Quello di oggi è un video lungo, di quasi due ore, che capita però in un periodo quando diversi miei lettori si trovano parzialmente bloccati in una zona «rossa» o «arancione» (o, semplicemente, in una condizione di particolare preoccupazione per la propria salute), quindi lo condivido con un po’ meno dubbi del solito.
L’ultima indagine di Aleksej Navalny e della sua FBK (Fondazione per la lotta contro la corruzione) per la prima volta nella storia pluriennale riguarda direttamente Vladimir Putin e non qualcuno della sua cerchia. Dal video che racconta quella indagine non si scoprono dei principi completamente nuovi sulla figura di Putin e/o sul funzionamento dello Stato russo (almeno per me), ma si ottiene e si perfeziona un ritratto psicologico della persona che insiste ad attaccarsi al potere da oltre vent’anni. A me sembra disgustoso anche dal punto di vista puramente estetico.
Il film ha i sottotitoli in inglese:
Il film è stato pubblicato il 19 gennaio e il pomeriggio del 23 gennaio aveva già quasi 69 milioni di visualizzazioni. Meno male che nel mondo odierno la gente ha la possibilità di mandare affanculo la propaganda statale e scegliere delle cose che la interessano realmente, ahahaha
L’archivio del 2021 год
Qualche tempo fa ho scoperto (per caso) la cover della canzone «Zombie» suonato/cantato dal gruppo statunitense Bad Wolves. Tutti conoscono il bel originale dei The Cranberries, ma anche questa versione non è male:
Ho provato a informarmi su questo gruppo, ma non ho trovato una loro canzone di qualità simile. Per la loro fortuna, i membri del gruppo non sono ancora tanto vecchi: potrebbero riuscire a recuperare in futuro.
Per ora metto, in qualità della seconda canzone, la loro «Remember When» (anche essa, come «Zombie», inclusa nell’album «Disobey» del 2018):
È curioso il sito toonme.com che permette di trasformare qualsiasi foto di una persona in diversi personaggi da cartone animato. Si può provarlo solo per il divertimento oppure per utilizzare il risultato in qualità una (o più) immagine di profilo.
Pensavo di pubblicare il risultato ottenuto con la mia foto, ma poi ci ho ripensato. Spero che Arnold non si offenda!
Più o meno tutti hanno letto dei 17 provvedimenti firmati da Joe Biden durante la sua prima giornata lavorativa piena da Presidente…
Non tutti però sanno che appena entrato nel suo ufficio della Casa Bianca, il nuovo presidente ha trovato nel cassetto della scrivania una tradizionale lettera lasciatagli dal suo predecessore. Sì, Donald Trump ha rispettato almeno questa tradizione. Joe Biden non ha (ancora) svelato il contenuto del messaggio, ma qualcuno sostiene che la lettera sia brevissima: Continuare la lettura di questo post »
L’ecologia mediatica sta per migliorare: da ieri Donald Trump non è più il presidente degli Stati Uniti e – si spera – dovremo leggere di meno almeno delle sue avventure. Ma non dobbiamo illuderci troppo: rimarrà comunque un politico statunitense rilevante (rimane il fatto che lo ha votato quasi la metà degli aventi diritto) e rumoroso (come lo è stato negli ultimi quattro anni). Il secondo tentativo di impeachment può anche raggiungere il risultato sperato dai democratici, ma Trump non toglierà certo il diritto di parola a se stesso.
Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere un altro dato di fatto: indipendentemente dal nostro grado di simpatia nei confronti del nuovo presidente americano (sì, stranamente riesce a essere simpatico ad alcuni), Joe Biden è una figura transitoria. O, se preferite, è il primo presidente della epoca del bipartitismo 2.0. Biden è il rappresentante del partito del vecchio establishment americano (i tradizionali democratici + i tradizionali repubblicani) che almeno questa volta ha vinto contro il partito dei «teppisti» (il più noto dei quali è l’ex presidente Trump). Il primo partito è unito nel difendere i valori e le regole condivise e formate nei secoli. Il secondo partito è di creazione recentissima. La cerchia dei suoi sostenitori è diventata visibile – ma non è stata importata in un attimo dai marziani! – negli ultimi quattro anni, anche se aveva aspettato il proprio candidato tipico per anni e lo ha visto comparire sulla scena politica solo in occasione delle elezioni del 2016.
Nei prossimi quattro anni, poi, potrà formarsi il vasto fronte dei sostenitori di un altro partito: quello dei cittadini dell’internet. Il partito delle persone abituate a vivere nel cosiddetto «tempo reale». Il partito delle persone che non possono capire perché debbano necessariamente essere governati dai vecchietti che hanno sviluppato le proprie idee politiche all’epoca dei dinosauri (e hanno iniziato la propria scalata verso il potere più o meno nello stesso periodo). I nuovi leader competenti (almeno apparentemente) nelle sfide di oggi si trovano e/o si creano ora con il voto tramite i tap o i click.
