Purtroppo devo constatare che gli scacchi è una delle attività intellettuali pubbliche più deludenti degli ultimi decenni. I giocatori professionali hanno infatti imparato tutte le aperture esistenti e hanno ridotto il gioco al tentativo di applicarle meglio dell’avversario.
Secondo la mia percezione, è dunque diventata una questione molto più di memoria che di ragionamento. Ad aggravare la situazione è l’uso dei computer per il calcolo delle mosse future ottimali (si pratica nel corso delle pause nelle partite) qualora una partita dovesse durare oltre una certa quantità di mosse calcolate in una apertura classica.
Molto probabilmente i giocatori professionali trovano una certa soddisfazione nei tentativi infiniti di imporre il proprio schema di gioco preferito all’avversario (ben noto anche a quest’ultimo). Ma secondo me erano molto più divertenti le mie partite con i compagni di classe e di scuola: giocate con la sola applicazione delle regole, erano piene di imprevedibilità e di pura analisi. Le mie capacità di ragionare e di trovare le soluzioni, pur essendo relativamente deboli, derivano anche da quelle partite.
P.S.: una nota autobiografica che non c’entra con l’argomento centrale. Ogni anno al campionato scolastico di scacchi in finale c’eravamo io e un mio compagno di classe. Quasi ogni anno io perdevo.
L’archivio del 10 febbraio 2020
10/02/2020 alle 14:25