L’archivio del agosto 2022

La musica del sabato

Il supergruppo The Traveling Wilburys era stato formato, nell’aprile del 1988, da Jeff Lynne e George Harrison; poco dopo ai due fondatori si erano uniti Bob Dylan, Roy Orbison e Tom Petty. L’intero gruppo si era unito in studio (quello di Bob Dylan) per registrare il B-side del singolo «This Is Love» di Harrison. La canzone scritta a tal fine era la «Handle with Care».

La casa discografica che doveva pubblicare il singolo aveva però ritenuto che il brano registrato dai The Traveling Wilburys fosse troppo bello per essere una semplice canzone di supporto. Proprio a questo punto il supergruppo aveva accettato l’idea di registrare il proprio primo album. Bob Dylan doveva però andare a breve in tour, quindi l’album «Traveling Wilburys Vol. 1» era stato registrato in appena dieci giorni. La seconda canzone facente parte di quel disco che ho selezionato per oggi è la «Rattled»:

Il 6 dicembre 1988 era morto Roy Orbison, ma l’attività del gruppo non si era fermata subito: nel 1990 era uscito il secondo album «Traveling Wilburys Vol. 3» (chiamato in questo modo perché molte persone chiamano con il nome Vol. 2 l’album di Tom Petty «Full Moon Fever», alla registrazione del quale avevano partecipato Lynne, Garrison e Orbison). Il Vol. 3 aveva però ottenuto un successo notevolmente inferiore rispetto al primo: non so se sia stato questo il vero motivo per il quale il gruppo non ne aveva pubblicati altri.


La lettura che vi consiglio per questo sabato è una inchiesta della «Novaya Gazeta» su chi, come, perché e tra quali elementi sociali conduce in Russia l’arruolamento nei battaglioni da spedire alla guerra contro l’Ucraina. Si potrebbe dire che si tratta di una mobilitazione di fatto (ma almeno per ora non di massa) che fa preoccupare, tra l’altro, anche per le sue conseguenze sociali future.
Capisco benissimo che gli organizzatori di questo arruolamento sperano tanto nella morte in guerra di tutti gli elementi ingaggiati. Proprio per questo i battaglioni dei «volontari» vengono utilizzati per «testare» con i loro corpi le direzioni degli attacchi da tentare. Ma, allo stesso tempo, capisco che diversi di quei criminali – armati ed esperti della guerra – un giorno vorranno e riusciranno a tornare in Russia. Dopo la sconfitta in guerra dovranno tornare. A quel punto si evidenzierà un problema serio che dovrà essere osservato e risolto ormai non da chi lo ha creato.


L’intervista fantasma

C’è chi continua a scrivere della proposta del presidente ucraino Zelensky di non rilasciare più ai russi dei visti di ingresso nell’UE (e in altri Stati occidentali). Lo avrebbe detto nel corso di una «lunga intervista» al giornale statunitense «Washington Post»…
Non ho ancora deciso se mi conviene commentare tale proposta palesemente stupida (probabilmente formulata in un momento di stanchezza o di esaurimento nervoso, sicuramente inserita in qualche contesto più o meno complesso), ma nel frattempo il problema si sta risolvendo da solo.
Infatti, a distanza di giorni dall’annuncio, non ho ancora visto tracce di quella intervista. È proprio questa assenza che mi sembra tanto strana. Mi sa che qualcuno sta rielaborando seriamente il testo, quindi anche gli altri non dovrebbero avere troppa fretta con i commenti. Ci sarà qualche sorpresa rispetto all’annuncio.


