L’archivio del 2023 год

Forse manca solo un passaggio

Ieri le autorità britanniche hanno introdotto le sanzioni contro 46 persone fisiche e giuridiche legate in vari modi all’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, le sanzioni sono rivolte contro più di 30 aziende e persone coinvolte nella produzione di droni e missili, nonché nell’importazione di prodotti elettronici.
Si tratta di una buona occasione per precisare che le varie autorità competenti degli Stati occidentali, se realmente volessero raggiungere degli obiettivi utili contro la guerra tramite l’adozione delle sanzioni, farebbero bene a iniziare a sanzionare le persone e le imprese coinvolte nella esportazione verso la Russia di beni e tecnologie utilizzate per la continuazione della guerra stessa. Infatti, quei beni e quelle tecnologie teoricamente, in base alle sanzioni già adottate, non possono essere esportate in Russia, ma ci arrivano comunque grazie alle sequenze più meno complesse di intermediari. Per esempio (e per semplificare), vengono vendute dal produttore a una società turca, poi rivendute a una società kazaka e poi fornite alla Russia. Cercare, trovare e sanzionare gli intermediari, le banche attraverso le quali effettuano i pagamenti e i trasportatori ai quali affidano gli oggetti è sicuramente più difficile di inventare le nuove sanzioni (dove basterebbe aprire un dizionario e scegliere un nuovo oggettivo a caso), ma è anche infinitamente più efficace.
Forse alle autorità britanniche citate all’inizio del post manca solo un piccolo passaggio logico… Spero che almeno loro lo facciano.


Il destino dei “wagneriani”

Nell’ottobre 2022 circa 200 detenuti di un carcere di massima sicurezza nella regione di Chelyabinsk (in Russia) si erano arruolati nella PMC «Wagner» per partecipare alla guerra in Ucraina. Il giornale The New York Times ha scoperto il destino di 172 di quei detenuti e ha redatto un ritratto del «wagneriano» medio studiando i database dei tribunali e parlando con i parenti degli ex detenuti e, a volte, con loro stessi. Un detenuto arruolato su tre stava scontando una pena per omicidio. Uno su quattro di quelli inviati al fronte è stato ucciso. La maggior parte dei sopravvissuti è tornata a casa, dunque in libertà (solitamente dopo sei mesi di partecipazione alla guerra, come da contratto). Alcuni di loro hanno commesso di nuovo un reato. Altri raccontano di come le loro famiglie siano ora orgogliose di loro, ringraziando Vladimir Putin per la possibilità di iniziare una nuova vita, non mettendo in dubbio il motivo per cui la guerra a cui hanno partecipato era necessaria e imparando a convivere con i traumi e le ferite subite sul campo di battaglia.
Si tratta di una ricerca giornalistica interessante che potete, volendo, leggere da soli. Mentre io sottolineo un aspetto che si discute in Russia praticamente da quel giorno esatto in cui il capo della Wagner Prigozhin aveva iniziato ad arruolare i criminali nelle carceri. Da un lato, i residenti del Cremlino — in accordo con i quali agiva Prigozhin — non possono non capire il pericolo del ritorno di massa degli ex detenuti dalla guerra: torneranno abituati a uccidere, torturare e derubare i civili, non «curati» per il loro passato criminale e sicuramente in possesso delle armi procurate in vari modi al fronte. Dall’altro lato, in base alle notizie ricevute dal fronte ucraino sappiamo che molto spesso gli ex detenuti sono i primi a essere mandati nelle missioni più disperati, praticamente alla morte sicura: questo potrebbe farci pensare che una delle intenzioni del «Cremlino» collettivo sarebbe stata quella di disfarsi di quel peso umano.
Di conseguenza, il ritorno dalla guerra dei circa tre quarti degli ex detenuti può essere visto, in un certo senso, come uno dei fallimenti dello Stato russo in questa guerra. Capisco che è un po’ strano e brutto scrivere e leggere del suddetto problema in questi termini, ma la realtà bellica non può essere umanamente bella.


