Come pianificato, la sera del 20 giugno (la Giornata mondiale del rifugiato), la casa d’aste statunitense Heritage Auctions ha tenuto a New York l’asta per la vendita della medaglia Nobel per la pace del caporedattore della «Novaya Gazeta» Dmitry Muratov. Tutti i proventi della vendita della medaglia andranno a sostenere la missione umanitaria dell’UNICEF mirata all’aiutare i bambini ucraini rifugiati e le loro famiglie.
Apparentemente è solo un fatto di cronaca (uno dei numerosi fatti legati alla guerra in corso), ma io ne scrivo per ricordarmi due cose. Prima di tutto, per ricordare la somma finale per la quale la medaglia è stata venduta: 103.500.000 dollari statunitensi (sì, centotre milioni e mezzo). In secondo luogo, per ricordare che l’acquirente – di cui non è stato reso noto il nome – sapeva come sarebbe stato utilizzato il denaro ricavato: quindi più è vicino a uno dei due Stati in guerra, più è un grande (o la vicinanza non ha una sua importanza? Non lo so…).
Boh, prima o poi scopriremo il nome dell’acquirente. Solo che non ne sono così sicuro del prima.
L’archivio del giugno 2022
Il Dipartimento della Difesa statunitense ha comunicato, quali materiali bellici sono già stati forniti all’esercito ucrano dall’inizio della guerra:
— Oltre 1400 sistemi antiaerei Stinger;
— Oltre 6500 sistemi anti-corazza Javelin;
— Oltre 20.000 altri sistemi anti-corazza;
— Oltre 700 sistemi aerei tattici senza pilota Switchblade;
— 108 obici da 155 mm e oltre 220.000 proiettili d’artiglieria da 155 mm;
— 90 veicoli tattici per il traino degli obici da 155 mm;
— 15 veicoli tattici per il recupero delle attrezzature;
— Sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità e munizioni;
— 20 elicotteri Mi-17;
— Centinaia di veicoli blindati multiuso ad alta mobilità;
— 200 veicoli corazzati M113;
— Oltre 7000 armi leggere;
— Oltre 50.000.000 di munizioni per armi leggere;
— 75.000 set di armature ed elmetti;
— 121 sistemi aerei tattici senza pilota Phoenix Ghost;
— Sistemi missilistici a guida laser;
— Sistemi aerei senza pilota Puma;
— Navi da difesa costiera senza equipaggio;
— 22 radar di contro artiglieria;
— Quattro radar di contro-mortificazione;
— Quattro radar di sorveglianza aerea;
— Munizioni antiuomo M18A1 Claymore;
— Esplosivi C-4 e attrezzature di demolizione per la rimozione degli ostacoli;
— Sistemi di comunicazione tattici sicuri;
— Dispositivi di visione notturna, sistemi di immagini termiche, ottiche e telemetri laser;
— Servizi commerciali di immagini satellitari;
— Dispositivi di protezione per lo smaltimento di ordigni esplosivi;
— Attrezzature di protezione chimica, biologica, radiologica e nucleare;
— Forniture mediche, compresi i kit di pronto soccorso;
— Apparecchiature di disturbo elettronico;
— Attrezzature da campo e parti di ricambio.
In generale, direi che si tratta di una buona fonte non solo diretta, ma anche comodamente sintetica. Quindi tutte le persone interessate all’argomento la possono seguire senza un particolare impegno.