Donald Trump non è fa più il presidente. Ma noi ci divertiremo ancora a osservare.
Una delle cose più fastidiose sull’internet è costituita dei tentativi di certi siti di inviarmi le notifiche (di peggio sono solo i banner pubblicitari enormi e i suoni imprevisti). Perché dovremmo distrarci per delle cose che non ci interessano? Perché dovremmo sprecare i nostri tempo e forze per rifiutare le notifiche tutte le volte?
Ebbene, esiste una soluzione tecnica per risolvere il problema una volta per sempre. Possiamo dire al nostro browser di disabilitare tutte le notifiche.
Chi usa FireFox, può farlo così: andare su about:config – cercare la voce dom.webnotifications.enabled – impostare il valore «false».
Chi usa Safari, può farlo così: Preferences – Websites – togliere la spunta a «Allow wesites to ask for permissions to send notifications».
Chi usa Google Chrome, può farlo così: Settings – Advanced – Site Settings – Notifications – sostituire «Sites can ask to send notifications» con «Blocked».
Ora potete navigare con un po’ più serenità.
Grazie a me, grazie a me.
Bene, il servizio di microblogging Parler si è trasferito su un hosting russo. (Per le persone lontane dalle conoscenze sul lato tecnico del web preciso che un hosting è un servizio di pubblicazione di siti: comprende uno spazio sul server, i programmi e i linguaggi di programmazione installati sul server stesso, l’assistenza tecnica etc.) L’azienda russa si chiama DDoS-Guard, tra i suoi clienti, in particolare, c’è anche il Ministero della Difesa russo. Il Parler, essendosi appena trasferito, non ha ancora completamente ripreso il servizio.
Come probabilmente vi ricordate, in precedenza Parler era stato «cacciato» dal hosting dell’Amazon e dai negozi Apple App Store e Google Play solo perché diventato popolare tra i sostenitori di Donald Trump. E ora voglio vedere se questa notizia si riveli capace di far alzare una nuova ondate di accuse nei confronti di Trump: il clima dell’odio cieco (creato da Trump e alla fine rivolto contro egli stesso) potrebbe portare le persone psicologicamente poco stabili a ricominciare di accusarlo dei «rapporti con la Russia». Sarà uno spettacolo incredibilmente divertente…
Scrivono che il 19 gennaio (l’ultima giornata piena da Presidente) Donald Trump dovrebbe graziare circa cento persone. In particolare, si precisa che dovrebbe evitare di graziare se stesso (qualcuno gli ha logicamente suggerito che l’auto-grazia equivarrebbe a una ammissione di avere qualche colpa) e i propri familiari. Inoltre, non dovrebbe graziare Julian Assange (nulla di grave in questo caso).
Ma per me la domanda più interessante sull’argomento è: tenterà di graziare tutti quei geni alternativi che sono andati ad assaltare il Senato interpretando troppo letteralmente le parole di egli stesso? A differenza dei «democratici», non cerco un progetto laddove c’è una banale manifestazione di stupidità, e quindi non penso che quello di Trump sia stato un invito intenzionato alla insurrezione. Ma questo sarebbe un ulteriore motivo per [tentare di] dimostrare di essere una persona minimamente responsabile, una persona che protegge i propri elettori. Chissà se a qualcuno verrà l’idea di spiegarlo a Trump…
Non è molto frequente che Arnold Schwarzenegger pubblichi dei video seri e, sicuramente, è diventato un buon youtuber grazie ai contenuti di altro genere. Ma il finesettimana scorso ha diffuso un messaggio politico interessante:
Molto probabilmente lo avete già visto. Quindi io lo lascio qui anche solo per ritrovarlo più facilmente in un ipotetico futuro.
Con una certa fondatezza, il compositore russo Alexander Glazunov è considerato uno degli eredi del cosiddetto «Gruppo dei cinque» (i componenti del quale si autodefinivano «la nuova scuola musicale russa»). I membri del Gruppo cercavano l’ispirazione nella cultura tradizionale russa e, tra l’altro, traducevano nella musica classica molti fenomeni folcloristici russi. Alexander Glazunov, pur riutilizzando alcuni elementi stilistici tipici del Gruppo, è però molto più vicino alla tradizione musicale europea.
Per il post musicale di oggi ho scelto la sua Sinfonia № 4 scritta nel 1893. Probabilmente, non è la composizione più famosa di Glazunov, ma allo stesso tempo è capace di dimostrare lo stile e l’autonomia dell’autore allora ventottenne.
(In questo specifico caso si tratta di una registrazione del 1948 della Orchestra Filarmonica di Leningrado diretta dal grande Yevgeny Mravinsky.)
Oltre alla eredità musicale lasciataci, dobbiamo essere grati a Alexander Glazunov per almeno uno dei suoi allievi: Dmitrij Šostakovič.