Il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky ha dichiarato che gli Stati-membri dell’UE hanno adottato un piano per utilizzare i proventi dei beni finanziari russi congelati a favore dell’Ucraina. Secondo il piano annunciato a marzo da Josep Borrell, il 90% dei proventi dei beni congelati, circa tre miliardi di euro all’anno, saranno destinati al Fondo europeo per la pace istituito nel 2021 (e dal quale vengono ora stanziati fondi per gli aiuti militari all’Ucraina).
A questo punto è importante capire almeno due cose: 1) non sono soldi russi, ma gli utili che si sono formati per dei motivi puramente tecnici (in sostanza, giacenza dei soldi sui conti degli enti di vigilanza finanziaria); 2) nessuno (nemmeno lo Stato russo o l’EU) ci perde alcunché, mentre l’Ucraina ci guadagna.
L’adozione della suddetta forma di aiuto può potenzialmente produrre almeno due effetti positivi: 1) gli USA si decidono, finalmente, di fare anche loro qualcosa del genere (ora hanno la «scusa» del buon esempio); 2) la «ricerca» dei fondi russi continua grazie a un nuovo stimolo.
Ma poi resta il vecchio problema: i soldi ci sono, ma le armi no.
L’archivio del maggio 2024
Vladimir Zelensky, nella intervista a Reuters pubblicata ieri, tra le altre cose ha detto che gli aiuti militari occidentali all’Ucraina arrivano con circa un anno di ritardo rispetto a ogni accordo raggiunto.
Se ora vi siete messi a ipotizzare le date delle consegne di quei «materiali» che tutti noi abbiamo in mente, immaginate anche chi altro fa attualmente le stime dello stesso tipo. Significa che Zelensky ha suggerito una tattica? No: la controparte è assolutamente capace di fare delle osservazioni così semplici. Di conseguenza, io vorrei sperare che abbia invece tentato di inventare una tattica, sempre semplice, di disorientamento.
Vorrei sperare, appunto…
Un tizio, mentre era al telefono per discutere di un nuovo lavoro da eseguire, è entrato in una galleria. Tra i rumori di linea, normali per un luogo del genere, ha pensato di sentire l’espressione «presiden °*ç*Pé R *+# si |**».
«Ah, ok, intendevano il presidente Raisi», ha pensato il tizio. «Non chiedo di ripetere perché così magari pensano che io sia tonto e affidano il lavoro a qualcun altro!»
Ed è andata come è andata…
P.S.: in russo la «barzelletta» suona un po’ meglio, ma penso che abbiate capito comunque…
Comunque, in tutti i video dell’attentato al premier slovacco Rober Fico pi di tutte mi ha impressionato una cosa particolare…
La «prontezza» delle guardie del corpo, che si sono «svegliate» quando tutto era già avvenuto… Anzi, alcuni si sono svegliati quando il premier ferito era già stato caricato sulla macchina.
In base a quali criteri saranno stati assunti? Boh…
A volte – ma più spesso di quanto un lettore medio possa ipotizzare – la mia scelta delle composizioni musicali da postare nella presente rubrica viene dettata dagli eventi che si verificano nella vita quotidiana. In ogni caso, quegli eventi prima o poi si dimenticano, mentre i post musicali rimangono.
Prima o poi si dimenticherà pure il motivo (ben preciso!) per il quale ho scelto le due composizioni di oggi.
La prima composizione di oggi è di Marcel Lucien Tournier (1879–1951), un compositore, arpista e insegnante francese… Quanti di voi erano in grado di immaginare un uomo arpista? Eppure, in questo mondo tutto è possibile! Tournier, in particolare, fu tanto affezionato al proprio strumento musicale da comporre molto per l’arpa sola o, più raramente, inserita all’interno di un ensemble da camera. Così, alla fine degli anni ’40 compose la «Ce que chante la pluie d’automne» (Op. 49):
La seconda composizione che ho scelto per oggi è del compositore italiano Ottorino Respighi (1879–1936). Conosco relativamente poco il compositore, ma conosco bene il grande personaggio che canta la «Pioggia» (che in realtà era composta da Respighi, nel 1909, per pianoforte e mezzosoprano, ma va bene anche così):
Ecco, penso che per oggi possa andare bene così. Almeno sul mio sito la pioggia viene accesa e spenta quando e come lo voglio io, ahahaha
Nei giorni scorsi ho notato che in Italia si scrive e si parla delle proteste georgiane contro l’approvazione di una legge di fatto copiata da una analoga legge russa, ma, allo stesso tempo, non si comprende del tutto la portata del problema (non la comprendono nemmeno alcuni politici più o meno noti che a sorpresa hanno deciso di candidarsi alle elezioni europee, qualcuno di voi sa chi intendo).
