Le autorità britanniche hanno vietato alla Fondazione per le vittime di guerra di utilizzare il denaro ricevuto dalla vendita della squadra di calcio del Chelsea (circa 2,35 miliardi di sterline) da parte di Roman Abramovich al di fuori dell’Ucraina. Lo ha dichiarato Mike Penrose, il responsabile del fondo, in un articolo per il Times. Secondo quanto sostiene Penrose, prima della vendita del Chelsea, le autorità britanniche e Abramovich avrebbero raggiunto un accordo in base al quale la Fondazione avrebbe gestito il ricavato, utilizzandolo per aiutare «tutte le vittime della guerra in Ucraina». Questo accordo, scrive Penrose, è stato fissato nei documenti di vendita approvati dal governo britannico. Un anno più tardi, però, il governo britannico ha imposto una nuova condizione, secondo la quale la fondazione avrebbe ricevuto il denaro solo se avesse limitato le sue attività ai «confini geografici dell’Ucraina» (e io mi chiedo: quindi anche in Crimea?). La Fondazione non è d’accordo con questa condizione, poiché ritiene che i fondi disponibili dovrebbero essere utilizzati per aiutare i rifugiati ucraini in diversi Paesi, compreso il Regno Unito. Per esempio, la Fondazione potrebbe fornire assistenza alle persone e alle comunità che ospitano i rifugiati oppure assumere esperti internazionali per aiutare le organizzazioni ucraine in questioni come l’istruzione dei bambini che arrivano dall’Ucraina.
A prima vista, la decisione del governo inglese potrebbe sembrare molto strano e in qualche misura stupido. Ma posso anche immaginare la sua logica: nessuno vuole assumersi il rischio di destinare i soldi di un «oligarca» russo rimasto in Russia alle persone il cui status delle vittime non certo al 100%. E la certezza assoluta, purtroppo, non è possibile nemmeno in una situazione così tragica come una guerra. Per esempio: in ogni guerra esistono, purtroppo, i collaborazionisti (i quali, trovandosi sul territorio attaccato, almeno involontariamente utilizzeranno qualche parte dei soldi per il sostegno dell’economia locale). Oppure: chi sono tutti quei maschi ucraini giovani, in età da arruolamento nelle forze di difesa popolare, e apparentemente in piena salute che dopo l’inizio della guerra sono arrivati in Europa autodefinendosi profughi? (Io ne ho visti anche in Italia.) Potrei elencare anche qualche altra domanda, ma penso che i dubbi del governo inglese siano già un po’ più comprensibili. Ai profughi destineranno altri soldi.
Il politico georgiano e ucraino Mikhail Saakashvili — l’ex presidente della Georgia e l’ex governatore della Regione di Odessa — dall’autunno del 2021 è sottoposto in Georgia a un processo penale di origine palesemente politica: gli attuali vertici dello Stato sono palesemente filo-putiniani e quindi cercano di torturare e punire uno degli avversari politici che in passato si erano dimostrati più efficaci, convinti ed emotivi. Da presidente georgiano era riuscito a portare la corruzione quotidiana da storia pluridecennale a un livello prossimo allo zero. Da governatore di Odessa, era riuscito a far assomigliare la burocrazia locale più a quella europea che a quella sovietica (traduco: è già un grande progresso). Privato della cittadinanza di entrambi gli Stati per il conflitto con i vertici del momento storico corrente, aveva deciso di tornare nella propria «prima» patria per continuare la propria carriera politica da riformatore, ma è stato arresto… Ora non mi metto a riassumere tutta la biografia e tutte le sfortune giudiziarie di Saakashvili: le persone realmente interessate possono andare a rileggerle anche in proprio.
In questa sede volevo fare due cose. Prima di tutto, volevo mostrarvi due foto: quella di come è apparso ieri alla ennesima audienza del processo…
… e quella che lo ritrae prima del processo (sì, pesava 116 kg per 195 cm di altezza):
Come potete vedere, le preoccupazioni circa lo stato di salute di Saakashvili pubblicamente espresse dai suoi avvocati, parenti e collaboratori non sembrano proprio infondate.
