Chuck Norris:

Tornando per un attimo a essere serio, devo però constatare che Chuck Norris è degradato al punto di vendere la faccia a soli 300 dollari per video. Di conseguenza, è lecito supporre che abbia solo pronunciato un testo preparato da qualche «umorista» senza nemmeno sapere chi sia Lukashenko.

Stephen Fry, invece, appare decisamente più sincero:


La paura è noiosa

Di solito le persone incapaci di produrre o almeno comprendere gli scherzi sembrano solo un po’ stupide. A volte sono pure fortemente spaventate dalla vita circostante… Ci sarà una connessione tra la paura e l’intelligenza? Boh… Io, intanto, racconto una breve storia sull’argomento.
Questo è il logo della catena dei negozi alimentari russi «Красное&Белое» («Krasnoe&Beloe», traducibile come «Rosso&Bianco»), che inizialmente si specializzava quasi esclusivamente nel commercio degli alcolici:

Questa, invece, è la bandiera adottata dalla parte (maggiore) della popolazione bielorussa che da oltre due settimane sta protestando contro la «vittoria» di Aleksander Lukashenko alle elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 (era stata la bandiera ufficiale della Bielorussia indipendente dal 19 settembre 1991 al 7 giugno 1995):

Ieri, il 25 agosto, un sito satirico russo (specializzato nella pubblicazione delle fake news palesemente assurde) ha pubblicato un articolo sulla catena dei negozi di cui sopra. A quanto risulta dall’articolo, il fondatore/proprietario della azienda avrebbe «ringraziato i protestanti bielorussi per la pubblicità dei suoi negozi». Avrebbe anche dichiarato che «sarebbe felicissimo se la bandiera della sua azienda diventasse la bandiera ufficiale della Bielorussia». Infine, avrebbe promesso al popolo bielorusso «un camion di alcolici e tanti sconti».
Insomma, si è trattato di uno scherzo di media qualità, per nulla offensivo. Stamattina, però, alla redazione del sito satirico è giunta una mail minacciosa proveniente dal reparto delle pubbliche relazioni della catena dei negozi. Nella mail si parlava dei «danni reputazionali» e si minacciava una causa legale nel caso della mancata rimozione dell’articolo dal sito.
È abbastanza evidente che le aziende grandi hanno sempre paura di esprimersi pubblicamente sui conflitti politici riguardanti i loro mercati di interesse. La paura aumenta quando non si ha la certezza sulla posizione del proprio Stato (in questo caso altrettanto poco rispettoso dei diritti di proprietà). Ma i danni reputazionali, per fortuna o purtroppo, sono costituiti dalla reazione della gente comune, quindi dei clienti attuali e potenziali. La paura, però, opprime la ragione. Non permette di capire che — e come — ogni scherzo altrui può essere rivolto a proprio favore: per esempio, con uno scherzo analogo.
Sì, si potrebbe fare un grafico su cui segnare, attraverso dei punti, la distanza di ogni persona da tre punti cardinali: l’intelligenza, l’umorismo e la paura.