Perché postare la musica solo di sabato? Quando si trova qualcosa di molto, molto particolare, si potrebbe condividerlo con i cari lettori anche negli altri giorni. Ecco, per esempio, una interpretazione quasi classica della «Marcia alla turca» di Wolfgang Amadeus Mozart:
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Ieri era il 140-esimo anniversario dalla nascita di Igor Stravinskij, uno dei miei compositori preferiti. So che la cultura non ha bisogno dei pretesti formali per essere ricordata, studiata o semplicemente contemplata. Però alcuni pretesti vanno comunque sfruttati…
Della eredità musicale ricca e stilisticamente molto varia di Stravinskij ho scelto, per questa volta, l’opera-balletto da camera «L’Histoire du soldat» composta nel 1917. Il nome e il contenuto di questa composizione non c’entrano alcunché con gli avvenimenti di quest’anno o con quelli dell’anno di creazione. La composizione si basa interamente su alcune fiabe popolari russe. In breve, la trama è:
Un soldato povero vende la propria anima (rappresentata da un violino) al diavolo per un libro che permette di predire il futuro. Dopo avere insegnato al diavolo di usare il violino, il soldato torna nel proprio villaggio natale. La conversazione con il diavolo era però durata tre lunghi anni e ora nessuno degli abitanti del villaggio riconosce più il soldato: nemmeno la madre e la ex fidanzata (quest’ultima, nel frattempo, si è sposata). A questo punto il soldato inizia a sfruttare il libro ricevuto dal diavolo e diventa favolosamente ricco. Ricco, ma non felice, quindi si mette a giocare a carte con il diavolo: il denaro contro il violino. Il diavolo vince ma — felice per essersi arricchito — perde il violino. Il soldato si impossessa del violino, cura una principessa malata (promessa dal re a chi riuscirà a liberarla dalla malattia) e scappa con lei dal regno. Alla fine, però, finisce all’inferno per avere disobbedito al diavolo. L’opera termina con il trionfo del diavolo espresso in una sua marcia sarcastica.
Nonostante il genere formale di opera-balletto, «L’Histoire du soldat» è una composizione che non prevede le parti vocali. In più, negli anni successivi Stravinskij aveva scritto, sulla base di questa opera-balletto, due omonime suite:
1) quella del 1919 per pianoforte, clarinetto e violino…
2) e quella del 1920 per i sette strumenti della composizione originale: clarinetto, fagotto, cornetta, trombone, violino, contrabasso e percussioni (un mescuglio molto curioso):
Non sapendo quale delle due possa interessarvi di più, le ho messe entrambe, ahahaha
È strano da scrivere, ma è un dato di fatto: anche nel 2022 in Ucraina si è concluso un anno scolastico. Pure a giugno 2022 in Ucraina molti ormai ex scolari si sono diplomati.
È stato un anno scolastico abbastanza particolare per tutti. Non proprio tutti hanno trovato le forze per iniziare già ora a materializzare i ricordi di questo periodo della propria vita.
Qualche giorno fa ho saputo delle foto-ricordo di questa classe dei diplomati di una delle scuole di Černihiv (una città nel nord della Ucraina) e ora le faccio vedere a voi:
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Non molto tempo fa – il 31 maggio – Mario Draghi aveva dichiarato che quasi tutti gli Stati-membri più grandi dell’UE sarebbero contrari all’idea di concedere alla Ucraina dello status del candidato alla Unione europea. Dal punto di vista puramente politico, era una situazione comprensibile: la prospettiva di avere uno nuovo Stato-membro grande ma povero significa perdere una parte dei seggi nel Parlamento europeo e/o dei flussi finanziari europei (perché gli Stati-membri attualmente considerati poveri diventeranno relativamente ricchi).
Ieri, però, in occasione della visita di Draghi, Macron, Scholz e Iohannis a Kiev abbiamo scoperto che almeno i quattro Stati-membri da loro rappresentati sarebbero favorevoli allo status del candidato per l’Ucraina. La contraddizione è, secondo me, solo apparente. Infatti, il «cambio dell’idea» potrebbe essere il risultato di una classica trattativa diplomatica. Francia e Germania (prima di tutto loro) sulla pratica non si sono dimostrati tanto disponibili a fornire gli aiuti militari alla Ucraina. Potrebbero avere tantissimi motivi interni per tenere tale comportamento (anche se di fatto in questo modo stanno contribuendo al prolungamento del conflitto), ma allo stesso tempo devono dimostrare di sostenere in qualche modo lo Stato aggredito. Di conseguenza, per bilanciare gli aiuti militari mancati si sono «arresi» all’ipotesi dello status del candidato.
Quello status sarà sicuramente utile alla Ucraina durante il processo della ricostruzione (almeno perché ci sarà un migliore controllo sull’uso dei fondi), ma a essa bisogna anche arrivarci. Quindi nonostante tutto bisogna cercare nuovi modi di non far abituare i vertici europei alla situazione di guerra. La percezione di impunità e di successo sentita da Putin porterà, prima o poi, alle nuove guerre in Europa.