Presa la visione della prima immagine, il presidente ucraino Zelensky — che prima della guerra era un nemico politico di Poroshenko, il quale, a sua volta, aveva fatto il possibile per cacciare e privare della cittadinanza ucraina Saakashvili — ha dichiarato che «la Russia sta uccidendo, con le mani georgiane, un cittadino ucraino» e ha ribadito l’invito di consegnare Saakashvili alla Ucraina. «Ancora una volta, chiedo alle autorità georgiane di consegnare il cittadino ucraino Mikheil Saakashvili all’Ucraina per le cure e i trattamenti necessari. E invito i nostri partner a non ignorare la situazione e a salvare quest’uomo. Nessun governo in Europa ha il diritto di giustiziare le persone; la vita è un valore europeo fondamentale.»
Ed ecco che ho finito quella premessa che mi permette di re due cose banali: 1) finalmente lo stato di guerra può essere uno strumento utile per esercitare la pressione internazionale a favore di una vita umana concreta; 2) nonostante l’età e gli evidenti problemi di salute, Saakashvili potrà essere molto utile alla Ucraina post-bellica (ha l’esperienza, i contatti e la stima di molti occidentali per poter ottimizzare la ricostruzione).
La settimana scorsa The New York Times aveva scritto che alcuni funzionari dell’amministrazione di Joe Biden avrebbero espresso, privatamente, una preoccupazione circa il fatto che i progressi nella fase iniziale dell’offensiva ucraina sarebbero molto lenti. Ovviamente, gli esperti militari sapranno spiegare a quei funzionari che l’andamento di una guerra reale non può essere programmato e messo in pratica da una sola delle parti. Anzi, non può proprio essere programmato con una alta precisione. Ma, sempre ovviamente, i vertici ucraini hanno avuto un motivo di preoccuparsi per gli aiuti militari e diplomatici futuri.
Di conseguenza, il presidente ucraino Zelensky ha ritenuto necessario ribadire – nel corso della conferenza stampa con il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez a Kiev – che l’Ucraina sarà pronta a negoziare con la Russia solamente dopo che le forze armate ucraine avranno raggiunto i confini del 1991. Paradossalmente, in quella specifica occasione avrebbe anche potuto ringraziare Evgeni Prigozhin per l’aiuto offertogli: per ora non si capisce ancora bene di quanto saranno ridotte le forze della Wagner sul fronte ucraino e quante risorse dell’esercito ufficiale russo saranno richiamate sul territorio russo per garantire la sicurezza del regime di Putin. Ma Zelensky, intanto, potrà ragionevolmente dire all’Occidente che per l’esercito ucraino si aprono delle nuove possibilità. E questo fatto mi rallegra.
Une delle immagini (e dei video) che da parecchi giorni mi sembrano meritevoli di entrare nel patrimonio dell’Umanità è quella di un carro armato della CMP «Wagner» che si è incastrato nel cancello del circo di Rostov-na-Donu:
Anche se non penso che la storia della «Wagner» e di Prigozhin sia giunta al termine.
Ieri ho sentito, quasi per caso, una nuova (per me) versione live del brano «Cause We’ve Ended As Lovers» di Jeff Beck (eseguita nel 2007). Si tratta di un evento interessante anche per il fatto che ho finalmente saputo della esistenza della bassista australiana Tal Wilkenfeld. Interessante.
E dato che ci sono, aggiungo – da tradizione – un secondo brano. Facciamo che sia la «Rice Pudding» (dall’album «Beck-Ola» del 1969).
Nella rubrica musicale seguiranno altri approfondimenti su entrambi musicisti menzionati oggi.
La lettura di approfondimento settimanale questa volta era ancora più facile da scegliere. Nell’articolo segnalato oggi si cerca di capire quale futuro aspetti tutta la CMP Wagner dopo la stranissima «rivolta» di Prigozhin del finesettimana scorso.