Un candidato strano

La rivista statunitense Time ha anticipato la lista dei candidati al titolo della persona dell’anno 2023. Tra i nove nomi c’è anche quello di Vladimir Putin perché egli «continua a condurre la guerra in Ucraina per il secondo anno. Nel 2023 ha affrontato una breve minaccia al suo potere durante la ribellione del PMC Wagner, ma alla fine la sua influenza si è rafforzata».
Boh, a me sembra una motivazione un po’ dubbia e debole, anche perché mi ricordo come era stato spaventato dalla stranissima ribellione evaporata da sola e per dei motivi non del tutto chiari. Di conseguenza, in base ai risultati del 2023 gli assegnerei il titolo del politico fortunato dell’anno (non tanto per i risultati di quella «ribellione», ma perché nessun avversario serio si è deciso di contrastarlo sul serio) oppure il titolo dell’antipersona dell’anno (dove avrebbe la possibilità di vincere solo perché il Hamas non è una persona singola).
Ora aspettiamo la scelta finale del Time. Nella lista dei nove c’è un candidato che mi sembra il più meritevole degli altri, ma per ora non vi dico il nome…
P.S.: non sono mica le «elezioni» presidenziali russe! Ahahahah


In una foto

Penso che solo un pezzo ritagliato da una foto di un militare russo ucciso in Ucraina possa essere mostrato… E, ovviamente, deve essere mostrato: per ricordare, ancora una volta, che alcuni di quei personaggi sono andati a invadere lo Stato vicino per scelta e con degli obbiettivi personali preceisi (anche se diversi da quelli dichiarati pubblicamente da Putin).

I resti di questo personaggio concreto giacciono sul sacco di plastica nero nel quale tornerà a casa in Russia (per chi non lo sapesse: non è uno scherzo).
A certi leader europei va ricordato che anche sui loro territori ci sono un po’ di oggetti belli e attraenti per qualcuno.


Il video di una fuga

Purtroppo, capita anche questo… I mass media ucraini hanno pubblicato il filmato di una fuga dall’ufficio di reclutamento militare nella città ucraina di Mukachevo, nella regione della Transcarpazia:

Non si capisce se il tipo sia alla fine stato raggiunto dal militare che si era messo a rincorrerlo, ma ora non importa. Volevo solo sottolineare che il fuggitivo è in una ottima forma fisica, un po’ come certi «profughi» ucraini che vedo in Italia (e che alcuni miei amici e conoscenti hanno visto in altri Stati europei). Allo stesso tempo, so che non è proprio un fenomeno di massa, ma solo un modo in cui alcuni «fenomeni» singoli cercano di arrivare ai tempi migliori. Pensando che a loro non verrà chiesto nulla.


La musica del sabato

Il nome del gruppo statunitense Double Trouble – attivo nei generi di blues rock e rock strumentale – viene spesso nominato come un gruppo di accompagnamento del chitarrista blues Stevie Ray Vaughan. Io non sono del tutto sicuro che sia giusto nominarlo in quel modo: significherebbe sminuire la bravura e il ruolo dei musicisti che nel corso degli anni si sono impegnati quanto Vaughan e hanno contribuito a far emergere tutta la sua grandezza. Formalmente, poi, «Double Trouble» è il nome assunto dal gruppo Triple Threat dopo l’abbandono della cantante Lou Ann Barton e l’inizio della leadership di Vaughan già membro del gruppo…
Dunque, io dico che oggi posto due canzoni del gruppo Double Trouble tratte da uno dei loro album migliori: il «Soul To Soul» del 1985. Si tratta di uno dei tre album registrati nel periodo più fortunato del gruppo, quindi dei tempi quando i Double Trouble erano composti da Stevie Ray Vaughan (morto nel 1990), Tommy Shannon, Chris Layton e Reese Wynans.
La prima canzone dell’album che ho scelto per questo post è la «Ain’t Gone ’n’ Give Up on Love»:

Mentre la seconda canzone scelta è la «Empty Arms»:

È sempre soddisfacente diffondere la conoscenza di una cosa bella.


Uno delle mie recenti scoperte più strane relative alla guerra putiniana in Ucraina consiste nel fatto che il settore aereo russo – non solo l’aeronautica militare, ma anche quella civile – continua tuttora a ricevere delle importanti quantità di pezzi di ricambio dalla Ucraina.
In base a quello che ho letto negli ultimi mesi sullo stato del parco aereo impegnato nel trasporto passeggeri sulle linee interne russe (dove si usano ancora molti velivoli di produzione della fabbrica ucraina Antonov, spesso vecchi più di cinquant’anni), le quantità dei pezzi in arrivo dalla Ucraina non sono assolutamente sufficienti per poter fare la manutenzione di tutti gli aerei in funzione, ma non importa. Mi ha stupito proprio il fatto che alcuni personaggi ucraini abbiano trovato le forze morali e il semplice coraggio di rischiare tutto (la stima da parte degli altri, la libertà e il benessere personali) per continuare ad avere i rapporti commerciali con la Russia e farlo in ambito strategicamente importante.
Anche se capisco benissimo che in ogni Stato e in tutte le epoche esistono delle persone da qualità abbastanza particolari: nel migliore dei casi danno sempre la priorità assoluta ai soldi.


