Si usa dire e scrivere che il film «Jojo Rabbit» di Taika Waititi parli di un bambino che è cresciuto nell’atmosfera della propaganda nazista, che vuole diventare un vero nazista e che ha un amico immaginario chiamato Adolf Hitler. Altrettanto diffusa è l’idea idillica che il bambino inizi ad allontanarsi, crescendo, dalla ideologia nazista. E poi che il bambino ama gli animali… Effettivamente, sarebbe troppo bello e facile vedere solo queste cose. Ma in realtà il film è molto più profondo e interessante di tutti gli effetti visivi elencati.
Anche se non avete ancora visto il film (veramente?), non abbiate paura di leggere qualche spoiler nel mio testo. Un buon film non è fatto di sole scene inquadrate, come un buon libro non è fatto di sole storie raccontate.
Prima di tutto bisogna rendersi conto del fatto che il protagonista del film è caratterizzato dal non compiere alcuna azione. Il nostro simpatico bambino rispetta rigorosamente (a volte anche troppo) tutte le formalità estetiche del regime sotto il quale è cresciuto (l’abbigliamento e le parole giuste), ma non riesce a fare alcunché di concreto e, allo stesso tempo, ha sempre paura. In ogni episodio della sua vita le proporzioni della paura e della incapacità variano, ma il risultato è sempre lo stesso: zero azioni. Non riesce a partecipare alle attività collettive perché ha paura; ha paura di apparire incapace e quindi non riesce ad adempiere ai compiti individuali nel bosco, sul campo e in città. Alla fine non va nemmeno a difendere fisicamente il regime e si nasconde negli sotterranei, ma lo fa sempre per paura e non per convinzione.
E infatti dobbiamo capire che il film non parla di un bambino. Il film parla di una comune persona piccola. Di quel omino che vuole necessariamente sentirsi parte di una entità grande, forte e ammirata, ma sceglie la via più semplice per raggiungere l’obiettivo: si schiera dalla parte di un leader carismatico che sa fare le promesse, che ha già una soluzione semplice per tutti, che adula abilmente i sentimenti primitivi comuni alle grandi masse delle piccole persone comuni. Gli esempi storici non si limitano al solo Hitler: anche negli anni più recenti abbiamo visto salire alla guida di molti Stati dei leader del genere. La persona piccola ascolta avidamente le belle favole del/sul proprio leader, le coltiva nella propria mente, le ritrasmette al mondo circostante. Le ritrasmette non per informare o predicare, ma per convincere gli altri (e forse se stesso) delle proprie utilità e importanza. Ma non fa nulla di concreto. Ha solo paura. Ha paura non di andare contro il sistema (un pensiero del genere non verrebbe mai nella sua mente), ma di vivere la vita attiva piena di rischi e responsabilità personali. È solo una piccola persona comune, «umile e onesta».
Le persone del genere devono essere guidate per mano nel corso di tutta la vita. Quando il grande leader del turno sparisce per sempre (prima o poi succede a tutti gli umani), la persona piccola inizia a cercarsi un’altra guida, un altro leader. Lo cerca quasi inconsciamente, lo cerca perché non sa vivere diversamente come un bambino comune non sa vivere senza la mamma. E il nuovo leader – che sorpresa – è sempre una persona presente nelle vicinanze già da tempo, ma fino a poco fa considerata un nemico che merita solo minacce e beffe.
La persona piccola si pentirà? Si pentirà almeno del proprio passato? Si pentirà per avere sostenuto qualcosa di disumano? Si pentirà per essersi comportato in modo disumano anche solo dal punto di vista morale, senza compiere delle azioni fisiche concrete? Si farà delle domande? Capirà, almeno, che ha un bisogno vitale di essere guidato, non importa molto da chi? Nella maggioranza dei casi umani la risposta è, purtroppo, no. Nemmeno se per la colpa di quel passato disumano ha perso una delle persone più care. Pure tra i parenti e i discendenti delle vittime delle repressioni staliniane ci sono tuttora moltissimi stalinisti convinti. Ma, in ogni caso, il nostro protagonista continuerà a seguire tranquillamente la corrente della vita.
