Suppongo che più o meno tutti abbiano letto o sentito quelle giustificazioni che Evgeny Prigozhin aveva diffuso lunedì per spiegare la stranissima fine della sua «marcia su Mosca». Di tutte quelle giustificazioni continua a sembrarmi realistica solo una: non intendeva conquistare il potere. Le altre tesi, invece, fanno un po’ ridere.
L’uomo che ha mandato al massacro decine di migliaia di soldati russi (non solo in Ucraina, ma anche in Africa e in Siria), parla della propria presunta riluttanza a versare una sola goccia di sangue russo.
L’uomo che ci ha messo quasi un anno a conquistare la piccola cittadina Bakhmut, ora parla del «masterclass» militare che avrebbe impartito a tutti. E lascia intendere che lo stesso sarebbe accaduto all’Ucraina se avesse comandato lui l’Esercito russo.
Il ladro (anche dei fondi pubblici) accusa altri ladri (anche dei fondi pubblici) di aver rubato.
Il personaggio di dubbie qualità morali parla della «Marcia della Giustizia».
L’organizzatore di una società militare privata criminale (per il Codice Penale russo l’organizzazione di una società militare privata è un reato, grave) parla di legalità.
Ecco, almeno abbiamo capito ancora meglio perché, fino a un certo momento, era in sintonia con Putin.
L’archivio del 2023 год
Leggere la stampa internazionale sui fatti accaduti nel proprio Paese è spesso utile e interessante: a volte (raramente) si scoprono dei fatti nuovi e a volte (in realtà spesso) si scoprono delle interpretazioni alle quali non avresti mai pensato perché troppo influenzato dalle fonti abituali.
Ma spesso capitano anche delle letture quasi divertenti. Per esempio: ho notato che alcuni giornalisti occidentali in generale e italiani in particolare definiscono il mercenario Dmitry Utkin con l’espressione «il numero due della Wagner». Ebbene, devo constatare che tutti quei giornalisti sono caduti in una trappola mentale che si sono creati da soli: pensano che Evgeny Prigozhin sia «il numero uno della Wagner» solo perché sono loro stessi a prestargli tanta attenzione. Ma in realtà Prigozhin è un personaggio mediatico facilmente «vendibile» e quindi «consumato» in Occidente perché è particolarmente attivo su internet. Mentre internet è una fonte tecnicamente più facilmente consultabile: sia dal punto di vista della semplice accessibilità a tutte le persone capaci di usare i devices elettronici, sia dal punto di vista linguistico (esistono tanti strumenti per poter leggere o ascoltare i contenuti originariamente creati in una lingua diversa dalla propria). Di conseguenza, i giornalisti vedono facilmente Prigozhin e pensano che sia una delle figure più importanti della Wagner e della Russia.
Mentre in realtà il ruolo principale di Prigozhin è quello di gestire i rapporti politici, tecnici e finanziari (spesso è la stessa cosa) con la classe dirigente russa. Dmitry Utkin, invece, è il dirigente della Wagner che opera direttamente sul campo militare, è più un uomo da trincea che da ufficio moscovita o sanpietroburghese.
Al massimo, potrei dire che la Wagner ha due numero uno: Prigozhin e Utkin. Un po’ come se fossero i due consoli di uno Stato nello Stato…
Provo a schematizzare le mie prime considerazioni… Per capire appieno quella iperveloce «rivolta» di Evgeny Prigozhin che sabato ha scosso un po’ tutto l’Occidente, bisogna capire le motivazioni di almeno quattro suoi protagonisti.
1. Evgeny Prigozhin. Bisogna ricordare che non è un personaggio pubblico né dal punto di vista attivo né da quello passivo. Questo significa che utilizza i social media per rivolgersi alle persone le cui attenzione e reazione gli interessano, ma non cerca il consenso popolare (anche se, ovviamente, c’è chi lo legge); allo stesso tempo, non è un personaggio pubblico dal punto di vista passivo perché i mass media russi ne parlano poco (al massimo dicono «guardate cos’altro ha detto quel pazzo»); più una testata è vicina allo Stato e meno parla di Prigozhin. In generale, si può dire che il personaggio è molto più noto e seguito in Europa che in Russia.
Ovviamente, in Russia non è necessario essere noto e/o popolare per conquistare e mantenere il potere. È sufficiente conquistare i principali posti di comando a Mosca. A quel punto la maggior parte della popolazione resterà totalmente indifferente al cambio del «capo» (sì, c’è questo interessante fenomeno sociale che può essere riassunto con la frase «l’importante è che mi lascino stare»), mentre l’esercito, le forze dell’ordine e i vari dipendenti statali cercheranno di puntare sul candidato al potere più probabile. La storia insegna che in Russia succede così da secoli.
