La serie delle pubblicazioni de The Guardian sull’uso relativamente largo dell’istituto del «Queen’s Consent» è interessante non solo dal punto di vista puramente giuridico. Quindi merita di essere letta almeno nei punti più importanti.
Il consenso della regina è, in sostanza, una cosa semplicissima: deve essere consesso per discutere in Parlamento ogni tipo di norma giuridica che possa in qualche modo toccare gli interessi della famiglia reale. Una persona comune non saprebbe avanzare delle ipotesi più o meno attendibili sulla quantità delle norme del genere, ma i giornalisti de The Guardian hanno calcolato che solo la regina attuale abbia utilizzato – con gli obiettivi e risultati di volta in volta diversi – almeno un migliaio di volte. Non tutti gli interventi della regina hanno una connessione (almeno quella visibile) con gli interessi della famiglia. Ma, in ogni caso, si potrebbe constatare che l’espressione «regna ma non governa» non corrisponde del tutto alla realtà dei fatti.
Leggendo la lista delle norme, la discussione delle quali ha in varie epoche richiesto una trattativa per ottenere il consenso della regina, ho effettivamente notato gli argomenti di genere molto vario (per esempio, le regole sulla pesca del salmone o sui parcheggi automobilistici). E per l’ennesima volta mi sono dispiaciuto che nemmeno la regina abbia trovato il modo di intervenire sulla tristissima storia del Brexit.
Del «Queen’s Consent», invece, non posso dire alcunché di negativo. È un attributo normale della monarchia e, vista la qualità della vita nell’UK, non sembra essere abusato (lmeno a un osservatore molto estraneo come me). Quindi esista pure.
L’archivio del febbraio 2021
Porco innominabile, le mascherine mediche con i lacci posizionati sui lati lunghi sono tanto scomode da far pronunciare delle maledizioni che non avrei mai potuto immaginare prima.
Quelle mascherine sono scomode da mettere sulla faccia: bisogna estenderle di quasi mezzo metro per non far cadere gli occhiali e/o spettinarsi completamente.
Quelle mascherine sono scomode da portare: si spostano da sole in orizzontale e in verticale (e sono più difficili da centrare sulla faccia quando vi si mettono).
Durante tutte le operazioni legate alla necessità di indossarle e sistemarle, quelle mascherine costringono pure il proprietario a toccare la loro superficie interna (con le mani non sempre tanto pulite).
Saranno state progettate dall’inventore della Fiat Duna…
Insomma, vi ho avvisati. State attenti ai dettagli anche quando comprate un oggetto apparentemente tanto semplice.
Il servizio Yandex Translate propone degli esempi interessanti di utilizzo delle parole tradotte:
Chissà per quanto tempo continua a farlo…
Un tipo appassionato ha deciso di eseguire il test dell’autopilota (Full Self-Driving) della Tesla Model 3 cercando di andare da San Francisco a Los Angeles senza mai toccare il volante. Lo ha fato e ha filmato per noi tutto il processo. Il risultato è mostrato in un video accelerato che dura appena 15 minuti. I commenti in inglese sono dello stesso autore del test.
Il test è di una portata notevole, dato che la distanza percorsa è di quasi 400 miglia (poco più di 600 chilometri). Al momento della partenza la batteria della macchina non era completamente carica, quindi nel test sono state ricomprese due uscite dalla autostrada per raggiungere i punti di ricarica posizionati lungo delle strade provinciali. Nel corso di tutto il viaggio il volante è stato toccato solo una volta: già a Los Angeles il tipo si era spaventato per l’improvviso avvistamento di una grossa pietra davanti alla macchina (ma è successo ormai sul territorio di Los Angeles, quindi il test può essere ritenuto superato).
Insomma, si può dire che nonostante alcuni cambi di corsia inspiegabili, il Full Self-Driving funziona bene. Purtroppo, con la stessa convinzione si può anche dire che i fan italiani della Tesla ancora per molti anni si dovranno accontentare di vedere il Full Self-Driving solo su YouTube: il legislatore italiano non è particolarmente fiducioso della innovazione (in tutti i sensi).
La mia percezione potrebbe essere lontana dallo stato reale delle cose, ma per me la cantante scozzese KT Tunstall è la cantante di una sola canzone. Infatti, tranne il famosissimo brano d’esordio «The Black Horse and the Cherry Tree» non ho mai sentito qualcosa di realmente interessante da parte sua…
Anche se, preparandomi a scrivere questo post musicale, avevo concesso l’ultima possibilità a KT Tunstall: avevo provato a sentire la relativa raccolta «best of» su YouTube. Purtroppo, però, la maggioranza delle canzoni incluse in quella raccolta era irrimediabilmente pop… Certo, avevo notato il tentativo di ripetere il primo successo con la canzone «Evil Eye», ma i tentativi falliti non meritano troppa nostra attenzione.