«Jojo Rabbit» è un tristissimo film sul destino di una piccola persona comune.
Guardate il film se non lo avete ancora fatto. È molto attuale anche per l’Italia.
L’archivio del maggio 2020
Stamattina il mio FireFox (il browser meno tonto che conosco) si è aggiornato alla versione 76.0.1. E, dopo tale aggiornamento, mi ha comunicato una notizia interessante: è finalmente stata creata una estensione che permetterebbe di nascondere al Facebook aperto la propria navigazione su altri siti.
Non sono ancora riuscito a capire quanto sia realmente funzionale questo nuovo strumento, ma l’idea alla sua base è interessante e utile. Le valutazioni degli utenti sembrano mediamente buone. Ho dunque deciso di testare l’estensione.
La descrizione ufficiale della estensione:
Dopo l’installazione della estensione il Facebook «si dimenticherà» di voi (come se fosse stato svuotato il cache del browser), mentre il titolo della scheda avrà una sottolineatura bianca (invece della promessa colorazione). Ma questi non sono certo dei problemi. L’importante è che il browser non si è rallentato, mentre io ho avuto la speranza di vedere un po’ meno pubblicità delle cose già cercate e spesso trovate precedentemente su internet.
Inoltre, ora ho una risposta in più alle stupide domande circa la scelta del browser ahahaha
P.S.: ma pure un consiglio in più.
Secondo la tradizione generalmente riconosciuta, l’inventore del parafulmine sarebbe il fisico americano Benjamin Franklin (che alla maggioranza dei nostri contemporanei è noto per l’impegno nelle attività un po’ lontane dalla fisica). Paradossalmente, però, il primo parafulmine fu installato non in America del Nord, ma in Europa: successe a Parigi il 10 maggio 1752. I pochi primi esemplari installati in Europa – per volontà dei proprietari delle case particolarmente entusiasti del progresso scientifico – furono inizialmente visti dalle masse con un forte sospetto, diffidenza, a volte anche ostilità. Vi furono addirittura delle cause civili avviate dai vicini contrari alla «pericolosa invenzione diabolica».
Ma, per fortuna, tutto passa. L’inversione della tendenza iniziò nelle grandi città, dove la concentrazione delle persone istruite è un po’ più alta. Così, per esempio, nel 1778 andavano già di moda a Parigi gli ombrelli e i cappelli con un parafulmine.
In provincia, invece, l’ignoranza medioevale continuò ancora per un certo periodo. Facciamo un esempio. Nel 1780 Charles-Dominique de Vissery de Bois-Valé, un anziano avvocato di Saint-Omer (una cittadina al nord di Francia), decise di aggiungere una parafulmini alla propria casa seguendo il progetto descritto da Franklin. Pensando però che il filo di metallo della messa a terra debba essere più lungo possibile (per motivi di efficienza), fece passare il suddetto filo anche sul muro della casa vicina. Ma quella casa fu abitata da una signora con la quale ebbe dei rapporti di vicinato – e di conseguenza anche quelli personali – un po’ tesi. La vicina convinse dunque altre signore della via e della città a denunciare il vicino per la costruzione di uno strumento che «potrebbe causare gli incendi, le perdite della gravidanza, il cancro» etc. In qualità dell’arma d’attacco fu utilizzato il marito della promotrice della causa: il balivo della città. La causa venne dunque presentata al consiglio cittadino.
N.B.: nella Francia pre-rivoluzionaria un balivo, in sostanza, fu un giudice locale con delle competenze che variavano da zona a zona. Fece parte di un sistema abbastanza complesso che non ha senso spiegare ora.