Le scorte degli armamenti

L’agenzia Bloomberg scrive – citando delle fonti del governo degli USA e dell’intelligence europea – che alla fine di luglio la nave mercantile russa «Sparta II» sarebbe arrivata a Novorossiysk da Tartus (Siria) trasportando delle attrezzature militari. E avrebbe portato in Russia almeno 11 pezzi di attrezzature militari.
Il dettaglio più interessante di questa notizia non sta nel fatto che una nave mercantile sarebbe stata utilizzata, furbamente, per il trasporto segreto di armi attraverso gli stretti pacifici. Il dettaglio più interessante della notizia è la comprensione del fatto che l’esercito russo sembra ormai essere costretto a raccogliere le armi serie dalle basi più lontane, e non solo dai vecchi depositi sovietici. È quindi su questo dettaglio che si possono basare alcune speranze di una fine relativamente rapida (o almeno in una diminuzione) della guerra tradizionale sul territorio dell’Ucraina.
Inoltre, si potrebbe capire molto sullo stato dell’industria degli armamenti russa, ma questo è un grande argomento tecnico a parte.
E, in più, si può presumere che sul «fronte Siriano» ci saranno ora meno opportunità di coprire l’Israele un tempo quasi alleato. Di conseguenza, anche se l’amico di qualcuno Netanyahu dovesse riuscire a tornare al potere, sarà comunque politicamente grato solo per il passato sempre più distante, ma non per gli aiuti di oggi. Ma questo è un altro grande argomento separato.


Gli effetti delle sanzioni

Alla fine di maggio l’Unione Europea aveva approvato un embargo parziale sulle importazioni del petrolio russo. Una eccezione era stata fatta solo per le forniture di petrolio attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto «Druzhba» verso Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (i tre Stati più dipendenti dalle forniture russe).
Il 10 agosto l’azienda ucraina Ukrtransnafta ha interrotto il pompaggio di petrolio dalla Russia all’Ungheria, alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto «Druzhba». È successo perché l’azienda ucraina fornisce i servizi di trasporto del petrolio con pagamento anticipato al 100%, mentre l’azienda russa Transneft non è stata in grado di effettuare un nuovo pagamento a causa delle sanzioni contenute nel «settimo pacchetto» adottate dall’Unione Europea alla fine di luglio.
Capisco l’utilità e il senso delle sanzioni, ma allo stesso tempo spero che i dettagli come quello appena illustrato vengano inseriti sui manuali di storia dell’UE. Prima o poi qualcuno riuscirà imparare qualcosa dalla storia?


La Russia brucia il gas

Il giornale spagnolo El Mundo ci rivela  che l’acqua è umida  che la Russia sta bruciando il gas non venduto all’Europa (non venduto a causa del depotenziamento artificiale del «Nord Stream 1»). In tale notizia, in realtà, non c’è alcunché di strano o allarmante. Infatti, l’evento è sempre stato inevitabile e facilmente prevedibile per almeno tre motivi:
1) la Russia non ha la possibilità di destinare il gas ad altri mercati (ne avevo già scritto più volte: i gasdotti esistenti sono pieni e gli acquirenti asiatici non hanno bisogno del gas ulteriore rispetto a quello che stanno già ricevendo per contratto);
2) i sistemi russi di stoccaggio del gas estratto sono pieni (perché da quasi due mesi si sta fornendo molto meno gas all’Europa);
3) «fornire meno gas all’Europa» non significa automaticamente «estrarne di meno» (il «rubinetto» del gas di ogni pozzo non può essere regolato come quello dell’acqua di casa nostra: l’unica cosa che puoi fare è tappare il pozzo, ma poi ci metti anni e soldi per «stapparlo». E non è detto che riesci a stapparlo bene.).
Di conseguenza, alla Russia non resta altro che bruciare una delle proprie merci più preziose.
Ancora una volta possiamo fare i complimenti a quel grande tattico…