Di conseguenza, in qualità della seconda canzone ho scelto la «Made Of Glass»:
KT Tunstall ha quaranta sei anni e, pare, inizia ad avere qualche problema con l’udito, ma noi non perdiamo la speranza: c’è sempre la possibilità che inventi ancora qualcosa di interessante.
Il mercoledì 3 febbraio avevo utilizzato questa foto di Dmitry Markov per illustrare un post dedicato alla politica interna russa:
Solo un po’ di tempo dopo ho pensato che uno dei più interessanti fotografi russi di oggi meriterebbe almeno un post dedicato solo a egli. E allora lo faccio oggi, dato che la maggioranza dei miei lettori nel finesettimana ha più tempo per lo studio dei contenuti «voluminosi» (nel caso specifico, le foto).
A partire dal 2013 Dmitry Markov segue una logica professionale [ancora] non particolarmente diffusa: fotografa solo con lo smartphone e pubblica solo le foto scattate oggi, il giorno stesso. A causa anche di alcune particolarità della sua biografia giovanile particolare, si specializza nella quotidianità della provincia russa. Contrariamente a quanto si possa pensare in molti casi, tutte le sue foto illustrano la realtà e delle situazioni costruite appositamente.
Ora riporto solo alcuni esempi, mentre voi potete vedere di più nell’Instagram di Dmitry Markov. Continuare la lettura di questo post »
Non so se tutti hanno già appreso questa notizia tecnologica di dicembre: «A New Satellite Can Peer Inside Buildings, Day or Night». Io ho alcuni dubbi in merito a questa «innovazione», ma la gente paranoica può iniziare comunque a cercare o costruire qualche catacomba «sicuro» per viverci.
In sostanza, l’azienda statunitense Capella Space sarebbe in grado di ottenere dal proprio satellite delle immagini super dettagliate della superficie terrestre. Attualmente un pixel delle loro immagini corrisponde a un quadrato di 50×50 cm, ma in breve si aspetta di arrivare alla risoluzione di almeno 25×25 cm. Il satellite è in grado di riprendere lo stesso oggetto per una durata di tempo dai 20 ai 60 secondi.
Ma l’aspetto più interessante è il modo dichiarato di ottenere le immagini. Infatti, non vengono utilizzate delle semplici fotocamere. L’immagine si verrebbe ottenuta dal radar, il quale invia nel punto desiderato un potente radiosegnale e poi elabora i dati ottenuti. Trattandosi, appunto, di un radiosegnale, è possibile ottenere le immagini anche di notte o nelle condizioni di nuvolosità. Inoltre, come si sostiene, il radiosegnale sarebbe oltrepassare le mura (e i tetti) degli edifici, quindi si potrebbe vedere cosa succede dentro…
Insomma, a me sembra più una opera fantascienza, ma, comunque, una opera interessante.
In ogni caso, gli obiettivi della azienda sono puramente commerciali. Le immagini di maggiore definizione possono essere vendute solamente alle agenzie governative americane, ma quelle di qualità un po’ inferiore possono essere vendute anche ai clienti privati.
Per fortuna a volte arrivare anche delle notizie tendenzialmente positive legate alla Russia. Così, per esempio, il martedì 2 febbraio gli sviluppatori del vaccino russo contro il Covid-19 hanno finalmente pubblicato i risultati della terza fase della sperimentazione. La pubblicazione merita di essere presa in considerazione almeno perché è avvenuta su «The Lancet», la rivista medica più autorevole del mondo.
Studiando i dettagli della sperimentazione del Sputnik V, possiamo trovare alcune importanti risposte ai vecchi dubbi, ma anche constatare di non avere ancora tutte le informazioni.
In sintesi, le informazioni rassicuranti pubblicate nel suddetto articolo sono le seguenti. La terza fase della sperimentazione è stata eseguita su venti mila persone. L’efficacia del vaccino dimostrata è del 91,6%, quindi è di un livello simile a quello dei vaccini di Pfizer (92–95%) e Moderna (94%). I casi di ricovero in ospedale dei volontari partecipanti alla sperimentazione erano rari: in particolare, si tratta del 0,4% delle persone che hanno ricevuto il placebo e del 0,2% delle persone che hanno ricevuto il vaccino testato. Non ci sono dei motivi per sostenere che il ricovero sia in qualche modo legato alla sostanza somministrata. Quattro partecipanti ai test sono deceduti, ma si riesce a legare la loro morte alla sperimentazione in corso.