Effettivamente, la Wagner faceva un sacco di cose particolari, spesso le faceva con un successo più o meno rilevante e praticamente sempre le faceva con i soldi dello Stato (ricevuti direttamente per delle finalità precise o attraverso i vari contratti di Prigozhin con degli enti statali per la fornitura di cibo, servizi di propaganda, servizi militari etc.).
Sicuramente tutta quella macchina ben organizzata non verrà lasciata sparire inutilmente: è sempre una attività che potrebbe essere comoda a qualcuno, anche allo Stato russo.
È interessante vedere, nell’ottica degli ultimi eventi, i risultati dei sondaggi condotti dall’ente russo «Levada Center» (una organizzazione russa indipendente e non governativa, che conduce sondaggi e ricerche sociologiche).
I sondaggi sulla figura di Evgeny Prigozhin: nel sondaggio del 25–28 giugno, il 29% degli intervistati ha dichiarato di vedere positivamente l’attività di Prigozhin (l’11% che approva pienamente le sue attività, il 18% che le approva parzialmente). Rispondendo alla stessa domanda il 22–23 giugno, il 30% degli intervistati aveva dichiarato di approvare pienamente le attività di Prigozhin, mentre il 28% ha dichiarato di approvarle parzialmente.
I sondaggi sulla figura del Ministro della «Difesa» Sergei Shoigu: una settimana fa il 60% degli intervistati approvava le sue attività (il 30% approvava pienamente e il 30% solo in parte), mentre ora il grado di approvazione è al 48% (il 24% in totalmente e il 24% in parte).
I sondaggi sulla figura di Vladimir Putin: il grado di approvazione è quasi invariato. Prima della «rivolta», l’82% degli intervistati aveva dichiarato di appoggiare in tutto o in parte le sue attività; il giorno della «rivolta» il 79%; e dopo la rivolta ancora l’82%.
Allo stesso tempo, i politici regionali dichiarano che il Cremlino ha comunicato loro che il livello di fiducia di Putin è sceso del 9–14%. E, di conseguenza, in questi giorni viene organizzata una tournée di Putin nelle regioni russe mai vista prima: si sta comportando quasi come un comune politico occidentale che per qualche motivo si interessa del rapporto reale con i potenziali elettori.
Ma il problema è: la cerchia di Putin (ma anche il pubblico internazionale) ha improvvisamente visto che il presidente, in realtà, non ha due cose. In primo luogo, non ha l’appoggio reale delle numerose strutture armate create negli ultimi due decenni (alcune non lo hanno difeso contro Prigozhin nascondendosi non si capisce dove, altre «erano bloccate nel traffico» come i combattenti di Kadyrov). In secondo luogo, nessuno di quei oltre l’80% dei cittadini si era organizzato per difendere – almeno attraverso delle manifestazioni da piazza – l’"amato" presidente.
Di conseguenza, nonostante tutti i sondaggi possiamo sperare che Putin ora rischi un po’ di più a essere «scaricato» da chi si sente più forte di lui.
Nella regione di Mogilev, vicino alla città di Osipovichi (in Belorussia), sarebbero iniziati degli importanti lavori edili sul territorio di una unità militare. Il canale Telegram «Bielorussia celebrale» pubblica le immagini satellitari in base alle quali il 14 giugno non c’era ancora alcuna costruzione nella zona, mentre le immagini scattate il 27 giugno mostrano già delle costruzioni. Si presume che nei pressi di Osipovichi si stia costruendo un campo per le unità della PMC Wagner che avrebbero lasciato la Russia dopo la fine della «rivolta» di Evgeny Prigozhin. Il campo sarebbe progettato per circa otto mila uomini.
L’avanzamento dei lavori di questa opera specifica potrebbero essere seguiti anche con l’aiuto di Google.
