È tristemente nota la tradizione italiana di bloccare la vita delle località non marittime-balneari per quasi tutto il mese di agosto. Per almeno tre settimane a servizio delle persone restano solo i grandi centri commerciali, mentre tutto il resto è chiuso o, al massimo, segue degli orari d’apertura ridicoli. Nonostante anni di indagini, non sono ancora riuscito a trovare una spiegazione razionale a questo fenomeno.
Si presume che tutti debbano andare in ferie proprio ad agosto? Partire o andare in letargo? Perché? E se non voglio? Se voglio evitare proprio quel periodo quando le località vacanzieri sono affollate e costano più o meno il doppio del normale? E se voglio utilizzare almeno una parte delle ferie per sistemare delle questioni personali? Boh…
In questo senso particolarmente infami sono quelle aziende che costringono – attraverso le chiusure o riduzioni di attività – i propri dipendenti ad andare in ferie necessariamente ad agosto (ma anche nel periodo natalizio) solo perché così fa più comodo ai dirigenti. Non sai organizzare la continuità produttiva? Allora forse è il caso di cedere l’attività e andare a fare il lavoratore dipendente da qualche parte…
Non è necessario essere un genio per capire che la pausa di agosto, oltre a creare disagi a molte persone, comporta anche dei danni economici. Da una parte, l’economia perde il contributo quotidiano continuato delle persone che restano in città. Dall’altra parte, molte risorse vengono sottratte dall’aumento dei prezzi nelle località turistiche (e non è comunque detto che il picco delle presenze dei turisti connazionali sia capace di bilanciare l’assenza delle entrate continuate in quelle località).
Insomma, la tradizione di chiudere quasi tutto in agosto è scomoda e dannosa.
Ecco, questo era il testo che avrei potuto pubblicare una qualsiasi estate passata o futura.
Ma ora, nel 2020, la situazione è ancora più grave. Quindi aggiungo alcune altre considerazioni. Continuare la lettura di questo post »
L’archivio del 18 agosto 2020
18/08/2020 alle 13:25