La difesa di de Vissery de Bois-Valé si basò sui lavori di Franklin nei quali il parafulmini fu in realtà definito «molto probabilmente sicuro» se realizzato in un determinato modo. La riserva di Franklin fu nascosta ai giudicanti, ma questi ultimi imposero comunque la rimozione dell’attrezzo entro le 24 ore per la violazione dell’ordine pubblico e la sicurezza della proprietà privata altrui.
L’anziano avvocato, però non si arrese, smontò solamente la parte del parafulmini visibile sul tetto e, ai fini del futuro ricorso, chiese il parere scientifico ad al cune Accademie delle Scienze francesi. Non tutte le Accademie mostrarono un dovuto entusiasmo e, di conseguenza, il nuovo avvocato dell’avvocato (non incasiniamoci ahahaha), un certo Maximilien François Marie Isidore de Robespierre, costruì il ricorso attorno ai precedenti storici positivi: dimostrò con degli esempi concreti che la presunta pericolosità dei parafulmini non fu mai provata dalle perizie mediche. All’entusiasta del progresso de Vissery de Bois-Valé fu dunque consentito di lasciare il parafulmini al suo posto.
De Vissery de Bois-Valé, deceduto nel 1784 – poco dopo questo trionfo – nominò il tanto amato parafulmini nel testamento, rendendolo una parte inseparabile della casa e obbligando dunque gli eredi a mantenerlo al suo posto e prendersene cura. Gli eredi, purtroppo, dovettero cercare e trovare un modo legale per rimuovere il parafulmini perché esso rese invendibile la casa: sempre per la colpa dei pregiudizi popolari.
Fortunatamente, i pregiudizi verso il progresso scientifico e tecnologico non superano la prova del tempo. Sfortunatamente, il tempo necessario può a volte diventare un po’ lungo.
Potrei anche fare delle analogie con le persone – presenti un po’ in tutti gli Stati del mondo – che ora hanno paura dei trasmettitori del 5G, ma non vorrei dilungarmi troppo. Gli ignoranti non meritano il nostro tempo prezioso: come possiamo vedere, sarà il normale corso del progresso a spazzarli via.
P.S.: aggiungo il link a un articolo in francese per gli approfondimenti.
Ho sempre pensato che la bicicletta fosse il mezzo peggiore per gli spostamenti in città.
Nel migliore dei casi un ciclista urbano arriva alla destinazione sudato e ricoperto di tutte le polveri possibili. Questo problema capita a tutti i ciclisti e diventa particolarmente sensibile (a tutti) d’estate.
In un caso un po’ meno «bello» il ciclista urbano si prende pure la pioggia dall’alto e l’acqua delle pozzanghere dal basso. Questo capita in tutte le stagioni.
Sempre in tutte le stagioni il ciclista urbano rischia di essere investito da qualche auto (le piste ciclabili vere sono pochissime) o di investire qualche pedone (sempre perché le ciclabili sono pochissime). Il problema si aggrava quando il viaggio in bicicletta si verifica in una fase della giornata buia.
In tutte le stagioni il ciclista rischia anche di passare sopra qualche materiale tagliente sparso per strada e quasi mai notato dai pedoni normali. Effettivamente, noi spesso non ci facciamo caso alla quantità di vetri rotti o piccoli oggetti metallici sotto i nostri piedi, ma le gomme relativamente sottili delle bicilette li «notano» molto facilmente.
Tutti i problemi elencati sopra esistono anche fuori dalle città, ma è soprattutto nei grandi centri abitati che la gente si sposta molto per lavoro o per studio. Quindi l’arrivare in orario e, allo stesso tempo, in condizioni estetiche adeguate agli impegni seri diventa una missione non sempre compatibile con l’uso della bicicletta.
