L’archivio del aprile 2022

La musica del sabato

Formalmente, il gruppo rock (strumentale) statunitense The Ventures è uno dei gruppi più longevi al mondo: è nato nel 1958, anche se nessun membro della gloriosa formazione originale è ancora in attività o addirittura in vita. Allo stesso tempo, è uno dei gruppi di maggior successo commerciale della storia.
In questa sede, però, ci interessa il fatto che The Ventures storici, avendo sperimentato tanto con il suono, hanno esercitato una certa influenza su tantissimi altri gruppi di epoche diverse e si sono guadagnati il titolo di «The Band that Launched a Thousand Bands».
Una delle manifestazioni più interessanti della influenza della loro musica è il brano «Surf Rider (Spudnik)», il quale era stato incluso – sotto due nomi diversi – negli album «Mashed Potatoes and Gravy» (1962) e «Surfing» (1963).

Già nel 1963 hanno iniziato a comparire sul mercato le prime (tra le numerose) cover di quel brano. Una delle prime è stata una versione allungata e velocizzata del gruppo californiano The Lively Ones (l’album che la contiene si chiama «Surf Rider!»):

Vi è sembrata già più famigliare? Giusto. Proprio questa cover si sente durante i titoli finali del film «Pulp Fiction» di Quentin Tarantino. Il problema è che più o meno tutti si sono dimenticati, ben prima del 1994, dell’originale de The Ventures.
Quindi a questo punto The Ventures hanno deciso di sfruttare la situazione e reinserire il proprio «Surf Rider» nel programma dei concerti. Ma lo hanno anche rielaborato un po’:

In questo modo è stato salvato dall’oblio, grazie alla loro influenza, uno dei brani del gruppo.


Segnalo un articolo che molto probabilmente non avreste trovato da soli (oppure trovato con un certo ritardo): l’indagine della «Mediazona» su chi siano stati quei militari russi la cui morte nella guerra in Ucraina è [più o meno] ufficialmente nota al giorno d’oggi. Metto il link alla versione inglese dell’articolo.
Il testo riporta tanti dati: sono descritti in un modo abbastanza comprensibile e illustrati con tanti grafici. L’indagine in generale mi è sembrata fatta abbastanza bene.


La “lista dei 6000”

Se vi dovesse capitare, in questi giorni, di leggere della «lista dei corrotti e dei guerrafondai» russi (quasi sei mila nomi) stilata dai colleghi di Alexey Navalny al fine di segnalare all’Occidente i nomi dei futuri destinatari delle sanzioni personali, non illudetevi. Per ora si tratta di una lista molto, molto provvisoria. Infatti, anche una lettura non particolarmente attenta di quella proposta consente di notare una serie di imperfezioni. Per esempio, alcuni nomi vengono ripetuti in più sezioni della lista. Alcuni nomi, poi, evidentemente sono stati inseriti in fretta e per sbaglio (perché sono delle persone normali che tempo fa hanno avuto qualche forma di contatto con qualche organo di propaganda russa). Alcuni nomi apparentemente evidenti, al contrario, mancano.
Però si tratta dell’inizio di un lavoro importante. Un lavoro sulla ricerca di quelle persone che devono essere non «riprese» o «punite», ma fermate. Fermate per rendere impossibile il loro sostegno alla guerra in Ucraina e, quindi, avvicinare più possibile la fine della guerra stessa.


Cosa significa pagare in rubli

Purtroppo, nel nostro mondo imperfetto molto spesso si incontrano tra loro le persone che non sanno scrivere le notizie e le persone che non sanno leggere le stesse notizie…
Per esempio: oggi molti giornali italiani hanno scritto del fatto (fatto?) che l’ENI starebbe considerando l’opzione di rispettare il decreto di Putin e pagare quindi il gas russo in rubli. Di questa notizia, però, bisogna scrivere e capire una cosa semplicissima: l’ENI indipendentemente dalla decisione presa, NON pagherà il gas russo in rubli. La spiegazione di tale fenomeno curioso non è difficilissima.
Infatti, bisogna ricordare che:
– il decreto presidenziale di Putin sui pagamenti in rubli è un tentativo di cambiare unilateralmente il contratto firmato dalle aziende private (contratto che, tra l’altro, prevede anche la valuta di pagamento) con una norma di rango inferiore a una legge ordinaria russa: quindi dal punto di vista puramente giuridico quel decreto è la carta igienica sporca;
– di conseguenza, l’ENI ha tutto il diritto di ignorare quel decreto, continuare a pagare in euro come ha sempre fatto e, in caso di problemi, andare dal giudice e vincere la causa;
– naturalmente, nella vita reale l’ENI ha bisogno (per ora) del gas russo, quindi sta cercando delle soluzioni che non compromettano la continuità della sua attività;
– lo stesso decreto di Putin stabilisce, in breve, che lo stesso Gazprom apre dei conti nella propria banca per ogni azienda-cliente non russa, riceve i pagamenti in euro o in altre valute (come ha sempre fatto prima della guerra in Ucraina) su quei nuovi conti e poi converte la valuta ricevuta in più passaggi (ma ormai senza alcuna partecipazione della azienda-cliente) in rubli;
– quindi «pagare in rubli» significherà, per l’ENI, versare gli euri su un nuovo conto della Gazprombank.
Basta, tutto qui.
Però la propaganda russa avrà l’occasione per dire che «l’ENI è stata costretta a pagare in rubli».