Il problema è che Prigozhin, non essendo interessato alla vita pubblica in generale e agli impegni istituzionali in particolare, non aveva iniziato la «rivolta» per conquistare il potere. A Prigozhin interessano due cose: i soldi (da sempre) e la sicurezza personale (in un modo particolare negli ultimi mesi). I soldi costituiscono il motivo principale del suo lungo conflitto con il ministro della «Difesa» Shoigu: anni fa, molto prima della guerra in Ucraina, Prigozhin aveva tentato (come si deduce da alcuni indizi) diventare uno dei fornitori principali del cibo all’Esercito russo. Potete immaginare facilmente che si trattava di contratti molto ricchi. Ma quei contratti non erano stati ottenuti, quindi era iniziato quel conflitto con il ministro che durante la guerra in Ucraina ha messo a rischio la sicurezza fisica di Prigozhin. Infatti, egli ha fatto delle promesse a Putin, ma da un certo punto in poi non si è più sentito in grado di mantenerle: non sa più dove prendere altri combattenti e altre munizioni (molte munizioni non vengono fornitegli proprio dal Ministero di Shoigu). Di conseguenza, già mesi fa comprende il rischio di essere nominato un «traditore di Putin» e «colpevole degli insuccessi militari in Ucraina». Comprende che la minaccia per la sua vita arriva proprio da Putin, quindi tenta di salvarsi.
Purtroppo per lui, si è dimenticato che accettando la «proposta di Lukashenko», si è creato un nemico eterno. Infatti, Putin non dimentica e non perdona: finché è in vita, cercherà di punire il «traditore» Prigozhin. Ha dei mezzi per farlo in qualsiasi punto del pianeta.
2. Vladimir Putin. Probabilmente lo sapete anche senza di me, ma a Putin nella vita pubblica piacciono almeno due cose: essere associato solo alle notizie positive e apparire un tipo duro. Non ha mai parlato degli insuccessi militari in Ucraina (gli insuccessi sono la colpa dei generali, mentre le vittorie sono il merito di Putin), si era nascosto da qualche parte nei periodi meno favorevoli per l’Esercito russo e, inizialmente, non aveva reagito alla «rivolta» di Prigozhin. Ma la mattina del sabato 24 giugno era apparso in televisione con un discorso debolissimo. Anziché dire qualcosa come «Fottuto Prigozhin, ti do due ore per sparire, poi mi incazzo sul serio!», ha iniziato quasi a piangere del tradimento… Alla fine, avendo paura di fallire pubblicamente, non ha voluto nemmeno combattere o trattare con Prigozhin per il proprio potere. E ha affidato tutto a Lukashenko.
3. Sergey Shoigu. Ho già menzionato il suo lungo conflitto con Prigozhin. Ma ora ci interessa per un motivo molto più curioso: da mesi (forse anche da più mesi di noi) sapeva dell’aggravarsi dei rapporti con il capo di una grande banda armata, ma l’intero Esercito (del quale è Ministro) non si è preparato in alcun modo agli eventuali problemi. Non vedeva alcun pericolo? Allora è un cretino che debba essere ricoverato al più presto. O, forse, cerca di non farsi attribuire tutte le colpe per gli insuccessi in Ucraina passando per pazzo?
4. Aleksander Lukashenko. Sicuramente ora è felice come mai (tranne un giorno degli anni ’90) è stato nella propria vita: ha fatto un enorme favore a Putin, gli ha salvato la faccia, e ora può pretendere altri aiuti economici (li pretende da quando è al potere) fino alla fine dei giorni presidenziali di Putin. E/o dei propri. Si vedrà.
A questo punto vi concedo una pausa perché il testo è venuto un po’ troppo lungo.
La marcia di Prigozhin su Mosca – della quale hanno scritto e parlato più meno tutti ieri – già da ieri mi sembra una barzelletta con l’ottantesimo livello del cringe. Di conseguenza, devo ancora raccogliere tutte le mie scorte di serietà per riuscire a scriverne qualcosa di utile e sensato…
Ma oggi, per la mia fortuna, è una domenica. E allora mi salvo con ben due video domenicali!
Il primo video mostra l’ingresso a Mosca dei mezzi militari (e non solo) che avrebbero dovuto proteggere… ovviamente non la città, ma gli organi del potere:
Il secondo video, girato nella serata di ieri, mostra le folle dei residenti della città Rostov-na-Donu (conquistata dalla Wagner di Prigozhin) che salutano i membri della Wagner in ritirata.
Sicuramente non potrò mai dire di avere passato qualche parte della mia vita in una epoca noiosa.
Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in Fa minore (Op. 21) fu completato da Fryderyk Chopin nel 1830 ma pubblicato solo nel 1836: è per questo motivo che viene numerato come secondo nonostante sia stato composto prima del «primo».
Ma a noi, ovviamente, può e deve interessare solo per motivi puramente musicali.
Non avevo dei motivi particolari per pubblicare proprio questo Concerto, quindi lo faccio solo perché mi è venuta la voglia di farlo…
I giornalisti di Important Stories, insieme ai colleghi di OCCRP, Times, Der Spiegel, Le Monde, Forbes e altri media, hanno pubblicato un’inchiesta sui fratelli-«oligarchi» Boris e Arkady Rotenberg, molto vicini a Vladimir Putin (ed è per questo motivo che sono tanto ricchi). Da decine di migliaia di documenti ed e-mail dei dipendenti della società di gestione trapelati — il cosiddetto «archivio Rotenberg» — i giornalisti hanno scoperto che, nonostante le sanzioni occidentali, i Rotenberg sono stati in grado di conservare una parte considerevole dei loro beni all’estero.
