Il portale pietroburghese Fontanka.ru comunica che il maggior generale Sergey Goryachev, capo di stato maggiore della 35ª Armata, è stato sepolto nel cimitero Serafimovskoe di San Pietroburgo. Uno dei lettori ha inviato al portale le foto del luogo di sepoltura di Goryachev. Secondo Fontanka.ru, i funerali si sarebbero svolti il 18 giugno. Una lapide (provvisoria) posta sulla tomba di Goryachev riporta la data di morte del 12 giugno 2023. In base alle voci non confermate, sarebbe stato ucciso nel corso dei combattimenti. Lo Stato russo, fino a ora, non ha mai comunicato della morte di Sergey Goryachev.
Ma la cosa più «divertente» è che la tomba si affaccia al «viale Odessa» del cimitero. Non so se tale simbolismo porti la pace al personaggio, ma so che questo non mi rattrista particolarmente.
P.S.: nel 2013, Goryachev è diventato capo del gruppo operativo delle truppe russe in Transnistria. Nel 2018 è diventato comandante della 201-ma base militare di Gatchina, in Tagikistan. Già dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, è stato promosso al grado di maggior generale. All’inizio dell’invasione ha comandato la 5ª Brigata carri armati indipendente, dopodiché è diventato capo di Stato maggiore della 35ª Armata combinata del Distretto militare orientale.
L’archivio del Giugno 2023
La Reuters scrive, citando alti funzionari europei, che l’Ucraina ha soddisfatto due delle sette condizioni necessarie per avviare i negoziati per l’adesione all’UE: la riforma giudiziaria e la legge sui media. Le restanti condizioni riguardano le riforme della Corte Costituzionale e delle forze dell’ordine, le misure per combattere il riciclaggio di denaro e le leggi volte a «contenere» il potere degli oligarchi e a proteggere i diritti delle minoranze nazionali.
Il risultato parziale ucraino potrebbe sembrare molto modesto, ma dobbiamo ricordare che i lavori concreti sull’obiettivo sono iniziati dopo l’invasione russa del 2023. In un tempo di guerra è dunque un grandissimo risultato per il quale dobbiamo fare tanti auguri alla Ucraina. E ricordare che, proprio ora, è una occasione giusta per considerare come raggiunta anche una terza condizione: quella sui cosiddetti oligarchi. Infatti, praticamente dall’inizio della guerra c’è un accordo tacito tra il Governo e gli imprenditori (e non solo) sulla non creazione dei problemi a vicenda (il che è già un buon risultato politico).
Dmitry Peskov il portavoce del presidente russo, ha dichiarato in un’intervista a RT Arabic che il compito di «demilitarizzare» l’Ucraina è stato «ampiamente realizzato». Infatti, secondo Peskov ora l’Ucraina utilizza sempre meno le armi proprie e si affida sempre più ai sistemi di armamento forniti dagli Stati occidentali:
L’Ucraina era pesantemente militarizzata quando è iniziata l’operazione militare speciale. E, come ha detto Putin ieri, uno dei compiti era quello di «demilitarizzare» l’Ucraina. In effetti, questo compito è stato in gran parte portato a termine.
Seguendo la stessa logica, tra un po’ potrà dire, per esempio, che non è stata la NATO ad allargarsi verso la Svezia e la Norvegia (anche il contrato dell’allargamento della NATO è stato tra gli obiettivi della guerra): sono state queste ultime ad allagarsi verso la NATO.
Allo stesso tempo, capisco che Dmitry Peskov non dice alcunché di concreto senza concordarlo con il proprio capo. Quindi posso sperare che in questo periodo si stia cercando il modo di comunicare al mondo che tutti gli obiettivi della guerra sono stati già raggiunti. Certo: per salvarsi in questo modo dalle conseguenze delle proprie azioni è un po’ tardi, con tanta fortuna il trucco poteva funzionare non meno di un anno fa. Certo: chissà quante altre barbarie combineranno ancora nel corso di questa guerra. Certo: gli obiettivi della guerra continuano a cambiare… Ma la evidente comprensione del fatto che la via di uscita e di salvezza non è più quella militare mi sembra un bel traguardo.