Il pacifismo celebrale

In questi giorni si vedono dei progressi nella fornitura delle armi all’Ucraina. In particolare, la Germania ha per la prima volta annunciato la fornitura delle armi pesanti, mentre l’Italia ha per ora confermato le proprie intenzioni di effettuare delle forniture.
Nell’ambito di queste notizie devo, purtroppo, constatare di vedere ancora in giro degli esseri da somiglianze umane contrari agli aiuti militari all’Ucraina. Non penso che di questi tempi abbia senso essere diplomatici: si può serenamente ammettere che quegli esseri sono dei complici di Vladimir Putin nel suo intento di cancellare l’Ucraina libera e sovrana dalla faccia della terra.
Attualmente non sono del tutto chiare le motivazioni dell’odio di Putin verso lo Stato vicino e verso il suo popolo (possiamo fare solo delle ipotesi), ma la sua determinazione è evidente. Non ha paura di provocare numerose vittime umane, non ha paura delle sanzioni e dell’isolamento della Russia, non ha paura del crollo della economia russa, non ha paura di essere riconosciuto un criminale internazionale, non ha paura di tutti quei concetti che alcuni politici europei cercano ancora a spiegargli (cose elencate in ordine quasi casuale). Sicuramente non avrà paura nemmeno delle manifestazioni nelle piazze europee con delle bandierine ucraine o degli inviti alla pace su Facebook. Andrà avanti finché avrà i mezzi per farlo. Andrà avanti fino alla «soluzione finale del problema ucraino». Anche perché capisce (spero) che fermarsi significa perdere tutto.
Di conseguenza, privare l’Ucraina dei mezzi tecnici di condurre questa guerra significa avvicinare la vittoria dell’esercito di Putin.
La vittoria militare farà pensare a Putin che la guerra sia una via praticabile per raggiungere i propri obbiettivi anche in Europa.
E i pacifisti rincoglioniti di fatto lo stanno appoggiando già ora. Non so cosa debba succedere poiché cambino l’idea.


La settimana scorsa l’azienda tedesca Statista ha prodotto un rapporto – naturalmente non quello definitivo – sulla provenienza e l’entità degli aiuti militari all’Ucraina: «Where Military Aid to Ukraine Comes From». Alcuni dei dati pubblicati sono interessanti.
Guardando le promesse di aiuto militare all’Ucraina tra l’inizio dell’invasione russa e il 27 marzo, il governo degli Stati Uniti si è impegnato a fornire di gran lunga il maggior numero di armi e altri equipaggiamenti. Quasi 4,8 miliardi di dollari in aiuti militari sono stati promessi fino a questa data, secondo l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute for the World Economy. Questo numero potrebbe presto aumentare ancora di più, dato che la Casa Bianca starebbe preparando un altro sostanzioso pacchetto di aiuti militari. Insieme a un pacchetto simile annunciato a metà aprile, il nuovo round di finanziamento aumenterebbe gli aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina di altri 1,6 miliardi di dollari.
La seconda classificata, l’Estonia, ha promesso molto meno – 240 milioni di dollari – nell’arco di tempo dato, ma l’aiuto militare impegnato dal paese ammonta allo 0,8% del PIL della piccola nazione. Questo è molto di più in termini relativi di qualsiasi impegno degli altri principali donatori all’Ucraina, anche quando si combinano gli impegni di aiuto militare, finanziario e umanitario. L’impegno combinato degli Stati Uniti di circa 8,3 miliardi di dollari in aiuti umanitari e militari ammonta solo a circa lo 0,04% del suo PIL.
I prossimi maggiori donatori di aiuti militari all’Ucraina sono Regno Unito, Italia, Svezia e Germania. Uno dei più grandi vicini dell’Ucraina, la Polonia, appare più in basso nella lista, avendo promesso pochissimo aiuto militare al paese, concentrandosi invece su impegni di aiuto finanziario di circa 900 milioni di dollari, il che lo rende il secondo più grande donatore complessivo all’Ucraina dopo gli Stati Uniti.
Ecco il relativo grafico:

Volendo, potete vedere il rapporto originale sul sito.