Nel periodo di post-quarantena, però, le amministrazioni di molte città europee ci propongono di optare verso l’utilizzo dei mezzi di trasporto a due ruote. Con tanta fretta attrezzano pure decine di chilometri delle nuove «piste ciclabili» (conosco il mal realizzato esempio di Milano un po’ meglio delle altre città). Da una parte hanno ragione: in questo modo si minimizza il rischio di essere contagiati almeno sui mezzi pubblici. Dall’altra parte, però, le nuove piste non eliminano tutti i problemi legati all’uso della bicicletta in città.
Leggendo quotidianamente le notizie, molte persone si sono convinte che il COVID-19 si sia mangiato tutti gli altri problemi del mondo. Se fosse veramente così, dovremmo proteggere e diffondere questo benedetto virus! Ma, per fortuna o purtroppo, non è così. Quindi, per esempio, le linee bianche o gialle disegnate sull’asfalto non hanno il potere magico di proteggere i ciclisti dal traffico.
Spero tanto di potermi aspettare dei grandi progetti urbanistici in giro per il mondo nei prossimi mesi o anni. Progetti finalizzati alla costruzione delle piste ciclabili vere, quelle separate fisicamente dalla strada e dai marciapiedi, possibilmente anche con meno interruzioni possibile. Nei centri storici di molte città europee (e soprattutto quelle italiane che sono molto compatte) è una missione quasi impossibile. Di conseguenza, mi sa che mi tocca a considerare le biciclette inadatte per le città ancora per moltissimi anni.
Chi ha tanta paura del coronavirus, nel frattempo, può adottare quello stile di vita che in Giappone è una regola sin dai tempi immemorabili: guanti, mascherina, distanza di sicurezza da tutti, contatti fisici minimi con gli sconosciuti, cambio dei vestiti e lavaggio almeno parziale del proprio corpo diverse volte al giorno etc etc.
La ginnastica è una attività importantissima, soprattutto quando si passa molto (quasi tutto) tempo in casa. Non possiamo quindi permetterci di non sfruttare i preziosissimi consigli di uno degli massimi esperti: Arnold Schwarzenegger. Il sigaro fa parte di quei consigli.
Io non mi sono lasciato spaventare dalla difficoltà di questo esercizio e sto già andando a provarlo.
La Sinfonia n. 3 in mi bemolle, detta Eroica, fu composta da Ludwig van Beethoven tra il 1802 e il 1804 e dedicata dall’autore stesso a Napoleone Buonaparte. In quegli anni, infatti, il destino e l’attività eroica del generale francese furono ancora largamente ammirati in tutto il mondo occidentale. L’auto-incoronamento a imperatore fu però un gesto che fece perdere – almeno al compositore tedesco – il resto di quei sentimenti positivi. Beethoven tolse dunque il nome di Napoleone dalla partitura e inserì quello del principe boemo Joseph Franz Maximilian von Lobkowicz.
La cosa che personalmente io trovo molto strana è il fatto che in qualità dell’inno europeo sia stata scelta un’altra sinfonia di Beethoven. Eppure, nonostante una notevole quantità degli aspetti negativi, Napoleone Buonaparte fu il primo ideatore di quella entità territoriale che oggi conosciamo con il nome di Unione Europea. In più, molti Stati dell’UE vivono ancora nei contesti giuridici e culturali ereditati dall’operato di Napoleone…
Insomma, come ben sapete, oggi è la Festa dell’Europa. Mentre martedì era l’anniversario della morte di Napoleone. Quindi oggi è il giorno ideale per ascoltare la Sinfonia n. 3 «Eroica» di Ludwig van Beethoven.
Oggi, il 9 maggio 2020, sulla Piazza Rossa non ci sarà la tradizionale – e largamente nota per la sua portata quantitativa – parata militare dedicata alla vittoria nella Seconda guerra mondiale. Non ripeto il racconto sul perché della data: volendo lo potete rileggere in qualsiasi momento. Io, invece, oggi mi concentro sul fenomeno della parata.
La prima parata militare dedicata alla vittoria sulla Germania nazista si svolse sulla Piazza Rossa nel 1945, ma il 24 giugno quando a Mosca arrivarono alcuni ufficiali sovietici per la partecipazione e alcune bandiere naziste da buttare simbolicamente sotto le mura del Cremlino.