Il campo delle informazioni mancanti sullo Sputnik V in parte coincide con quello riguarda anche gli altri vaccini già in fase di somministrazione: per esempio, non si quanto possa durare la difesa dal coronavirus. Inoltre, si sospetta che un vaccino basato sui vettori adenovirali (come lo Sputnk V, appunto) non possano essere somministrati più volte (almeno in un periodo medio-breve) per uno specifico comportamento del sistema immunitario. Non si sa, poi, quanto lo Sputnik V sia efficace contro la malattia «asintomatica» (saperlo è importante per capire se questo vaccino si limita a ridurre la quantità di malati gravi oppure è anche in grado di rallentare la pandemia). Allo stesso modo, non si conosce l’efficacia dello Sputnik V contro le diverse varianti del Covid. Infine, è da ricordare che i test sono stati eseguiti solo in Russia, quindi su un insieme di persone meno rappresentativo di quanto avrebbe potuto essere.
In ogni caso, se anche le sole informazioni forniteci dovessero essere vere, dovremmo essere più ottimisti che pessimisti. È sempre positivo avere una versione del vaccino in più che è capaci almeno di evitare la malattia grave. E, in ogni caso, i rischi legati alla malattia sono molto più gravi di quelli legati alla vaccinazione.
La cosa che non mi piace è la già evidente incapacità di produrre le quantità sufficientemente grandi dello Sputnik V. Rispetto ad esso, infatti, i vaccini americani ed europei vengono prodotti «con la velocità della luce».
Come avete già probabilmente letto o sentito da qualche parte, ieri l’oppositore russo Aleksej Navalny è stato condannato per tre anni e mezzo mesi di reclusione. Ma se non ci avete capito molto di quella notizia, è normalissimo. Vedersi assegnare lo status di ricercato per non avere rispettato l’obbligo di firma (anche se hai comunicato di trovarsi all’estero per le cure mediche dopo l’avvelenamento), essere fermato e trattenuto al rientro in base a un articolo del codice penale non applicabile al tuo caso (con il giudice che viene a sorpresa nel comando della polizia per convertire il fermo nell’arresto direttamente sul posto) e, infine, essere condannato alla detenzione per la suddetta questione delle firme (anche se lo Stato, rimborsandoti sull’ordine della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha già di fatto riconosciuto di averti condannato ingiustamente) è una sequenza di eventi difficilmente immaginabili per un europeo medio.
Un osservatore europeo medio che si interessa a ciò che accade in Russia deve invece capire un’altra cosa. Formalmente Aleksej Navalny dovrà scontare «solo» 2 anni e 8 mesi perché in precedenza aveva già passato 10 mesi ai domiciliari. Ma in pratica la durata della sua reclusione sarà diversa. In pratica la durata della sua reclusione sarà pari alla durata di permanenza di Vladimir Putin (ma anche di putin collettivo) al potere. Se va bene a Putin, il periodo sarà molto più lungo. Se va bene a Navalny, la liberazione è più vicina dell’ottobre 2023.
Io, nel frattempo, posso sperare in almeno due cose. In primo luogo, nonostante il brutto precedente, spero che le sfortune di Aleksej Navalny si limitino alla detenzione in carcere. In secondo luogo, spero che il destino dell’oppositore più attivo di Putin non finisca a dipendere solo dalla salute fisica di quest’ultimo.
L’immagine illustrativa del presente post è stata scattata ieri pomeriggio dal noto fotografo Dmitry Markov, fermato davanti al Tribunale nel quale veniva condannato Navalny.
Come avete probabilmente già letto, l’infermiera svedese Lisa Enroth è stata selezionata tra circa 12 mila candidati come l’unica spettatrice del principale festival cinematografico scandinavo: il Gothenburg film festival.
Omettendo i vari dettagli già noti, passiamo all’aspetto più interessante. In sostanza, in una settimana Lisa Enroth dovrà vedere tutti i 70 film del festival e registrare i video con le proprie impressioni. Questo significa che dovrà vedere mediamente 10 film al giorno. I film che si girano negli ultimi anni di solito non sono brevissimi (anzi, spesso sono esageratamente lunghi), ma possiamo anche provare a essere ottimisti e presumere che la durata media dei film presentati al festival sia di 90 minuti. Ma dieci film da 1,5 ore al giorno equivalgono a 15 ore al giorno passati davanti allo schermo. E in totale sono 105 ore delle 168 ore che compongono una settimana…
Non vorrei paragonare le cose non paragonabili, ma l’obiettivo di Lisa Enroth era anche quello di riposarsi dal lavoro pesante nel riparto dei malati del Covid. Vorrei proprio vedere se ci riesce.