Quella nuova legge georgiana permette non di «identificare gli agenti che perseguono gli interessi di potenze straniere» (come sostiene il partito filo-russo), ma di etichettare le organizzazioni sgradite con un nome dispregiativo e, di conseguenza, di ostacolare il loro normale funzionamento. L’identificazione, infatti, si poteva fare anche prima: attraverso l’analisi del loro operato pubblico o della documentazione che da decenni sono tenute per legge a redigere e pubblicare con una certa periodicità (come in tutti gli Stati normali). Per il semplice motivo finanziario – come si fa a ricevere, in mondo globale, i soldi dal territorio di uno solo Stato? – la legge propone di assegnare a molte organizzazioni una etichetta «agente estero» che nella mentalità sovietica e post-sovietica equivale a «spia». In Russia, ormai da anni, quella etichetta viene applicata non per i semplici motivi finanziari, ma quelli puramente politici. La Georgia si trova ora all’inizio di un percorso che ha la stessa destinazione…
Per iniziare a capire qualcosa delle proteste georgiane contro la nuova legge che avvicina la Georgia più al modello russo che a quello europeo, potete leggere, per esempio, l’articolo che ho selezionato per questo vostro sabato.
P.S.: il fatto che i georgiani giovani, istruiti e informati hanno paura della Russia mi rattrista e rallegra allo stesso tempo…
Nello studio generale della storia mondiale può essere molto divertente anche il semplice studio della cronologia. Per esempio: provate a visitare la pagina della Wikipedia che elenca le invenzioni irlandesi.
Ebbene, sì: dopo l’invenzione del whiskey gli irlandesi si sono presi circa 300 anni di pausa. Chissà perché…
P.S.: nel 2012 è stata istituita la Giornata mondiale del whiskey, essa si «celebra» il terzo sabato di maggio bevendo indovinate cosa agli eventi pubblici registrati sull’apposito sito.
Molto probabilmente in questi giorni avete già letto che per la propria prima visita all’estero il nuovo Presidente russo ha scelto la Cina: è partito il mercoledì 15 maggio – appena otto giorni dopo l’insediamento ufficiale – per fare due giorni di incontri (il 16 e il 17 maggio). Si è fatto accompagnare da alcuni ministri, la presidente della Banca centrale russa e alcuni imprenditori più ricchi. Non conosco i motivi reali di tale visita, ma immagino facilmente che abbia rispettato la vecchia (e di portata mondiale) tradizione di fare la prima visita ufficiale in uno degli Stati più importanti per la propria politica internazionale.
Ufficialmente la Cina viene ancora presentata dalla propaganda russa come il «partner principale della Russia», ma solo una persona che non sa un cazius della Cina può credere alle dichiarazioni del genere. La Cina fa gli interessi propri (come ogni altro Stato del nostro pianeta), è caratterizzata da una mentalità molto «isolazionista» (secondo la quale esisterebbe essa e poi il resto del mondo considerato come una periferia irrilevante) e non è particolarmente interessata al piccolo mercato russo (molto più piccolo di quello europeo o americano). Gli unici due aspetti che potrebbero interessare la Cina in Russia sono le risorse naturali (che ora si possono comprare a prezzi più bassi perché la Russia non sa in che modo farli arrivare sul mercato globale) e la via di passaggio per le merci verso i mercati occidentali.
Lo Stato russo, da parte sua, spera di ottenere dalla Cina, per esempio, le tecnologie (di fabbricazione cinese o quelle occidentali in contrabbando) necessarie per l’industria, non solo quella strettamente bellica.