Dopo quella occasione, per vent’anni non c’era stata alcuna parata per il Giorno della Vittoria. Iosif Stalin prima e Nikita Chruščëv dopo si ricordavano troppo bene di quanto era costata la vittoria del 1945 e di quanto era stata miracolosa la loro permanenza al potere dopo il ritorno delle truppe sovietiche dal fronte. In particolare, Stalin temeva – non senza ragione – che i militari, organizzati e ormai ben allenati, appena tornati dall’Europa libera potessero decidere far crollare anche il regime casalingo. Per la fortuna di Stalin non era successo, ma la gente comune aveva comunque i ricordi freschi di tutti i disastri della guerra, compresi quelli verificatisi per merito dello Stato proprio. Continuare la lettura di questo post »
Qual è uno degli acquisti più inutili che fanno gli esseri umani? Giusto: sono le cyclette che costano non sempre tantissimo, ma quasi sempre si trasformano velocemente in appendiabiti un po’ ingombranti. Dopo la fine vera della quarantena ne vedremo ancora più di prima nelle case dei nostri amici, parenti e conoscenti. Probabilmente crescerà anche il mercato dell’usato, ma questo non è l’argomento del post odierno.
In termini dello spazio vitale sprecato, al secondo posto (dopo le cyclette) si piazzano i ventilatori. Certo, occupano meno spazio e sono utilissimi per tre o quattro mesi all’anno, ma per altri otto o nove mesi la loro presenza tra i piedi da un po’ di fastidio.
Ebbene, solo alcuni giorni fa ho scoperto che è stata trovata una soluzione almeno a questo problema. Sono stati inventati i ventilatori pieghevoli!
Ora la Xiaomi produce i ventilatori che hanno una asta telescopica (quindi possono essere messi sia sul tavolo che sul pavimento) e funzionano con le batterie. In più, il ventilatore può essere piegato fino a una posizione orizzontale compatta per i periodi di inutilizzo. Il ventilatore pesa 1,5 kg, le sue misure sarebbero queste: Continuare la lettura di questo post »
Nei giorni scorsi ho scoperto – non so se per la prima volta nella vita – che il primo giovedì di maggio è la Giornata mondiale della Password.
E allora scriviamo qualcosa sull’argomento.
Per esempio: se qualcuno dovesse chiedervi un consiglio sul principio da applicare nella invenzione delle password, potete sempre indicare quello delle date importanti. Per esempio, in qualità di una password sicuramente non indovinabile potrebbe andare bene l’anno in cui Eric XI Eriksson tornò sul trono di Svezia dopo la morte di Canuto II.
E ora che avete chiuso l’articolo della Wikipedia, vi ricordo che i miei consigli sulle password efficaci non sono variati rispetto alla fine del 2018. Controllate se siete protetti bene.
E ricordatevi di cambiare ogni tanto le vostre password.
Ora che è finalmente consentita l’«attività motoria individuale», dobbiamo esprimere le nostre condoglianze a una consistente categoria di persone.
A quelle persone che ora hanno – come tutti noi – la possibilità legale di uscire di casa senza un motivo concreto e giustificarsi con una frase generica («Dove sta andando?» – «A svolgere l’attività motoria individuale!»), ma non ne hanno più la possibilità fisica. Io l’ho capito ieri quando ho visto dal vivo delle immagini come questa:
No, non la neve primaverile. È una di quelle fonti esterne delle allergie che quest’anno non solo fanno soffrire molte persone, ma le trasformano anche – agli occhi dei passanti sconosciuti – in persone raffreddate e pericolose per la salute pubblica.
Conosco alcune persone che ogni anno iniziano a starnutire violentemente già da meta aprile. Nel 2020 per loro la libertà di uscire è arrivata nel momento più sbagliato.