Quindi aspetto con tanta curiosità le altre dichiarazioni del genere.
Mi sono accorto che le discussioni sulla eventualità dell’uso della bomba atomica da parte di Putin hanno ricominciato a divertirmi: nella situazione corrente è molto più probabile che organizzi qualcosa da spacciare per l’atto terroristico o l’errore degli altri (tipo l’incidente a una centrale nucleare, non necessariamente ucraina). Molto più probabile non solo dell’uso della bomba, ma anche in generale: rispetto allo zero. Tutte le dichiarazioni pubbliche, invece, sono rivolte non si capisce a chi.
Effettivamente, c’è una parte (piccola) dell’umanità nei confronti della quale non sarò mai un ottimista.
L’altro ieri, il 15 giugno, il famoso rocker francese Johnny Hallyday avrebbe compiuto 80 anni. E io ho pensato che sia un bel pretesto per ricordarlo nella mia rubrica musicale… Certo, la sua scelta – mai mutata – di cantare in francese lo ha un po’ penalizzato fuori dal mondo francofono (anche se dal punto di vista puramente commerciale aveva un suo senso razionale), ma è comunque stato un fenomeno interessante della cultura mondiale.
Come al solito, ho scelto per il mio post due canzoni. La prima è la «Un Jour Viendra» (dall’album «Sang pour sang» del 1999):
Mentre la seconda canzone scelta è la «Je te promets» (dall’album «Gang» del 1986):
P.S.: mi ricordo ancora le immagini dei funerali di Johnny Hallyday a Parigi nel 2017: non so quanti musicisti di oggi avrebbero «raccolto» un pubblico delle dimensioni simili pure morendo.
Invece di un nuovo testo, questo sabato segnalo un piccolo (in termini quantitativi), ma grande (in termini umani) progetto fotografico del fotografo ucraino Pavlo Dorohoi.
Si tratta di una serie di foto delle case private del villaggio Dolgenkoye distrutte dalla guerra: Dolgenkoye, al confine tra le regioni di Kharkiv e Donetsk, prima dell’inizio della guerra era abitato da quasi 400 persone. Dopo il 24 febbraio per circa sei mesi si è combattuto nei pressi del villaggio, il quale è stato trasformato in rovine.
Molto probabilmente è capitato di leggere anche a voi delle grandi speranze che lo Stato russo nutre circa la «mediazione» dei sette leader africani (quelli di Sudafrica, Comore, Egitto, Senegal, Zambia, Uganda e Repubblica del Congo). Per qualche loro motivo – a noi non del tutto comprensibile – gli «abitanti» del Cremlino sperano che quei leader propongano qualche piano conveniente alla Russia (probabilmente in cambio di qualcosa). Tra i giornalisti e i cittadini russi contrari alla guerra si è sempre manifestato un certo scetticismo (e spesso quasi umorismo) circa la competenza dei politici africani nella questione della guerra in Ucraina: non per una questione di razzismo, ma semplicemente perché quei leader sono politicamente, geograficamente ed emotivamente troppo lontani dalle problematiche europee.
Ma ecco che la Reuters ci comunica che i sette leader – che presto visiteranno la Russia e l’Ucraina – hanno elaborato delle «misure di fiducia» per un cessate il fuoco tra Mosca e Kiev. Tali misure includerebbero il ritiro delle truppe russe dai territori ucraini e l’abbandono dei piani di piazzar le armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia. Certo, includono pure le proposte della sospensione del mandato di arresto della Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin e l’alleggerimento delle sanzioni, ma a noi prima di tutto devono interessare i primi due punti. Potrebbero farci dedurre che Putin non riesce a trovare degli alleati intenzionati a fargli «salvare la faccia» nemmeno in Africa.
Ma, ovviamente, bisogna osservare l’evoluzione degli eventi: perché tutte le parti delle trattative capiscono che trattando possono pretendere qualcosa in più.