Dimmi chi ascolti…

L’Amnesty International è conosciuta da anni prevalentemente per due cose: 1) per la difesa dei vari terroristi e personaggi molto dubbi; 2) per la «misteriosa» incapacità di vedere le vere violazioni dei diritti umani. In aggiunta, da qualche tempo sospettavo fortemente che fosse pure sponsorizzata dal regime politico russo attuale: perché difende la fonte della propaganda statale russa Assange, perché si è rifiutata di riconoscere Navalny come un prigioniero politico, perché diffonde un rapporto pieno di omissioni e di falsità sulla guerra in Ucraina che si rivela un regalo grandissimo alla propaganda russa.
Ecco, mi sembra che con l’ultimo dettaglio sia stato oltrepassato l’ultimo confine del tollerabile. Da ora ogni citazione, ogni riferimento alla attività dell’Amnesty International dovrebbe essere considerata, nonostante tutto, come una presa di posizione e non semplicemente come una manifestazione del cattivo gusto (o della incapacità di analizzare le informazioni ricevute). Fortunatamente, per ora sto riuscendo a eliminare dalla mia vita tutte quelle persone che ignorano, giustificano e/o appoggiano l’aggressione putiniana in Ucraina. Ma non smetterò di aspettare l’occasione per scoprire quanto è costato l’acquisto dell’Amnesty International (milioni? decine di milioni?). Non escludo di riuscire a scoprirlo abbastanza presto.


La centrale nucleare di Zaporižžja

Un documento video interessante: la registrazione della diretta trasmessa su Youtube la notte tra il 3 e il 4 marzo 2022 dalla centrale nucleare di Zaporižžja. Quindi si tratta proprio del periodo dei combattimenti proprio per quell’impianto.


La musica del sabato

Mi era già capitato, all’inizio di quest’anno, di scrivere del duo americano The Everly Brothers. I due fratelli che ne facevano parte – Phil e Don – avevano nel 1973 litigato tanto fortemente da non poter più lavorare insieme per diversi anni. E, infatti, si erano riunti per ricominciare a comporre e suonare insieme solo nel 1983.
Durante i dieci anni di pausa (dal lavoro comune) ognuno dei fratelli aveva tentato una carriera da solista: in quel periodo Don aveva pubblicato tre album, mentre Phil ne aveva pubblicati cinque. Ma, ovviamente, non è la quantità che conta. Dal punto di vista qualitativo (ma pure in termini della popolarità misurabile con le vendite) Phil Everly aveva comunque ottenuto un po’ più successo del fratello Don, anche se nessuno dei due era riuscito ad avvicinarsi, da solista, alla popolarità passata del duo.
Alcune canzoni di Phil Everly meritano però di essere pubblicizzate nella mia rubrica musicale: potrebbero andare bene almeno in qualità del sottofondo estivo poco impegnativo ma non scarso.
Quindi la prima canzone scelta per oggi è la «God Bless Older Ladies» (dall’album «Star Spangled Springer» del 1973):

E la seconda canzone di oggi è la «She Means Nothing to Me» registrata assieme a Cliff Richard e inclusa nell’album «Phil Everly» del 1983:

Ehm, è venuto troppo leggero il post di oggi…


Da oltre cinque mesi mi capita, con una certa regolarità, di leggere dei sondaggi riguardanti la guerra in Ucraina commissionati dagli abitanti del Cremlino, ma mai pubblicati a causa dei risultati «sbagliati». Qualora quei risultati dovessero esistere veramente, io ne sarei molto sorpreso: in Russia i cittadini hanno spesso paura di rispondere quello pensano agli intervistatori sconosciuti. Preferiscono dare una risposta neutrale o pro-governativa per non rischiare e/o per essere lasciati stare prima possibile. In più, i risultati di un qualsiasi sondaggio possono essere manipolati (con molta più facilità dei risultati delle varie «elezioni»).
Ma, in ogni caso, ogni lettura dei risultati sgradevoli a Putin è – nel peggiore dei casi – una fonte di speranza e di buon (relativamente) umore. Quindi per oggi vi consiglio una bella lettura su un recente sondaggio condotto tra gli abitanti delle zone ucraine già/ancora occupate dall’esercito russo. L’obiettivo del sondaggio: capire la prontezza delle persone alla annessione delle loro zone alla Russia.