Le proteste operaie bieloruusse

Chi, se non io, vi avrebbe aggiornati sulle ultime notizie dalla Bielorussia? So che in assenza di quegli aggiornamenti non percepite la vostra vita come una cosa completa ahahaha
Negli ultimi due giorni alle proteste popolari bielorusse – contro la permanenza di Aleksander Lukashenko al potere – si sono uniti gli operai di molte importanti fabbriche del Paese. Gli operai, in particolare, chiedono il riconteggio dei voti.
Valutando positivamente tale notizia, si rischia di risultare ingenui o, almeno, troppo ottimisti. Infatti, bisogna rendersi conto del fatto che si tratta delle fabbriche statali (quasi tutte le aziende medie e grandi bielorusse sono statali), i cui dipendenti stanno solo manifestando, ma non scioperando. I dipendenti statali, come ben immaginate, sono quelli più facilmente controllabili. Di conseguenza, potrebbe trattarsi solo di un tentativo di organizzare una alternativa alla protesta popolare, una «protesta gestibile e controllabile» dall’alto. A quale scopo? Per esempio, allo scopo di «ricontare» i voti delle ultime elezioni e comunicare che il risultato «reale» di Lukashenko sarebbe del – che ne so – 54% invece dell’80% comunicato prima.
A questo punto potreste chiedermi che senso abbiano le proteste finte se ci sono già quelle vere popolari. La risposta è banalissima: cedere alle richieste «della piazza» sarebbe – almeno nella logica dei dittatori – un segno di debolezza. Invece il dialogo con le corporazioni dei lavoratori – sebbene tutti sappiano come sono controllate dallo Stato stesso – sarebbe un segno di serietà e responsabilità.
Allo stesso tempo, tale modo di agire potrebbe far parte di un gioco politico molti fine. L’opposizione, infatti, avrà l’illusione di avere quasi vinto. «La prossima volta ci andrà ancora meglio», diranno gli oppositori. E la volta sarà per sempre prossima.
Certo, a questo punto potremmo chiederci perché l’illusione della «quasi vittoria» non sia stata regalata alla opposizione già al momento del conteggio dei voti. Ma di solito è la paura di perdere qualcosa a far sbagliare, anche ai dittatori.
Detto tutto questo, non posso non sottolineare che spero di sbagliarmi. Spero che tutte le manifestazioni bielorusse contro Lukashenko siano a) sincere, b) vincenti in un arco di tempo abbastanza brevi e c) meno dolorose possibile per tutti.


