Ormai da mesi tantissime persone, aziende e organizzazioni si esercitano nell’immaginare il mondo del «dopo Covid». In un certo senso fanno bene perché, ovviamente, ogni evento di simile portata ha un impatto abbastanza forte sulla nostra vita. Dall’altra parte, sulla base delle esperienze passate, possiamo facilmente osservare che tutti i cambiamenti seguiti alle grandi situazioni di emergenza non sono altro che il normale progresso. Il progresso è un fenomeno inevitabile in ogni aspetto della vita umana e si sarebbe verificato anche in assenza delle grandi crisi. Me le situazioni di crisi, solitamente, danno una bella spinta al progresso. A questo punto, la prima cosa che devono imparare i semplici osservatori dei cambiamenti in corso è distinguere il progresso e le misure temporanee volte alla gestione della crisi.
Il mio esempio preferito, in questo senso, rimane l’11 settembre 2001 (forse perché è uno dei grandi eventi storici capitati nel corso della mia vita). Nel periodo iniziale avevamo osservato dei controlli e limitazioni intensi e spesso assurdi negli aeroporti, avevamo visto guardare con sospetto le persone barbute etc. Ma nel lungo periodo lo stile della nostra vita quotidiana non è cambiato: la gente non ha smesso di viaggiare (e, in particolare, prendere l’aereo), sulle strade non sono comparsi dei posti di blocco, nessuno ci ha obbligato a mostrare il contenuto delle borse a ogni vigile incontrato. Sono invece cambiate notevolmente le tecnologie di sicurezza. Uno dei segni distintivi di ogni tecnologia fatta bene è la sua invisibilità ai non professionisti.
Oggi, nel 2020, non è necessario avere dei poteri extrasensoriali per capire che la pandemia, prima o poi, finirà. Le persone comuni ricominceranno dunque progressivamente a vivere una normale vita attiva: incontrarsi come e dove si vuole, lavorare in gruppo, viaggiare liberamente in tutto il mondo etc. Allo stesso tempo, molte più persone si accorgeranno che non è più obbligatorio perdere tempo per andare fisicamente a fare la spesa o sprecare un giorno di ferie solo perché domani all’ora x deve passare l’idraulico a fare un lavoretto da cinque minuti.
Ma l’aspetto meno banale che mi incuriosisce tanto in questo periodo è una delle concezioni pre-Covid del progresso. Infatti, fino all’inizio del 2020 ho sentito parlare tantissimo della sharing economy. In parole povere, si tratta di quel modello economico nel quale le persone tendono a condividere sempre più cose: gli spazi e gli strumenti di lavoro, i mezzi di trasporto, i vari oggetti costosi di uso non quotidiano, gli attrezzi sportivi etc. Ebbene, proprio l’idea della condivisione è ora in una forte crisi: in parte è inutile (la gente è ferma a casa) e in parte è pericolosa (o, almeno, potrebbe essere considerata tale da chi ha paura di essere contagiato dal virus presente sulle superfici fisiche). Vorrei tanto vedere uno studio serio sull’impatto della pandemia sulla sharing economy. E poi, nel lungo periodo, vorrei anche osservare se questo modello riesca a riacquistare la popolarità di prima. Perché la condivisione unisce le persone, mentre la pandemia le divide (rendendo necessario l’acquisto in proprietà di molte cose prima condivise).
Quasi quasi sfrutto il lavoro gratuito di qualche prossimo tesista per la ricerca delle fonti.
L’archivio del 2020 год
Non ne ho trovato una conferma ufficiale, ma per dei motivi abbastanza ovvi posso immaginarlo anche da solo: questo settembre a Milano non si svolgerà l’annuale «Missione culturale russa». Di conseguenza, non ci sarà nemmeno la tradizionale proiezione dei film russi di qualità usciti negli ultimi anni. Ma questo non significa che non posso consigliarvi, anche quest’anno, qualcosa di bello da vedere (in generale, è da un po’ che non lo faccio).
In primo luogo, ricorderei a tutti i due film di Kantemir Balagov: il bellissimo «Tesnota» del 2017 e il bel «La ragazza d’autunno» del 2019. So che sono stati proiettati nei cinema italiani, ma non vorrei che ai tempi qualcuno li abbia persi. Soprattutto il primo.