Alcuni funzionari statali ucraini hanno dichiarato, ieri, che decine di componenti stranieri – soprattutto microelettronici – sono stati trovati nei missili che hanno colpito Kryvyj Rih e Odessa nei due giorni precedenti. Il presidente Zelensky, a sua volta, ha aggiunto che in uno di quei missili russi sono stati trovati circa 50 componenti prodotti in altri Stati, compresi gli Stati che sostengono la causa ucraina. Ovviamente, si conoscono anche i produttori di quelle componenti, i diplomatici dei rispettivi Stati sono stati avvisati dalla Ucraina.
Tutto questo non significa che tutti i produttori coinvolti sanno di essere dei fornitori dell’esercito russo. E, soprattutto, significa che non tutto può essere risolto con le semplici sanzioni quali, per esempio, il divieto di fornire determinati prodotti: è impossibile verificare le buone intenzioni di ognuno dei numerosi intermediari che formano una catena di fornitura alla Russia poco trasparente. Ne blocchi uno e ne compaiono dieci altri.
Qualcuno potrebbe ipotizzare che la situazione possa essere risolta con dei mezzi economici (lasciare lo Stato putiniano senza le risorse per l’acquisto della elettronica), ma, in realtà, per l’acquisto delle componenti elettroniche dei missili non ci vogliono delle somme tanto alte (in termini delle risorse di uno Stato).
Di conseguenza, la soluzione più semplice e più logica mi sembra sempre la stessa: fornire alla Ucraina più di quello che viene fornito alla Russia. E farlo velocemente.
Un rapporto della società di consulenza britannica Henley & Partners sulla migrazione dei ricchi del mondo afferma che 8500 milionari (in dollari americani) hanno lasciato la Russia nel 2022: quasi la metà di quanto previsto dalla stessa società (che si aspettava che 15.000 milionari – in dollari americani – avrebbero lasciato la Russia nel 2022: il 15% della loro quantità totale alla fine del 2021).
In base a un commento della Henley & Partners, la quantità inferiore dei ricchi «scappati» è stata determinata sia dalle misure sanzionatorie (ad esempio, la chiusura di molti programmi di cittadinanza e residenza per i russi, la chiusura dei conti bancari esteri) sia dai meccanismi specifici di ciascun Stato che hanno reso difficile il trasloco di molti russi ricchi.
Tradotto in un linguaggio umano, questo significa che nemmeno gli analisti di una società di consulenza hanno saputo prevedere la miopia dei vertici della maggioranza degli Stati occidentali. Questi ultimi, infatti, non hanno fatto una particolare distinzione tra i ricchi russi favorevoli o contrari alla guerra e hanno ostacolato la fuga dalla Russia di tutti. In questo modo hanno lasciato, in sostanza, i soldi di tutti i ricchi a disposizione di Putin (il quale ha la piena libertà di introdurre nuove tasse o «contributi straordinari» a favore della guerra, incarcerare gli imprenditori, costringerli a vendere le loro attività a prezzi bassi etc. etc.).
Effettivamente, se la stupidità avesse dei limiti, sarebbe anche prevedibile e dunque meglio affrontabile.
La mia più grande scoperta delle ultime 24 ore è stata: Putin è [ancora] capace di raccontare delle barzellette. Sceglie abbastanza male gli argomenti, ma almeno ci prova. L’ultima è stata raccontata ieri durante un incontro con i vincitori dei premi statali al Cremlino:
Perché, per dirla senza mezzi termini, il nemico colpisce le aree residenziali? Non c’è alcuna logica. Per cosa, perché, qual è lo scopo? E su obiettivi chiaramente umanitari: è incredibile. E non c’è alcun senso militare, è zero.
A questo punto conviene definire bene anche il contesto, se per qualche strano motivo fosse sfuggito a qualcuno. In base ai dati dell’ONU, al 15 maggio almeno 23.600 civili sono stati uccisi e feriti in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. L’Ufficio del Procuratore generale ucraino ha dichiarato che 487 bambini sono stati uccisi nel Paese a causa dell’aggressione armata della Russia.