Le elezioni di Lukashenko

Probabilmente lo avete già letto o sentito da qualche parte: domenica si sono concluse le elezioni  di Lukashenko  presidenziali in Bielorussia. Seguendo il recente e «fortunato» esempio russo, la votazione popolare era durata più giorni (in questo caso tre), permettendo dunque di profanare tutte le regole volte a garantire la corrispondenza tra il contenuto delle urne e il reale utilizzo delle schede da parte degli elettori. Questa, però, è stata l’unica somiglianza evidente con le elezioni russe.
In generale, devo constatare che le elezioni presidenziali bielorusse ormai da due decenni è un fenomeno stranissimo. Da una parte, Aleksander Lukashenko meriterebbe non solo il titolo dell’"ultimo dittatore d’Europa«, ma anche del dittatore in un certo senso più massimalista. Se mi dovesse capitare, un giorno, di diventare un dittatore di un qualsiasi Stato, continente, arcipelago o Pianeta (mai dire mai), io avrei adottato un metodo semplicissimo per vincere le ennesime elezioni: avrei fatto contare i voti in modo «giusto». Forse perché ultimamente sono diventato troppo pigro e quindi amo raggiungere il risultato con meno mosse possibile. Lukashenko, invece, non è per nulla pigro. Ogni volta inizia la propria strada verso una nuova vittoria elettorale con alcune mosse preventive: pima di tutto, elimina tutti i candidati di opposizione più popolari. In alcuni casi li fa eliminare fisicamente, in alcuni altri li elimina attraverso l’arresto per qualche crimine palesemente inventato e la negazione della registrazione in qualità del candidato ufficiale per qualche motivo diverso dal presunto crimine. Sì, avete capito bene: l’arresto e la non-registrazione vengono utilizzati in contemporanea: probabilmente, «per sicurezza». No, in Russia si agisce in un modo un po’ diverso: solitamente i candidati di opposizione non vengono ammessi alle elezioni per dei motivi palesemente ridicoli, ma almeno formalmente legali (molto, molto in fondo).
Dall’altra parte, le elezioni presidenziali bielorusse sono strane perché ogni volta tra i candidati di opposizione troviamo qualche personaggio che fino a pochi mesi – o addirittura settimane – fa era un alto funzionario statale perfettamente integrato nel sistema di potere creato e coltivato da Lukashenko. È incredibile, ma ogni volta si trova dunque un nuovo tonto presuntuoso convinto di poter evitare la sorte di altri oppositori in generale e dei propri predecessori-candidati in particolare. Ma anche a un osservatore estraneo minimamente attento è chiaro che Lukashenko non tollera due cose: l’opposizione e il «tradimento» politico.
Altrettanto chiaro è anche un altro principio: le dittature non possono cadere in seguito a una sconfitta elettorale. Lo devono capire gli oppositori (sebbene la partecipazione alle elezioni sia l’obbligo professionale di ogni politico), come lo devono capire anche i dittatori. A questo punto non è molto chiaro che senso possa avere infastidire la gente due volte (non registrando i candidati e alterando i risultati della votazione) se si può farlo solo una volta? La forza della protesta popolare è un vaso in fase di riempimento e non un torrente già esistente da dividere in ruscelli. In ogni caso, la situazione attuale è quella che è. La Bielorussia è uno Stato con un alto livello delle repressioni. L’assenza della pluralità politica (ma anche, per esempio, dei media) è il «merito» di Lukashenko e non un difetto della società.
Secondo i dati ufficiali, Lukashenko (al potere dal 1994) avrebbe preso più dell’80% dei voti e la candidata arrivata seconda (Svjatlana Cichanoŭskaja, una casalinga senza alcuna esperienza della attività pubblica, la moglie di un candidato-oppositore arrestato) avrebbe preso poco meno del 10%. Secondo le indagini socio-politiche, invece, i due risultati reali sarebbero dell’8% per Lukashenko e del 70% per Cichanoŭskaja. La percentuale reale della candidata di opposizione, chiaramente, non è il suo risultato politico personale, ma la reazione popolare ai 26 anni della presidenza di Lukashenko. Pure le manifestazioni di protesta verificatesi a Minsk la sera e la notte dopo le elezioni non erano dunque a sostegno di Cichanoŭskaja: ella ha sempre dichiarato che il suo unico programma presidenziale è quello di organizzare le elezioni presidenziali libere in sei mesi dalla entrata in carica.
Nonostante la breve durata della protesta e la sua soppressione abbastanza forte, non penso che sia già tutto finito. Perché non ho mai visto i bielorussi deridere così apertamente Lukahenko. E non ho mai visto lo stesso Lukashenko così palesemente nevoso: probabilmente si rende conto che ora la sua permanenza al potere dipende solo dalla fedeltà dei militari e delle forze dell’ordine.
Ecco, si dimentica che nella storia queste due entità sono sempre state le prime ad abbandonare i dittatori esauriti.

Di conseguenza, ritengo che la storia mi stia offrendo la possibilità di rinviare la pubblicazione della seconda parte del testo a tempi non molto lontani.


La politica araldica

Non so quanti miei lettori italiani conoscano l’attuale stemma belorusso (adottato nel 1995). Sospettando fortemente che ci sia più di una persona non abbastanza informata sull’argomento, metto subito la relativa immagine:

Come potete facilmente notare, il territorio belorusso è rappresentato assieme a una notevole parte del territorio russo. Focalizzarsi su quella parte del globo è del tutto normale: non solo perché la Bielorussia e la Federazione Russa fanno formalmente parte dello stesso stato unitario, ma anche a causa dei forti legami economici e sociali tra i due Stati-vicini.
Ma perché devo fingere di essere politicamente corretto? Scrivo onestamente che la Belorussia è sempre stata economicamente dipendente dalla Russia. Fino alla fine del 2019 la Belorussia ha sempre avuto il diritto di acquistare il petrolio e il gas russi a dei prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato. Inoltre, i prestiti finanziari statali russi alla Belorussia sono sempre stati «restituiti» attraverso il ricorso ai prestiti concessi dalla stessa Russia. In questi due modi veniva acquistata l’amicizia, la fedeltà geopolitica belorussa. E il presidente Lukashenko ha sempre minacciato di voltare le proprie preferenze amichevoli verso l’Europa qualora gli aiuti economici non dovessero essere rinnovati.
Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, però, i rapporti tra i due Stati sono diventati un po’ tesi. I motivi reali di tale evento non sono noti al pubblico ma pare che Putin sia fortemente interessato all’assorbimento del territorio vicino. Quindi cerca di convincere il collega a fare il bravo negando i prezzi favorevoli per il petrolio (la Belorussia sta attualmente tentando di acquistarlo dall’Asia).
«Ma perché hai iniziato il post parlando dello stemma?», chiederete voi.
E io rispondo: «Perché in Belorussia, improvvisamente, hanno deciso di cambiare lo stemma».
Ecco il progetto:

Non fateci troppo caso ai colori un po’ più tranquilli. Notate la comparsa dell’Europa al posto della Russia: sarà un segnale?
Devo dire che questo gioco politico-araldico mi ricorda un po’ la storia delle monete belorusse.


Le monete bielorusse

La settimana scorsa sono diventato un fortunato (e felice) possessore di alcune monete bielorusse:

In pratica, ora me ne mancano solo due: da 1 kopeika e da 50 kopeiki. Spero di riuscire a trovarle presto. Ma questo mio desiderio non è il vero argomento del post odierno.
Nella Bielorussia indipendente le monete sono state emesse in circolazione per la prima e l’unica volta molto recentemente: il 1° luglio 2016 (ed è per questo che non mi era ancora capitato di vederle dal vivo). Fino a quella data la Bielorussia fu uno dei pochissimi Stati al mondo a utilizzare solamente i soldi cartacei (anche a causa di una continua forte inflazione) e a coniare solo le monete commemorative di fatto non utilizzate come dei mezzi di pagamento nella vita quotidiana.
Le monete introdotte nel 2016 portano tutte il 2009 come l’anno di cogno. Il rovescio di tutte le monete bielorusse (tranne forse quella da 1 rublo) assomiglia a quello delle monete dell’euro:

L’aspetto del dritto, invece, assomiglia tantissimo a quello delle monete sovietiche cognate tra il 1961 e il 1991:

Infatti, appena ho visto le nuove monete bielorusse, sono stato travolto da una valanga di ricordi infantili… Ma poi sono passato a riflettere sul valore simbolico di questo incontro dei due modelli economici sulle monete dello stesso Stato. Da una parte, l’ex Repubblica Sovietica continua a dipendere economicamente dall’ex centro dell’URSS (per esempio, attraverso i prestiti finanziari mai restituiti, i prezzi del petrolio e del gas molto favorevoli e la possibilità di fornire i prodotti europei rietichettati a prezzi maggiorati). Dall’altra parte, vuole sottolineare di essere uno Stato indipendente libero di passare, almeno in teoria, in qualsiasi momento a un’altra alleanza.
Sarà un messaggio in codice, una manifestazione della crisi di identità o qualcos’altro? Si potrebbe fare una bella ricerca politologica su tale argomento.


Stato-rapinatore

Come alcuni di voi sanno, sulla mappa politica del nostro pianeta esiste ancora un equivoco storico chiamato Azerbaijan. Esso fu creato nel 1918 – sulla base di alcuni criteri storici e sociali piuttosto approssimativi – in qualità di una regione di confine del nascente impero sovietico; solo approfittando in un modo fortunato del crollo dell’URSS divenne a) uno Stato, b) uno Stato indipendente. Non è l’unico a essere nato ed evoluto in questo modo, ma, essendo il più piccolo, è quello a soffrire maggiormente del complesso di inferiorità.