In secondo luogo, potrei consigliarvi il buon thriller del 2008 «The Ghost»: so di certo che è disponibile con i sottotitoli in inglese (cliccare sulla «rotella» in basso a destra del player di YouTube e scegliere l’opzione dei sottotitoli), ma potete anche provare a cercarlo doppiato.
In terzo luogo, aggiungerei la stranissima commedia «The Monk and the Demon» del 2016 (sempre con i sottotitoli in inglese). Questo film sembra essere fatto di due parti di qualità non uguale (in parte a causa di un budget molto ridotto), ma complessivamente è un film interessante.
Ecco, per questa volta è così. Spero che la situazione epidemiologica migliori notevolmente per l’autunno prossimo, permettendo dunque di doppiare e mostrare sullo grande schermo alcuni interessanti film più recenti.
Il summit dei leader dell’UE, previsto per il 24 e il 25 settembre, è stato rinviato all’inizio di ottobre perché il presidente del Consiglio europeo Charles Michel è finito in quarantena dopo il contatto con una persona positiva al Covid-19. Di questi tempi è una situazione quasi quotidiana che da sola non avrebbe costituito una grossa notizia. Ma io, a sorpresa, la posso utilizzare come un pretesto per tornare a scrivere della Bielorussia.
Infatti, al summit posticipato si sarebbe dovuto discutere anche delle sanzioni nei confronti dei vertici bielorussi che si intenderebbe applicare in reazione alle famose elezioni presidenziali «vinte» ancora una volta da Aleksander Lukashenko. Ebbene, da una parte non penso che tali sanzioni possano essere concordate da tutti gli Stati-membri dell’UE in tempi ragionevoli (la ricerca dell’unanimità non aiuta) e che siano capaci di creare un disagio sensibile a Lukashenko (la sua vita professionale e privata passa quasi esclusivamente in Bielorussia). Dall’altra parte, poi, sento sempre più notizie sul presunto trasloco già avvenuto dei figli e nipoti di Aleksander Lukashenko in Russia. Così, per esempio, il diciasettenne terzo figlio Nikolai — il «preferito», colui che avrebbe dovuto un giorno diventare il successore sul trono presidenziale — sarebbe già iscritto al super protetto «liceo presidenziale» situato vicino a Mosca.
Il 5 novembre 2020 termina l’attuale mandato presidenziale di Lukashenko, e il Parlamento Europeo ha già dichiarato di non intendere a ritenerlo un presidente legittimo a partire da quella data. Ma, se le notizie giunte a me (e non solo) dovessero essere vere, non è convinto tanto nemmeno lui della reale possibilità di rimanere al potere ancora a lungo. Di conseguenza, l’UE fa bene a temporeggiare: le prese di posizioni dure ma inutili non hanno mai fatto bene a nessuno.
Siate saggi come i burocrati come l’UE, indovinate le situazioni in cui perdere tempo è una soluzione valida!
Qualche giorno fa mi è capitato di notare, su uno dei siti visitati, un banner pubblicitario un po’ strano.
Solitamente non presto moltissima attenzione alla pubblicità su internet, ma questa volta l’occhio è stato attirato da qualcosa di sospetto… Più che mascherine, mi sono sembrate, ehm, qualche altro tipo di abbigliamento:
No, almeno in questo senso non sono un malato mentale.
P.S.: solo le persone con il senso civico fortemente alterato bloccano la visualizzazione della pubblicità non invasiva sui siti web.
Se un professionista / esperto / specialista va a consultare un manuale, non dimostra di essere incompetente. Dimostra l’esatto contrario.
Un medico, un architetto o un giurista che apre un manuale o un codice fa benissimo. Fa invece malissimo chi finge di ricordare sempre tutto. I primi sanno dove e come cercare, imparare e pure applicare ancora meglio di prima. I secondi rischiano il benessere altrui solo per cercare di apparire più fighi possibile.
I piloti degli aerei, per esempio, hanno l’obbligo di consultare il manuale in ogni situazione atipica. Qualcuno vuole sostenere che il rispetto di tale obbligo sminuisca la loro grandezza?