Di conseguenza, il «nuovo» presidente russo è andato in Cina con tutta la sua corte per dimostrare di continuare a essere un partner commerciale seriamente interessato e strappare qualche nuovo accordo. In sostanza, ci è andato per chiedere qualcosa in cambio di quello che la Cina sa già di poter ottenere. In realtà, non è proprio la posizione di un partner…
Ma la cosa più divertente del primo giorno della visita è una dichiarazione congiunta di Russia e Cina, in base alla quale la Russia e la Cina «si oppongono al „prolungamento“ della guerra in Ucraina e ritengono che non debba entrare in una „fase incontrollata“». È divertente perché tecnicamente Putin può finire la guerra con la sola decisione propria in qualsiasi momento, mentre politicamente non sa come farlo: perderebbe la possibilità di fare o non fare qualsiasi cosa in Russia con la giustificazione della guerra in corso; avrebbe anche la necessità di fare qualcosa con centinaia di migliaia di persone tornate (con le armi e le abitudini poco vivili) dalla guerra verso una vita quotidiana monotona e gli stipendi bassi. È divertente anche perché la fine della guerra potrebbe essere fortemente voluta dalla Cina, alla quale conviene un mondo prevedibile con l’economia crescente.
Di conseguenza, possiamo ipotizzare da chi dei due sia stata voluta quella «dichiarazione comune».
I possibili motivi dell’attentato di ieri al premier slovacco Robert Fico sono infiniti, ma, data la sua vicinanza ideologia al «putinismo», mi è venuto spontaneo pensare prima di tutto all’azione di una persona particolarmente infastidita dalla prospettiva di vivere in uno Stato-sponsor della guerra. Perché, infatti, più si è territorialmente vicini alla Russia, e più si percepiscono i pericoli della guerra (con tutte le possibili emozioni e/o i ricordi del passato).
I motivi dell’attentato potrebbero essere quelli, ma potrebbero anche essere diversi; Robert Fico è un personaggio che mi è per nulla simpatico (almeno, in base quelle informazioni non particolarmente approfondite che ho su di lui). Ma, nonostante tutte questo, auguro la morte (anche a causa di un attentato) solo a un politico di questo mondo (e so che non è una cosa bellissima). A tutti gli altri politici auguro di essere affrontati e sconfitti in un modo pacifico; ai cittadini dei loro Stati auguro di evitare i sentimenti e il clima dell’oddio. Quell’oddio che, per esempio, determina e rende possibili le azioni di Putin.
Ieri pomeriggio la Duma (la Camera bassa del Parlamento russo) a grandissima sorpresa ha approvato le «candidature» della maggioranza dei ministri del Governo del premier Mishustin: solo i ministri degli Esteri, della «Difesa» e della «Giustizia» devono essere approvati, secondo la nuova versione della Costituzione russa, dal Consiglio Federale (la Camera alta). Il fatto stesso della approvazione del nuovo Governo è dovuto alle tradizionali dimissioni del Governo prima dell’insediamento del Presidente della Russia neoeletto (il quale nomina il Primo ministro; quest’ultimo propone i nomi dei ministri e poi si va ad affrontare l’"esame" del Parlamento).
Nelle ultime ore avete letto o sentito molto sulla edizione 2024 di questa procedura? Nel caso della risposta affermativa, avete sprecato il tempo della vostra unica vita in una maniera scandalosa. Infatti, potete provare a darvi le risposte alle seguenti domande…
Il Parlamento di fatto nominato dalla Amministrazione presidenziale poteva non approvare i «candidati»?
I «candidati» potevano essere sconosciuti o addirittura sgraditi al Presidente?
Ogni singolo ministro o il Governo (quelli russi, ovviamente) hanno qualche autonomia nella scelta della politica da condurre?
Se riuscite a rispondere correttamente alle suddette domande, capite facilmente che i ministri russi sono dei semplici funzionari che, nel migliore dei casi, devono avere le competenze tecniche e l’autorità burocratica per far eseguire gli ordini di indovinate chi.
Di conseguenza, potremmo anche non conoscere i loro nomi: perché, appunto, sono solo dei semplici funzionari. Svolgono la loro funzione in una modalità impersonale. E il vettore della politica dello Stato russo non cambia.