Con l’aiuto del cervello, invece, possiamo facilmente immaginare che nemmeno la costruzione del campo più bello al mondo più garantire una vita lunga a Evgeny Prigozhin o a[l regime di] Vladimir Putin. E, soprattutto, non abbiamo ancora visto alcuna traccia della emigrazione di massa dei membri della Wagner: se pensiamo infatti, che in un normale camion attrezzato al trasporto dei militari ci stanno circa trenta persone o che una tenda militare ci sta una quantità molto ridotta di persone, ci rendiamo conto di non avere visto alcuna immagine satellitare che testimonierebbe il reale spostamento di massa dei combattenti.
Quindi continuiamo a osservare la situazione con tanto scetticismo. E curiosità.
Suppongo che più o meno tutti abbiano letto o sentito quelle giustificazioni che Evgeny Prigozhin aveva diffuso lunedì per spiegare la stranissima fine della sua «marcia su Mosca». Di tutte quelle giustificazioni continua a sembrarmi realistica solo una: non intendeva conquistare il potere. Le altre tesi, invece, fanno un po’ ridere.
L’uomo che ha mandato al massacro decine di migliaia di soldati russi (non solo in Ucraina, ma anche in Africa e in Siria), parla della propria presunta riluttanza a versare una sola goccia di sangue russo.
L’uomo che ci ha messo quasi un anno a conquistare la piccola cittadina Bakhmut, ora parla del «masterclass» militare che avrebbe impartito a tutti. E lascia intendere che lo stesso sarebbe accaduto all’Ucraina se avesse comandato lui l’Esercito russo.
Il ladro (anche dei fondi pubblici) accusa altri ladri (anche dei fondi pubblici) di aver rubato.
Il personaggio di dubbie qualità morali parla della «Marcia della Giustizia».
L’organizzatore di una società militare privata criminale (per il Codice Penale russo l’organizzazione di una società militare privata è un reato, grave) parla di legalità.
Ecco, almeno abbiamo capito ancora meglio perché, fino a un certo momento, era in sintonia con Putin.
Leggere la stampa internazionale sui fatti accaduti nel proprio Paese è spesso utile e interessante: a volte (raramente) si scoprono dei fatti nuovi e a volte (in realtà spesso) si scoprono delle interpretazioni alle quali non avresti mai pensato perché troppo influenzato dalle fonti abituali.
Ma spesso capitano anche delle letture quasi divertenti. Per esempio: ho notato che alcuni giornalisti occidentali in generale e italiani in particolare definiscono il mercenario Dmitry Utkin con l’espressione «il numero due della Wagner». Ebbene, devo constatare che tutti quei giornalisti sono caduti in una trappola mentale che si sono creati da soli: pensano che Evgeny Prigozhin sia «il numero uno della Wagner» solo perché sono loro stessi a prestargli tanta attenzione. Ma in realtà Prigozhin è un personaggio mediatico facilmente «vendibile» e quindi «consumato» in Occidente perché è particolarmente attivo su internet. Mentre internet è una fonte tecnicamente più facilmente consultabile: sia dal punto di vista della semplice accessibilità a tutte le persone capaci di usare i devices elettronici, sia dal punto di vista linguistico (esistono tanti strumenti per poter leggere o ascoltare i contenuti originariamente creati in una lingua diversa dalla propria). Di conseguenza, i giornalisti vedono facilmente Prigozhin e pensano che sia una delle figure più importanti della Wagner e della Russia.
Mentre in realtà il ruolo principale di Prigozhin è quello di gestire i rapporti politici, tecnici e finanziari (spesso è la stessa cosa) con la classe dirigente russa. Dmitry Utkin, invece, è il dirigente della Wagner che opera direttamente sul campo militare, è più un uomo da trincea che da ufficio moscovita o sanpietroburghese.
Al massimo, potrei dire che la Wagner ha due numero uno: Prigozhin e Utkin. Un po’ come se fossero i due consoli di uno Stato nello Stato…