In una certa misura l’obbligo dovrebbe valere per tutti.
L’attore scozzese Ewan McGregor (noto a molti per il ruolo di Obi-Wan Kenobi nella trilogia prequel «Guerre stellari») ha accettato la sfida proposta dal conduttore televisivo Jimmy Fallon e ha fatto un volo con la moto sopra la propria testa:
Servono le alte tecnologie per realizzare dei video epici?
Il cantante e musicista Little Richard appare oggi come un grande romanzo classico: tutti lo conoscono, ma quasi nessuno lo legge ascolta. Oppure lo dico solo perché non sono abbastanza anziano? Boh… In ogni caso, non è possibile negare che Little Richard sia stato uno dei primi rocker «praticanti» al mondo: sia dal punto di vista musicale che quello estetico rappresenta la versione canonica del rock l’n roll. Di quel rock l’n roll che all’ascoltatore di oggi potrebbe sembrare un po’ ingenuo e quasi primitivo.
Purtroppo, Little Richard non ha saputo tenere il passo della evoluzione della musica in generale e del suo genere preferito in particolare. Di conseguenza, viene prevalentemente ricordato come una leggenda degli anni ’50 del secolo scorso.
Ma tutto questo non significa che non dobbiamo conoscere le origini di uno dei generi musicali più fortunati della storia. Quindi per il post musicale di oggi ho scelto due canzoni abbastanza scontate.
La prima è la «Long Tall Sally» (dall’album «Here’s Little Richard» del 1957):
E la seconda è la «Keep A Knockin’» (dall’album «Little Richard» del 1958):
Una delle letture migliori che possano essere fatte in questo finesettimana è sicuramente quella sui vincitori dell’Ig Nobel Prize 2020.
(Ricordo che si tratta di un premio «scientifico» per le ricerche e le scoperte più assurde o divertenti dell’anno.)
Non so se quest’anno il premio migliore sia quello per il management (ai killer cinesi in subappalto) oppure quello per la pace (ai diplomatici indiani e pakistani che reciprocamente bussavano alla porta di notte).
Ma in ogni caso sono felice per il fatto che pure quest’anno diverse persone hanno trovato le forze morali e mentali per ridere o per svolgere la ricerca scientifica seria.
Il nostro mondo è purtroppo pieno di gente tonta convinta che le auto elettriche siano a «zero emissioni». Alcuni produttori delle stesse auto elettriche, addirittura, favoriscono l’esistenza di quella convinzione sbagliata.
In realtà, però, la leggenda sul non-inquinamento da parte delle auto elettriche si basa su un ragionamento molto primitivo: «il problema non esiste perché non lo vedo io». Se ci limitiamo alla sola questione della alimentazione di quelle auto, dobbiamo ricordarci di almeno due cose:
1. L’energia elettrica va comunque prodotta. Non è detto che sia sempre prodotta direttamente dalla combustione delle risorse naturali. Però tali risorse vengono impegnate in modo massiccio per la produzione degli strumenti che a loro volta producono l’energia (per ora evito di dilungarmi sulla economicità della energia «green»).
2. Per la produzione delle batterie delle auto elettriche sono necessarie alcune sostanze tossiche. Periodicamente, poi, le batterie vanno sostituite e smaltite da qualche parte.
Insomma, il problema dell’inquinamento viene semplicemente spostato in alcune zone fuori città ma non eliminato. Ma gli ecologisti rincoglioniti sono contentissimi. Perché non vedono più il problema.
P.S.: tutto questo, ovviamente, non significa che le auto elettriche non vadano prodotte, costruite sempre meglio e utilizzate. Significa solo che al giorno d’oggi non bisogna avere certe illusioni.
Solo poche settimane fa – e dopo anni di attenzione non prestata – mi sono accorto che in pieno centro di Milano alcune targhe con il nome di questa via riportano un errore grammaticale da prima media:
La sostituzione di queste targhe non sarà l’intervento più urgente, ma nemmeno il più costoso. E i ragazzini che ogni giorno affollano il corso Vittorio Emanuele II avranno un cattivo esempio in meno.
Quindi conviene sostituirli con quelli corretti.