Il sistema stesso di conservazione dei beni di personaggi sottoposti alle sanzioni può essere interessante quanto i migliori gialli concepiti dagli autori più fantasiosi. E, allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che tutti quei beni saranno un giorno l’oggetto di una lunga e difficile caccia da parte dei giuristi che saranno impegnati nella raccolta dei soldi russi in tutto il mondo per ricostruire l’Ucraina postbellica.
Quindi si può provare a leggerne qualcosa.
In un’intervista con la presentatrice di BBC News Alda Hakim, il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha parlato molto di Putin (come è naturale che sia) e, tra le altre cose, ha detto quanto segue:
Se parla di usare armi nucleari, nessuno qui può fare una previsione al cento per cento. Credo che tema per la propria vita. Penso che se non smette di minacciare il mondo con le armi nucleari, il mondo troverà un modo per privarlo delle «sue attività vitali». È molto pericoloso ed è per questo che è attento a lanciare questi messaggi.
Ma noi capiamo bene che un vero presidente (e un vero politico serio in generale) non può dire certe cose, a differenza di Putin e dei suoi servi. Ecco perché Zelensky si è espresso in modo così diplomatico. Ma da quasi 16 mesi (manca un giorno) Putin sta distruggendo una certa parte del mondo con una varietà di armi «convenzionali». Recentemente ha minacciato di usare preventivamente le armi nucleari in alcuni di questi territori. Ma la popolazione locale ne ha abbastanza già delle armi «convenzionali». E poiché Putin stesso non mostra alcuna intenzione di fermarsi, è arrivato il momento che il mondo esterno cominci a pensare seriamente alle «sue attività vitali».
Zelensky, in quanto un politico occidentale, non può (ancora?) esprimere un passaggio così logico.
Io, invece, posso: perché non sono un politico.
Allo stesso tempo, sospetto che tali pensieri non circolino solo nella mia testa poco diplomatica.
Ho finalmente pubblicato il rapporto fotografico sulla mia visita a Peschiera del Garda del 7 aprile 2023.
Nell’occasione del viaggio avevo scoperto un paese che pure in assenza di singoli elementi di bellezza spiccante riesce a fare una buona impressione a quasi tutti i turisti.
Il portale pietroburghese Fontanka.ru comunica che il maggior generale Sergey Goryachev, capo di stato maggiore della 35ª Armata, è stato sepolto nel cimitero Serafimovskoe di San Pietroburgo. Uno dei lettori ha inviato al portale le foto del luogo di sepoltura di Goryachev. Secondo Fontanka.ru, i funerali si sarebbero svolti il 18 giugno. Una lapide (provvisoria) posta sulla tomba di Goryachev riporta la data di morte del 12 giugno 2023. In base alle voci non confermate, sarebbe stato ucciso nel corso dei combattimenti. Lo Stato russo, fino a ora, non ha mai comunicato della morte di Sergey Goryachev.
Ma la cosa più «divertente» è che la tomba si affaccia al «viale Odessa» del cimitero. Non so se tale simbolismo porti la pace al personaggio, ma so che questo non mi rattrista particolarmente.
P.S.: nel 2013, Goryachev è diventato capo del gruppo operativo delle truppe russe in Transnistria. Nel 2018 è diventato comandante della 201-ma base militare di Gatchina, in Tagikistan. Già dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, è stato promosso al grado di maggior generale. All’inizio dell’invasione ha comandato la 5ª Brigata carri armati indipendente, dopodiché è diventato capo di Stato maggiore della 35ª Armata combinata del Distretto militare orientale.
La Reuters scrive, citando alti funzionari europei, che l’Ucraina ha soddisfatto due delle sette condizioni necessarie per avviare i negoziati per l’adesione all’UE: la riforma giudiziaria e la legge sui media. Le restanti condizioni riguardano le riforme della Corte Costituzionale e delle forze dell’ordine, le misure per combattere il riciclaggio di denaro e le leggi volte a «contenere» il potere degli oligarchi e a proteggere i diritti delle minoranze nazionali.
Il risultato parziale ucraino potrebbe sembrare molto modesto, ma dobbiamo ricordare che i lavori concreti sull’obiettivo sono iniziati dopo l’invasione russa del 2023. In un tempo di guerra è dunque un grandissimo risultato per il quale dobbiamo fare tanti auguri alla Ucraina. E ricordare che, proprio ora, è una occasione giusta per considerare come raggiunta anche una terza condizione: quella sui cosiddetti oligarchi. Infatti, praticamente dall’inizio della guerra c’è un accordo tacito tra il Governo e gli imprenditori (e non solo) sulla non creazione dei problemi a vicenda (il che è già un buon risultato politico).