Il Ministero degli Esteri britannico avrebbe chiesto ai funzionari governativi di non utilizzare più – pure nei documenti interni – l’espressione «Stato ostile» («Hostile State») nei confronti di Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Tale decisione sarebbe stata presa nel tentativo di migliorare le relazioni del Regno Unito con la Cina: gl altri quattro Stati sarebbero stati aggiunti solo – presumo – per un principio «democratico».
Qualcuno potrebbe anche scandalizzarsi per questa cosa, mentre io rimango indifferente a questo aspetto linguistico, privo di alcuna conseguenza legale. Infatti, mi basta che UK e gli altri continuino a fare due cose: 1) aiutare militarmente l’Ucraina; 2) trasformare le sanzioni contro lo Stato russo in un qualcosa di più sensato rispetto alle misure prese fino a oggi. Purtroppo, continuo a vedere dei problemi seri con il secondo punto.
P.S.: in Russia esiste una lista di 49 «Stati ostili», della quale fanno parte gli USA, l’UK e la maggioranza degli Stati dell’UE. Tale lista serve, tra le altre cose, per giustificare «legalmente» le repressioni contro i propri cittadini dissidenti. Ma è un argomento ampio che va trattato a parte.
L’archivio del agosto 2023
Mi piacciono da anni i comunicati ufficiali della azienda statale russa Roskosmos (quella responsabile per il programma spaziale russo):
Secondo i risultati delle analisi preliminari, a causa della deviazione dei parametri effettivi dell’impulso da quelli calcolati, la navicella si è spostata su un’orbita non calcolata e ha cessato di esistere in seguito alla collisione con la superficie della Luna.
Effettivamente, la comunicazione con la navicella era stata interrotta il 19 agosto alle 14:57 circa, l’ora di Mosca. E la Roskosmos ha continuato a seguire il linguaggio ufficioso russo, quello che parla della «crescita negativa» dei fattori economici, la «controffensiva russa» sul fronte ucraino etc…
Per il resto, non mi è ancora chiaro se il progetto «Luna 25» sia stato identico al progetto «Luna 24» del 1976 (ha pure fatto in tempo a «trasmettere» delle foto della Luna di qualità tipica del 1976) oppure un modellino incompleto lanciato sull’orbita tanto per lanciare qualcosa prima degli indiani.
Beh, non facciamoci distrarre.
Effettivamente, le nuove tecnologie sono spesso utili contro i problemi vecchi:
Sicuramente, in questo modo si velocizza almeno il ritrovamento «sicuro» di una parte significante delle mine.
Franz Joseph Haydn compose e diresse per la prima volta la propria Sinfonia n. 45 in Fa diesis minore nel 1772, mentre si trovò assieme alla orchestra di corte nella residenza estiva del mecenate principe Nikolaus Esterházy. Tale sinfonia si chiama la «Sinfonia degli addii» perché nel corso della esecuzione del finale i musicisti a turno smisero di suonare, spensero la candela del loro leggio e lasciarono la sala: in tal modo i musicisti e il compositore protestarono pacificamente contro un soggiorno forzato prolungatosi eccessivamente in lontananza dalle famiglie. La storia narra che il messaggio sia stato colto.
L’interpretazione scelta per il post odierno è stata registrata – il 9 marzo 2018 – dal vivo dalla orchestra Sinfonia Rotterdam, diretta da Conrad van Alphen. La finale è suonata e recitata proprio come ideato da Haydn.
Ora tocca anche a noi a pensare alla fine delle vacanze.
Più o meno tutti sanno o hanno almeno sentito dire che lo Stato russo da decenni tenta di eliminare fisicamente i propri oppositori russo particolarmente fastidiosi. A volte tenta di farlo pure all’estero, anche in Europa.
Con l’inizio della guerra in Ucraina non ha assolutamente smesso di impegnarsi nella suddetta «missione». Anzi: molti oppositori si sono rifugiati, per motivi di sicurezza (purtroppo, a volte solo apparente) in Europa, ma sono comunque stati raggiunti dagli agenti-esecutori. Dunque, questo sabato vi segnalo un articolo che racconta solo di alcuni casi: non si capisce bene perché sia stato scelto di colpire proprio quelle persone, ma si capisce che pure quella è una forma di piccola guerra condotta sul territorio estero.
Solo ieri sera e quasi per caso ho scoperto che il 14 agosto il Ministro della «Difesa» russo Sergey Shoigu ha raggiunto un nuovo livello della vita alternativa in cui vive. Anzi: vivono, dato che certe decisioni non le prende certo lui.
Il fatto è che Sergei Shoigu e Tin Kung San (il suo omologo del Myanmar) hanno inaugurato — presso il «Viale degli Alleati» nel territorio del complesso museale e templare del Ministero della «Difesa» russo — il monumento ai Combattenti del Myanmar, dedicato alla partecipazione del Myanmar alla Seconda Guerra Mondiale. Durante la cerimonia Shoigu ha dichiarato: «Più di 70 anni fa, i patrioti combattenti hanno difeso l’integrità territoriale della Birmania e il suo patrimonio culturale nella lotta contro il regime di occupazione del Giappone». E poi ha aggiunto che preservare la verità storica sul contributo dei due Paesi alla sconfitta del nazismo è un dovere sacro.
Ma anche le persone poco esperte nella storia dell’Asia hanno la possibilità di scoprire — facilmente — che il Myanmar (ai tempi ancora Birmania) aveva partecipato alla Seconda guerra mondiale dalla parte di Hitler. Aveva combattuto contro la Gran Bretagna. E solo alla fine del marzo 1945 aveva dichiarato guerra al Giappone, mentre i giapponesi si stavano già ritirando sotto l’assalto delle truppe britanniche. Mentre tutta la «guerra d’indipendenza» si era limitata nel fatto che il Giappone stesso aveva dato l’indipendenza alla Birmania.