Cosa ci fa intendere l’OPEC+

La Reuters scrive che gli Stati-membri della OPEC+ avrebbero raggiunto un accordo provvisorio per tagliare — al fine di mantenere il livello dei prezzi — la produzione di oltre un milione di barili di petrolio al giorno nel primo quarto del prossimo anno. Attualmente i membri dell’OPEC+, tra cui Arabia Saudita e Russia, producono oltre il 40% del petrolio mondiale (circa 43 milioni di barili al giorno).
Se l’accordo dovesse essere formalizzato, comporterebbe almeno due cose ovvie. In primo luogo, le solite conseguenze possibili del petrolio più costoso del possibile sui prezzi che alla fine vedono i consumatori privati un po’ in tutto il mondo. In secondo luogo, lo Stato russo continuerà a guadagnare i soldi necessari per la continuazione della sua politica aggressiva (vi ricordo che l’imposizione del prezzo massimo del petrolio russo non funziona bene quanto previsto: nei primi nove mesi del 2023 il prezzo medio del petrolio Urals è sceso solo del 26%).
Il secondo punto, in particolare, confermerebbe ancora una volta la tesi secondo la quale è impossibile sconfiggere/punire il regime putiniano smettendo di finanziarlo con l’acquisto delle materie prime: in parte perché è abbastanza difficile influire sul comportamento di una organizzazione come l’OPEC+ e in parte perché, obiettivamente, per ora è tecnicamente impossibile togliere le materie prime russe dal mercato mondiale (se compri da un’altra parte, qualcun’altro sarà costretto comprare dalla Russia). Di conseguenza, gli Stati occidentali democratici hanno due opzioni: sconfiggere l’esercito russo con le mani ucraine fornendo le tecnologie necessarie oppure ammettere, prima o poi, la propria sconfitta. Anche se, purtroppo, prevedo che secondo la demagogia politica perderà solo l’Ucraina, mentre gli altri Stati faranno finta di non c’entrare nulla con quanto successo…


Iseo, 16 agosto 2023

Ho finalmente pubblicato il rapporto fotografico sulla mia visita a Iseo del 16 agosto 2023.
La maggioranza di voi ha – oppure ha avuto per un periodo della vita – in tasca almeno un oggetto che porta il nome di questo paese sul lago d’Iseo. Vi confermo che quell’oggetto è veramente stato prodotto vicino a Iseo, ma, allo stesso tempo, avviso che la relativa industria è una delle pochissime «attrazioni» note del paese che non tratto nel racconto. Mi sono bastate quelle tradizionali.


Le cose ovvie ma giuste

Presumo che più o meno tutte le persone interessate hanno già letto l’intervista del Presidente ceco Petr Pavel pubblicata l’altro ieri dal Corriere della Sera. In sostanza, quella intervista ripete una serie di concetti che mi sembrano ovvi praticamente dall’inizio della guerra (e ne ho scritto più volte), il più importante di essi è: la sconfitta della Ucraina – ma in realtà anche una «pausa» nella guerra – equivale alla continuazione della guerra da parte di Putin. la continuazione che avrà luogo su altri territori, in tempi non lontani, con le forze e le risorse rinnovate e, non per ultima, con la convinzione di poter fare, indisturbato, qualsiasi cosa.
Quello di Petr Pavel non è un allarmismo del vicino geografico della Russia (anche se la vicinanza a volte permette di vedere certe cose) e non [solo?] una visione della realtà con gli occhi da ex generale. Purtroppo o per fortuna, è una analisi corretta della situazione. Di conseguenza, avrei potuto semplicemente copiare il testo della suddetta intervista anziché pubblicare un post proprio. Ma preferisco ricordarvi dell’originale: anche i giornali devono guadagnare con la pubblicità, ahahaha