In tanti sanno che la Gazprom ha ridotto le forniture del gas via il North Stream, ma non tutti hanno capito bene il vero motivo.
È vera quella parte della notizia secondo la quale si è rotta una delle turbine (della Siemens) utilizzate per «pompare» il gas nel gasdotto. Ma è solo una parte della notizia più ampia. In realtà, la Siemens è una di quelle numerosissime aziende occidentali che hanno lasciato il mercato russo dopo l’inizio della invasione militare della Ucraina. Di conseguenza, la Russia sta seriamente rischiando di rimanere non solo senza i nuovi prodotti della Siemens (treni, macchinari ospedalieri, attrezzature per il trattamento delle materie prime etc.), ma pure senza i pezzi di ricambio. Senza i pezzi di ricambio, come potete facilmente immaginare, molte attività rischiano di fermarsi. Anche il trasporto del gas.
Non so ancora se e come possa essere trovata una soluzione – più o meno legale – del problema con le forniture via il North Stream. Ma posso già constatare che nel valutare l’efficacia delle sanzioni adottate contro la Russia bisogna prendere in considerazione anche quelle introdotte dalle aziende private per l’iniziativa propria. Potrebbero rivelarsi più sensibili e capaci di produrre effetti in tempi più stretti.
Le circostanze non sono molto divertenti, ma ieri sera ho scoperto uno dei futuri vincitori dell’Ig Nobel per l’economia. In sostanza, il Ministero delle Finanze russo ha deciso di combattere le sanzioni occidentali con delle mosse magiche: per esempio, rendendo segreti (quindi non consultabili dai non addetti ai lavori) i dati sulle spese del bilancio russo. Il servizio stampa del ministero ha comunicato:
A causa delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dal Regno Unito e da altri Stati ostili nei confronti della Federazione Russa e dei singoli individui, si è reso necessario limitare parzialmente la diffusione di informazioni, anche per quanto riguarda la formazione del bilancio.
[sì, la frase è un po’ storta anche nella sua redazione originale]
In pratica, qualcuno al Ministero ha pensato che su questo pianeta nessuno sappia cosa esporta nel mondo e cosa importa dal mondo la Russia. Molto probabilmente ha pure pensato che le merci non siano tracciabili se venduti con l’aiuto degli intermediari. Boh, l’unica cosa che possiamo fare di fronte a tale convinzione è augurare una buona fortuna agli inventori della mossa «geniale».
Nel frattempo, i dati sulla esecuzione del bilancio russo pubblicati ieri per il periodo di gennaio – maggio contengono solo le informazioni sul totale delle spese e delle entrate; è impossibile trovare i dati sulle spese per le sezioni specifiche.
Periodicamente mi capita di sentire che le sanzioni occidentali contro la Russia non funzionerebbero. E mi sono già un po’ stancato a spiegare che non sono ancora state inventate le sanzioni capaci di iniziare a produrre gli effetti visibili in pochi giorni o in poche settimane. Ammetto pure che a me manca la fantasia per immaginare almeno una sanzione politica o economica così veloce…
È più interessante constatare che almeno alcune delle sanzioni adottate non funzionano in un senso molto più banale: gli stessi Stati che le hanno introdotte non sanno o non vogliono (ovviamente senza dichiararlo) applicarle al 100%. Per esempio: il giornale tedesco Welt am Sonntag ha contato circa trenta voli privati (aerei ed elicotteri) nello spazio aereo europeo – spesso con il punto di destinazione o di partenza in Europa – effettuati dopo il divieto annunciato da Ursula von der Leyen già il 27 febbraio.
L’articolo originale è in tedesco, ma i vari traduttori online si trovano ormai a un buon livello, quindi le persone realmente interessate riusciranno a leggere facilmente l’intera notizia.
Io, nel frattempo, posso aggiungere solo una cosa: spero che i voli clandestini di cui sopra siano serviti per le trattative di resa personale o collettiva. In parte, questo spiegherebbe anche il loro svolgimento impunito.
