Come avrete già letto, la Commissione europea ha finalmente trovato il modo di limitare l’import del petrolio russo senza mettere in difficoltà alcuni Stati-membri. Sarà vietato solo l’import via mare (e non via gli oleodotti), il quale costituisce comunque più del 75% dell’import russo. Si programma di aumentare tale quota – entro la fine del 2022 – fino al 90%.
Le conseguenze economiche a breve termine sono banali ed evidenti: i prezzi del petrolio (e quindi dei prodotti derivanti da esso) cresceranno.
Non tutti, però, sono capaci di immaginare le conseguenze logistiche e produttive. A breve termine la Russia non riuscirà a esportare più petrolio via gli oleodotti: questi ultimi vengono già impegnati quasi al 100% delle loro capacità in tutte le direzioni (non solo verso l’Europa). A medio termine la Russia potrebbe tentare di esportare il petrolio via mare verso l’Asia: ma gli Stati asiatici non hanno bisogno di aumentare sensibilmente i volumi d’acquisto e, sicuramente, sfrutteranno la situazione per ottenere degli sconti (a questo punto il prezzo potrebbe iniziare a scendere / smettere di crescere su scala globale). A lungo termine, infine, vedremo la ridistribuzione dei mercati del petrolio: la Russia venderà di più all’Africa e all’Asia, mentre i fornitori (ormai ex) di questi ultimi venderanno all’Europa (e a questo punto la situazione si stabilizza).
Non bisogna essere un genio di economia per giungere alle suddette conclusioni.
Però è importante capire che la riduzione del finanziamento della guerra (che avviene anche con l’acquisto delle materie prime russe) deve essere una operazione a breve termine non solo per delle ragioni economiche.
Se ci si organizza come si deve, andrà tutto bene (ops, quelle tre parole non ci vogliono lasciare…).
L’archivio del 31 maggio 2022
31/05/2022 alle 13:25