Il rascismo

Abbastanza prevedibilmente sulla Wikipedia è comparso l’articolo – disponibile già in 25 lingue – dedicato alla ideologia chiamata «rascismo». Metto il link alla versione inglese dell’articolo perché quella italiana non esiste ancora (penso che si tratti solo di una questione di tempo), mentre quella russa viene puntualmente cancellata o seriamente danneggiata, nei suoi contenuti, dai personaggi anonimi legati indovinate a chi.
Il suddetto articolo può e deve essere ampliato perché parla di un fenomeno ampio e importante (purtroppo) per la realtà socio-politica russa e internazionale. Ma già ora potete leggere la sua prima versione: è utile per farsi una idea generale dell’argomento.
L’unica cosa che in un certo senso mi ha sorpreso nell’articolo è la proporzione dello spazio dedicato alla figura di Aleksandr Dughin. Ammetto che si tratta di un personaggio che mi è fortemente antipatico per le sue idee – ma che deve comunque essere menzionato in quel contesto – ma allo stesso tempo non posso non riconoscere che nei suoi scritti e discorsi orali la forma prevale fortemente sui contenuti dal punto di vista quantitativo e qualitativo. In sostanza, è tecnicamente un buon oratore con pochi e mal approfonditi concetti teorici. Beh, la sproporzione potrebbe finire a essere superata in seguito.
Ora lascio tutti gli interessati alla lettura.
P.S.: ho scelto bene il giorno per scriverne…


Con 49 anni di anticipo

Non so se lo sapete già. Probabilmente lo sapete, ma non in tutti i dettagli…
In sintesi: nella natura esiste il cartone animato sovietico «I tesori delle navi naufragate» («Cокровища затонувших кораблей») uscito nel lontano 1973. Fino a poco fa non è stato famoso nemmeno in Russia; io non mi ricordo proprio di averlo visto da piccolo, quindi non escludo che non sia mai successo. Ma in questa sede ci interessa una scena concreta di quel cartone. La scena nella quale tre ragazzi di età scolastica esplorano i fondali marini a bordo di un batiscafo chiamato «Nettuno 25» («Нептун 25») e trovano una nave militare tedesca affondata durante la Seconda guerra mondiale:

Ecco, per qualche stranissimo e incomprensibilissimo motivo l’intero cartone è stato bloccato, per chi tenta di accedervi dal territorio russo, sul canale Youtube della casa produttrice del cartone stesso. Le persone cattive dicono che il motivo reale sarebbe il nome dei razzi ucraini «Nettuno» che hanno fatto affondare l’incrociatore «Moskva»… Ma noi cosa dobbiamo pensare di fronte a queste voci?..


La musica del sabato

Probabilmente è arrivato il momento di fare un nuovo post musicale legato alla guerra in Ucraina.
Inizierei con i Pink Floyd che nell’ambito del grande progetto internazionale «Stand Up for Ukraine» hanno pubblicato la loro prima canzone nuova dal 1994: «Hey Hey Rise Up». Nella composizione viene utilizzato un frammento vocale cantato dal musicista ucraino Andriy Hlyvnyuk (del gruppo ucraino Boombox) in Piazza Sofia a Kiev. In questo ultimo caso si tratta della canzone «Oy u luzi chervona kalyna». Il titolo della canzone dei Pink Floyd si riferisce al verso della suddetta canzone «A mi našu slavnu Ukrajinu, gej, gej, rozveselimo!».

La seconda canzone del post odierno è la vecchia (del 1985) e ben nota «Russians» di Sting. L’autore ha recentemente dichiarato che non avrebbe mai immaginato che questo brano potesse tornare a essere attuale. E, invece, ora riprende a cantarlo… Ma io pubblico una sua vecchia (e classica) interpretazione:

Ecco, per oggi è così…


Ora che lo so, mi sembra una notizia logica e facilmente prevedibile, anche se prima non ci avevo proprio pensato a questo aspetto…
Il servizio Google Maps ha reso visualizzabili – nella massima risoluzione – le immagini satellitari delle strutture strategiche e militari situate sul territorio russo. Ora la risoluzione delle immagini raggiunge 0,5 metri per pixel, mentre prima la qualità era notevolmente più bassa (quando si poteva proprio parlare della qualità).
Tra una molteplicità di luoghi è possibile vedere, per esempio, le immagini satellitari dell’incrociatore portaerei «Admiral Kuznetsov» (non so se conoscete le sue avventure ridicole relativamente recenti, ahahaha), del caccia Su-57, della base aerea vicino a Kursk…
Le persone più interessate all’argomento appena sollevato possono dedicare questo weekend lungo alla ricerca dei luoghi più interessanti (se non sapete proprio da dove iniziare, pensate ai possibili luoghi di posizionamento delle navi militari), mentre io pubblico solo alcuni esempi concreti un po’ banali.
L’incrociatore portaerei «Admiral Kuznetsov»:

Una base di stoccaggio di munizioni nucleari vicino a Murmansk:
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