Dal giorno dell’inizio della guerra in Ucraina, diverse migliaia di aziende occidentali hanno lasciato (o stanno lasciando in questo periodo), per l’iniziativa propria, il mercato russo. In parte lo fanno per motivi morali e/o reputazionali, in parte per la paura delle future sanzioni. Una delle prime aziende a lasciare è stato il McDonald’s. La sua uscita è stata tra le più discusse in Russia e, molto probabilmente, in questi giorni è capitato pure a voi di leggere o sentire degli sviluppi di questa discussione…
So che molti occidentali non riuscivano proprio a capire la popolarità del McDonald’s in Russia. Di conseguenza, negli anni passati mi era già capitato più volte di spiegarla. Ora ripeto brevemente per conservare bene questo fatto ormai storico in tutti i sensi. Nel XXI secolo il McDonald’s era diventato particolarmente apprezzato tra le persone che viaggiano tanto in macchina tra le città russe. Lo è diventato principalmente per tre motivi:
1. La qualità del cibo prevedibile (per molte persone si tratta certamente della qualità discutibile, ma il vantaggio della prevedibilità prevale);
2. I bagni puliti e funzionanti (in Russia i bagni pubblici di questo tipo sono… ehm… un po’ rari, soprattutto fuori dai centri delle città più grandi);
3. Il wi-fi gratuito (è sempre stato importante anche perché fino al 2018 chi andava in una Regione diversa dalla propria, doveva sostenere le spese del roaming).
Tutti i motivi diventano ancora più chiari se immaginate le distanze che molti automobilisti si trovano a percorrere in zone spesso poco conosciute, poco popolate e/o poco sviluppate. In più, molte persone hanno conservato l’abitudine di andare al McDonald’s anche nei periodi dei non-viaggi. Molti altri, invece, ci andavano perché non hanno mai avuto i soldi per un ristorante vero/normale.
Chiusa la parentesi storica, torniamo alla attualità. Prima della guerra il McDonald’s aveva 850 ristoranti sul territorio russo. La maggioranza di questi era di proprietà della azienda-madre, ma molti altri – aperti negli ultimi vent’anni – erano gestite dalle aziende russe con il franchising. Alcuni di questi ultimi, in base a dei contratti scritti in un modo abbastanza particolare, non hanno mai chiuso e potranno usare il marchio del McDonald’s ancora per un po’ di mesi. La maggioranza schiacciante, però, è stata venduta al franchiser siberiano Aleksandr Govor: per una somma segreta e con la condizione di riaprire i ristoranti sotto un marchio diverso ma con i dipendenti vecchi.
Ieri, in coincidenza con la Giornata della Russia (una festa nazionale), Aleksandr Govor ha iniziato a riaprire i ristoranti dell’ex McDonald’s: sono stati aperti i primi 15 locali a Mosca e nelle zone limitrofe. L’attenzione principale dei media era logicamente rivolata verso quello più famoso: il primo McDonald’s aperto a Mosca il 31 gennaio 1990 in piazza Pushkin. L’attenzione dei clienti, però, non è stata paragonabile a quella di 32 anni fa:
Ahahaha, io mi ricordo benissimo le file letteralmente chilometriche delle persone desiderose di entrare, era una scena che si poteva osservare per diversi mesi (lo dico da residente della zona).
Certamente, non è tanto corretto paragonare le due aperture: nel 1990 si trattava di un fenomeno totalmente nuovo, senza precedenti. Ora, nel 2022, l’affluenza è notevolmente inferiore perché la gente è già ben abituata alla presenza dei prodotti occidentali, allo stile di vita occidentale etc. etc… Allo stesso tempo, l’affluenza mi sembra notevolmente superiore a quella che si sarebbe osservata in un qualsiasi altro Stato occidentale nell’occasione della apertura di un nuovo fast food. La spiegazione del fenomeno mi sembra molto banale: nonostante le numerose dichiarazioni pseudo-patriottiche, la maggioranza degli utenti spera che non cambi nulla. Spera (spesso senza formularlo bene nemmeno nella propria testa) che lo spirito – la qualità, il modo di lavorare – del McDonald’s americano rimanga in Russia. Rimanga per i motivi elencati all’inizio di questo post.
È stato un modo molto curioso di festeggiare la Giornata della Russia. Soprattutto in questo momento storico.