A partire dal 1994 quella macchia geografica ritiene di essere ingiustamente privata della regione Nagorno Karabakh. Cerca dunque di apparire «uno Stato vero, capace di tutelare gli interessi nazionali» nel modo più facile e meno pericoloso: creando dei seri problemi alle persone che visitano Nagorno Karabakh.

Stamattina, per esempio, il Tribunale penale per i crimini massimi di Baku ha condannato il cittadino russo Alexander Lapshin a tre anni di reclusione per due «delitti»: 1) le sue visite in Nagorno Karabakh nell’aprile 2011 e ottobre 2012 senza l’autorizzazione dell’Azerbaijan; 2) le sue dichiarazioni pubbliche circa l’appartenenza di Nagorno Karabakh.

Inoltre, nel 2015 e 2016 Alexander Lapshin per due volte aveva compiuto un altro delitto riconosciuto tale solo dal giudice azero: avendo tre cittadinanze (russa, ucraina e israeliana) e essendo finito nella «lista nera» di Azerbaijan con il proprio passaporto russo, andava a visitare Baku con il passaporto ucraino (dove il suo nome è scritto, secondo le regole ucraine, Olexander). Aveva insomma ingannato il sistema informatico della dogana azera utilizzando un documento reale e valido. Proprio dopo la seconda di queste imprese era stato dichiarato ricercato a livello internazionale da Azerbaijan. Avrebbe utilizzato i «documenti falsi» per entrare senza essere identificato.

Il 15 dicembre 2016 Alexander Lapshin era stato arrestato a Minsk; il 25 gennaio 2017 era stato estradato verso l’Azerbaijan. Oggi è stato condannato a tre anni di reclusione (mentre la Procura azera ne chiedeva otto). Tutto ciò è successo nonostante una notevole opposizione di Israele, Russia, Armenia e, naturalmente, Nagorno Karabakh.

Pensando bene a questa storia possiamo giungere a tre conclusioni:

1) La Bielorussia è molto tollerante verso la creatività giuridica altrui perché a causa della sua situazione geopolitica è costretta a rimanere neutrale anche nei confronti di quelle visioni di integrità territoriale che hanno i suoi immediati vicini;

2) Di conseguenza, evitate di visitare la Bielorussia se pensate di aver offeso qualche pseudo-Stato afflitto dalla sindrome di Azerbaijan. Avete criticato pubblicamente la Corea del Nord? Avete espresso pubblicamente la vostra opinione circa l’appartenenza (in entrambi i sensi) della Crimea? Rimandate il vostro viaggio in Bielorussia ai tempi migliori.

3) Le persone competenti farebbero bene a escludere l’Azerbaijan dalle file dell’Interpol in quanto lo Stato in questione manifesta una incredibile fantasia nel sfruttare ogni pretesto possibile e immaginabile nel rapire e incarcerare i propri nemici morali. Cioè quelle semplici persone che viaggiano, vedono, ragionano e esprimono liberamente le opinioni senza compiere alcun delitto o invitare gli altri a compierlo.

I piccoli Stati dell’est possono avere uno scarso valora dal punto di vista geopolitico, ma allo stesso tempo riescono a incidere sulla vita delle persone provenienti da tutte le parti del mondo.


25 anni di capitalismo

A dicembre, per «merito» di alcuni avvenimenti poco allegri e le festività natalizie, ci siamo dimenticati di un anniversario felice (per alcuni, purtroppo, semplicemente curioso). Infatti, a dicembre 2016 sono decorsi 25 anni dalla fine dell’URSS.

