L’archivio del luglio 2022

Gli 8 anni del MH17

Quasi una settimana fa, il 17 luglio, c’è stato l’anniversario di un avvenimento che sta rischiando di finire un po’ dimenticato con la guerra putiniana in Ucraina: l’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines MH17, avvenuto nel cielo dell’est ucraino nel 2014. Eppure, oggi lo potremmo considerare uno dei primi atti realmente folli di una guerra iniziata già oltre otto anni fa.
Proprio a questo argomento è legata la lettura che vi consiglio per questa settimana: le storie di cinque famiglie olandesi che hanno perso i propri figli in Ucraina nell’articolo «Our children were killed by Putin too» di Ekaterina Glikman.


Le prime condanne in Estonia

Nel mondo ci sono tantissime notizie che ci vengono raccontate a metà: nel senso che i giornalisti ci parlano di un episodio e poi, travolti dalla valanga delle notizie successive, si dimenticano di raccontarci in che modo è finito. Di conseguenza, provo una certa soddisfazione ogni qualvolta riesco a leggere (purtroppo, raramente) le conclusioni delle notizie vecchie (ma anche perché spesso quelle conclusioni mi piacciono tantissimo) e apprezzo tanto l’impegno di chi le pubblica.
Oggi faccio un esempio concreto. Probabilmente vi ricordate che alla fine di maggio in Estonia era stato arrestato un cittadino estone/russo che aveva tentato di comprare dei droni e di inviarli all’esercito russo. Ebbene, ieri il tribunale estone della contea di Harju ha condannato Vladimir Shilov (sì, si chiama così) a cinque anni di reclusione. In particolare, Shilov dovrà passare quattro mesi in carcere e altri otto in libertà vigilata con un periodo di messa alla prova di quattro anni. I due complici Ilya e Ruslan Golembovsky – che hanno aiutato Shilov – sono stati condannati a una pena sospesa di cinque mesi con un anno e otto mesi di libertà vigilata.
Finché sono costretto a leggere della guerra in Ucraina, spero di leggere anche più notizie come quella appena riportata.


Ci vorrebbe un po’ di serietà

Ho letto che il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dell’UE (Coreper) ha approvato il settimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tali sanzioni dovrebbero entrare in vigore oggi, il 21 luglio.
Da quello che ho letto fino a questo momento, le uniche sanzioni in qualche modo per me interessanti sono quelle contro 48 persone fisiche e istituzioni. Tra le persone fisiche ci sarebbero politici, militari, imprenditori e propagandisti… In particolare, ci sarebbero anche i membri del club di motociclisti «Nochnye Volki» («Lupi notturni»).
Ecco, quest’ultimo dettaglio è veramente ridicolo. Infatti, da una parte è vero che il club in questione è un gruppo di buffoni pro-putiniani (ma i bikers come caz*o possono essere pro-governativi?! è un classico esempio di ossimoro!), guidati da un famosissimo idiota completamente dislessico (Aleksandr Zaldastanov). Ma, dall’altra parte, non posso non constatare che negli ultimi anni questo club è stato un po’ dimenticato dagli abitanti del Cremlino: le sue iniziative non vengono più finanziate come una volta e non vengono pubblicizzate dalla televisione di Stato. In sostanza, i «Nochnye Volki» sono stati «scaricati» addirittura ben prima della pandemia, ma gli autori delle sanzioni europee non se ne sono proprio accorti e hanno quindi fatto ridere un po’ anche quei russi che non hanno mai appoggiato la politica di Putin. Perché con tutto quello che sta succedendo in Russia e nel mondo negli ultimi anni il club «Nochnye Volki» era stato quasi dimenticato dalla gente. Mentre l’UE dimostra di essere a) poco aggiornata e b) ormai incapace di inventare delle sanzioni più serie.


Un’altra forma dell’anonimato

Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.


Un nuovo campionato importantissimo

Io, personalmente, non seguo lo sport professionale in generale e il calcio in particolare, ma a qualcuno dei lettori potrebbero interessare la «notizia» e la tendenza da essa potenzialmente derivante.
Il Ministero dello Sport russo sta progettando di creare un campionato di calcio che coinvolga club della Crimea, delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhazia e dei territori occupati delle regioni ucraine di Kherson e Zaporozhye. Secondo la dichiarazione ufficiale del vice-ministro dello sport Odes Baisultanov, al campionato in questione parteciperanno i club delle «repubbliche amiche» e le squadre delle università russe. La prima stagione è prevista per il 2023.
Si precisa che il futuro campionato non sarà affiliato all’Unione calcistica russa (RFU), alla Federazione calcistica internazionale (FIFA) e all’Unione delle associazioni calcistiche europee (UEFA). Ma questo dettaglio, ormai, non ha alcuna importanza: il 27 febbraio la FIFA ha vietato le partite di calcio internazionali in Russia, mentre il giorno dopo, il 28 febbraio, la FIFA e l’UEFA hanno sospeso le squadre nazionali e i club russi dalla partecipazione alle competizioni sotto la propria egida.
Ecco, pianificare qualcosa del genere anche per il 2023 è, per i funzionari russi, un segno di grande ottimismo e di grande convinzione della propria fortuna. Ma questo non significa che non possano pianificare i campionati simili anche per gli altri tipi di sport. Di conseguenza, i miei lettori psicologicamente forti e stabili possono provare a seguirne qualcuno. Sarà una esperienza un po’ estrema ma breve. Sospetto fortemente che la qualità di calcio (o di, per esempio, basket) del campionato «indipendentista» sarà simile al campionato italiano di hockey, ma almeno potrete raccontare ai vostri nipoti di avere visto delle oscenità sportive inimmaginabili.