Shoigu può dire qualsiasi cosa, ma noi vediamo che ha indovinato perfettamente l’alleato dello Stato russo contemporaneo.
Quando Yuriy Ignat – il portavoce del Comando delle forze aeree dell’Esercito ucraino – dice pubblicamente che l’Ucraina non riceverà i caccia F-16 statunitensi nel prossimo autunno o inverno, lo dice non a noi o agli ucraini, ma all’esercito russo.
Infatti, il suo lavoro non consiste nell’informare tutti – quindi pure l’esercito del nemico invasore – del calendario dell’arrivo dei nuovi armamenti. Di conseguenza, tutti coloro che tifano per l’Ucraina possono iniziare a interpretare le parole di Ignat esattamente al contrario. E, ovviamente, sperare.
Io ho già iniziato.
Scrivono che Denis Sharonov, l’ex Ministro dell’Agricoltura e del Mercato del Consumo della regione russa Komi, dopo aver «iniziato a ricevere dei segnali» che non era sicuro per lui rimanere in Russia a causa del conflitto in corso con le autorità della Regione, è fuggito negli Stati Uniti, ha già trovato lavoro come camionista e ha chiesto asilo politico.
Se mi ricordo bene, fino a oggi non sapevo alcunché di quest’uomo, non avevo nemmeno sentito il suo nome. Non so che tipo di funzionario fosse stato: efficiente o meno, onesto o corrotto (non è il momento per le logiche risate!). Ma dal momento in cui ho letto la notizia, sto facendo il tifo per lui: perché se dovesse riuscire a ottenere l’asilo (cioè se le autorità statunitensi dovessero trovare la possibilità tecnica e la saggezza per aiutarlo), gli altri funzionari russi vedranno che la fuga da Putin è ancora possibile. Certo: a quasi diciotto mesi dall’inizio della guerra per alcuni è ormai un po’ tardi tentare la fuga, ma per la maggioranza è meglio tardi che mai.
C’è ancora la possibilità di lasciare Putin in una triste (per lui) solitudine, o almeno di aumentare i dubbi utili (per noi) nella sua cerchia.
Per il giovedì 17 agosto in Russia è programmata l’uscita di un nuovo film…
Una giorno un piccolo propagandista anonimo russo ha visto il film «Il pianista» di Roman Polanski. Quello che parla delle «sfortune» di un musicista nella Varsavia in rovina. Wow! Una Palma d’oro! Tre Oscar! Adrien Brody!
Ma facciamo un film simile, ha pensato il piccolo propagandista russo. Però lo facciamo sulla gente del Donbass. E lo chiamiamo «Il testimone». No, non possiamo farlo un pianista: sarebbe uno sgammo clamoroso… Allora, quali strumenti musicali esistono?.. Corno alpino… Arpa… No, arpa non ce l’abbiamo nel magazzino, prendiamo un tamburello… No, quello non ispira… Ah! Violino! Quello va bene: piccolo, compatto, facile da trasportare e da inquadrare. E poi dobbiamo trovare un attore tipo Brody: con un naso notevole… E che abbia le somiglianze di un ebreo: farà più scena e nessuno avrà il coraggio di accusarci del nazismo! Al protagonista diamo il cognome Cohen…
Basta, non ho più la voglia di «scherzare». Ho visto il trailer di quel film di merda, ho pure letto la descrizione ufficiale:
Daniel Cohen, un virtuoso del violino proveniente dal Belgio, si considera un cittadino del mondo, crede nel bene e nella giustizia. Alla fine di febbraio del 2022, si reca a Kiev in tournée e quel viaggio cambia per sempre la sua vita. Gli eventi dell’Operazione militare speciale portano il musicista nel villaggio ucraino di Semidveri, dove è testimone di crimini disumani e provocazioni sanguinose [commessi dagli ucraini – E.G.]. Ora il suo obiettivo principale non è solo sopravvivere, ma portare la verità al mondo intero. Dopo tutto, la verità è più forte della paura.
Io provo un certo livello di cringe solo a leggere quelle cose. E mi chiedo: i creatori del film (compresi il regista, gli attori etc.) si immaginano che dopo la fine della guerra dovranno convivere con il ricordo quanto fatto per un bel po’ di anni? Boh…
Voi, intanto, potete vedere il trailer: non voglio privarvi di questo «piacere».
Per me sarà un po’ difficile riprendere a scrivere della cultura (anche quella russa) dopo la fine della guerra: non so se e quando riuscirò a farlo.
Per quasi diciotto mesi i giornalisti e i loro lettori / ascoltatori si erano chiesti su quale tratto del «fronte ucraino» si trovassero realmente i famosi combattenti ceceni di Kadyrov, quelli che avrebbero dovuto essere i più feroci, spietati etc. etc.. Per quasi diciotto mesi si riusciva a trovarli solo sulle immagini di TikTok e Instagram, dove posavano in delle scene più o meno «eroiche» (secondo i loro standard un po’ particolari).
Ieri, «finalmente», sono stati trovati: nel villaggio Ursuf (provincia di Mariupol, quindi sul territorio occupato e controllato dall’esercito russo) avrebbero fatto una sparatoria con i militari russi. Tra gli uccisi ci sarebbero almeno quattro militari russi e almeno sette civili residenti della zona. La notizia è stata diffusa dalle autorità legittime ucraine, ma, in ogni caso, non c’è un modo di verificare la sua autenticità. Allo stesso tempo, la notizia mi sembra credibile in quanto perfettamente in linea con tutto ciò che sapevo fino a oggi dei «militari» ceceni e della loro voglia di combattere a favore del russo chiamato Putin (dove il cognome è solo uno dei valori possibili di una variabile).