A tutti coloro che amano la precisione e vogliono conoscere la data precisa di tale evento, riporto una brevissima cronologia:

– l’8 dicembre 1991 i vertici di Russia, Bielorussia e Ucraina firmarono l’accordo (comunemente noto come l’accordo di Belavežskaja pušča) sulla cessazione della esistenza dell’URSS e la creazione CSI (Comunità degli Stati Indipendenti);

– il 10 dicembre 1991 l’accordo fu ratificato dai Sovet Supremi di Ucraina (288 sì, 10 no, 7 astenuti) e Bielorussia (263 sì, 1 no, 2 astenuti);

– il 12 dicembre 1991 l’accordo fu ratificato dal Sovet Supremo di RSFSR (Russia) – 188 sì, 6 no, 7 astenuti;

– il 21 dicembre 1991 all’accordo si unirono altre otto Repubbliche dell’URSS;

– il 25 dicembre 1991 Mikhail Gorbachev si dimise da tutti gli incarichi istituzionali;

– il 26 dicembre 1991 il Sovet delle Repubbliche del Sovet Supremo dell’URSS adottò la dichiarazione sulla cessazione della esistenza dell’URSS in quanto sosituita con il CSI.

Quindi, la data ufficialmente riconosciuta come quella della fine dell’URSS è il 26 dicembre. Tale data, come tutte le altre elencate, mai è stata celebrata dalle istituzioni istituzionali. Nel 1993, però, proprio per il 12 dicembre (indovinate il perché) in Russia fu fissato il referendum per l’approvazione della Costituzione della Federazione Russa.

Ogni politico del mondo si serve della cronologia in base alle proprie priorità. Non è sempre un male.


La crescita di Lukashenko

Come saprete, pochi giorni fa Aleksander Lukashenko ha visitato l’Italia. Si tratta di una delle migliori illustrazioni del fatto che la coerenza viene sempre premiata.

Infatti, si tratta sempre dello stesso Lukashenko di dieci o quindici anni fa. Come avevo già scritto, pur tenendo sempre lo stesso atteggiamento politico, Lukshenko ora non risulta più «il più cattivo d’Europa», ma solo un pacificatore poco simpatico. Oltre alla revoca della maggior parte delle sanzioni europee, ora è stato premiato pure con lo status di un politico che può essere trattato alla pari di alcuni suoi colleghi asiatici: non sono tanto democratici e/o simpatici, ma sono utili e capaci di parlare in modo costruttivo.

A fare il «Rogue State» dell’Est è ora la Russia. Quindi non mi resta cho complimentarmi, ancora una volta, con Lukashenko per la sua incredibile capacità di sfruttare qualsiasi errore dello Stato russo a proprio favore. Fino a due anni fa quella capacità trovava la sua applicazione quasi esclusivamente nei rapporti bilaterali. Ma arriva sempre e per tutti il momento di iniziare a giocare in grande.


E che non sia l’ultima volta

Aleksandr Lukashenko ha vinto le elezioni presidenziali bielorusse per la quinta volta consecutiva. Ha preso circa 83,49% dei voti (ma il conteggio dovrebbe andare avanti fino a venerdì), mentre la partecipazione al voto è stata di circa 86,75%

Potremmo continuare a chiamarlo l’"ultimo dittatore d’Europa", ma bisogna riconoscere che si tratta di un dittatore da qualità atipiche per i nostri tempi. Infatti, è l’unico Capo di Stato che riesce trarre vantaggio da ogni passo più o meno falso del proprio vicino più grande. E, naturalmente, da ogni tipo di rapporto di questo vicino con l’Europa. La politica costruita su questo principio permette di mantenere il tenore di vita dei cittadini a un livello buono nonostante tutti i difetti della economia interna centralizzata. Per esempio, quando il vicino vieta l’import dei prodotti alimentari europei, questi ultimi diventano miracolosamente bielorussi (e Bielorussia ci guadagna come rivenditore). Quando il grande vicino decide di fare la guerra a un piccolo vicino comune, Lukashenko si propone subito come un autorevole pacificatore locale (e la Bielorussia ci guadagna in prestigio politico).

Potrei fare altri esempi, ma dal punto di vista tecnico sono troppo simili a quelli appena fatti. Quale politico occidentale è riuscito a lavorare in questo modo e con i medesimi risultati per almeno un mandato?