Un personaggio non occasionale

Probabilmente qualcuno dei lettori si ricorda di Marina Ovsjannikova, una dipendente del «Primo canale» della TV di Stato russa che il 14 marzo aveva invaso – con un cartello contro la guerra – lo studio del notiziario durante la diretta.

Dopo quella occasione Ovsjannikova aveva perso il lavoro (non penso che ne sia molto dispiaciuta almeno dal punto di vista morale) ed era stata multata. Poteva andarle peggio, anche se le leggi sulla responsabilità amministrativa e penale per ogni forma di protesta contro la guerra in Ucraina hanno iniziato a essere applicate in modo severo più tardi.
Ebbene, in questi giorni sono stato contento a scoprire che Marina Ovsjannikova non si è fatta spaventare e, anzi, ha dimostrato che il suo gesto non era stato occasionale, non semplicemente dettato dallo shock per l’inizio della guerra. Il venerdì 15 luglio aveva manifestato con un nuovo cartello sul lungofiume di Moscova davanti al Cremlino:

Il cartello dice: «Putin è un assassino. I suoi soldati sono dei fascisti. 352 bambini sono stati uccisi. Quanti altri bambini devono essere uccisi poiché vi fermiate?». Si tratta della seconda – in termini di visibilità – manifestazione contro la guerra di Ovsjannikova (ma si è espressa pubblicamente in diverse altre occasioni). Quello che non mi è ancora molto chiaro, è perché non sia stata fermata dalle forze «dell’ordine» già venerdì.
È stata fermata solo ieri (pare per una brevissima intervista televisiva) vicino alla sua casa, portata in un luogo sconosciuto, multata e rilasciata la sera del giorno stesso.

Ma se le cose vanno avanti così, per qualche motivo si potrà ancora scrivere di lei.
P.S.: per tutti coloro che lo avessero perso o dimenticato, aggiungo il famoso video del cartello in diretta: Continuare la lettura di questo post »


Con i pugni

C’è chi dice che Biden si sarebbe allenato per più giorni nel nuovo saluto per non stringere la mano al principe della Arabia Saudita (ritenuto responsabile della uccisione di Jamal Kashoggi). Ma io non vedo una particolare differenza dal punto di vista simbolico…

Eppure, un saluto alternativo va inventato: potrebbe essere utile in diverse occasioni.


La musica del sabato

Nel 1981 il duo soft-rock olandese Bolland & Bolland aveva pubblicato la propria canzone più famosa: «In the Army Now». Nel 1982 essa era rimasta al vertice della classifica olandese dei singoli più venduti per sei settimane consecutive. Era stata anche inclusa nell’album del duo «The Domino Theory».

La maggioranza delle persone che conoscono questa canzone ha però sentito solo la versione degli Status Quo (la quale fa parte del loro album «In the Army Now» del 1986). La popolarità di tale versione è stata di una portata più internazionale.

Proprio grazie alla popolarità della versione degli Status Quo, la canzone è stata ripresa anche da alcuni altri gruppi. Per esempio, il gruppo heavy-metal svedese Sabaton ha pubblicato la propria interpretazione della «In the Army Now» tra i bonus track all’album «Carolus Rex» del 2012.

Un altro esempio che posso riportare è un po’ strano: nel 2009 il gruppo francese Les Enfoirés (o, forse, è più corretto chiamarli «associazione di artisti vari»? boh…) ha preso la musica della «In the Army Now», ha aggiunto a essa un testo in francese che parla di un argomento diverso e ha pubblicato il risultato con il nome «Ici Les Enfoirés» (incluso nell’album «Les Enfoirés font leur cinéma»).

Penso che questo possa bastare per descrivere la triste storia della canzone «In the Army Now». Volendo, potete cercare voi le altre sue versioni.


La gelosia

Più o meno tutte le persone normali da quasi quattro mesi stanno leggendo abbastanza sulla guerra in Ucraina. Molto probabilmente una buona parte di quelle persone si è anche accorta di leggere molto sulle decisioni di Vladimir Putin e poco o niente sulle decisioni dei generali russi.
Ebbene, tale percezione della realtà non è sbagliata. Quindi per questo sabato vi consiglio un buon articolo (e di lunghezza non esagerata) sull’argomento dei rapporti di Putin con i generali russi.
E aggiungo la domanda di fine lettura: ci potrebbe essere il rischio che qualcuno rimanga fortemente insoddisfatto della situazione creatasi?


Lo Stato-terrorista

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso al termine del 141-esimo giorno di guerra si è rivolto, contrariamente alla prassi, non ai cittadini del proprio Stato, ma al «mondo democratico». E ha chiesto che dopo il bombardamento della città di Vinnytsya la Russia venga finalmente riconosciuta come «Stato terrorista».
In tale richiesta – in una certa misura emotiva – c’è anche un po’ di logica. Ma il vero lavoro diplomatico (quello non del tutto pubblico) della Ucraina dovrebbe oggi concentrarsi sullo scioglimento dell’ONU: perché, purtroppo, nemmeno gli Stati-terroristi possono essere cacciati dal Consiglio di sicurezza. Ma finché un terrorista continua ad avere un incarico tra le forze dell’ordine, qualsiasi definizione più o meno pesante assegnatagli non ha molto senso pratico.