Guardando questo video, pure io un paio di volte mi sono chiesto se è veramente l’Ucraina. Ebbene, lo è.
Un consiglio: è meglio vederlo a schermo intero.
Senza le parole iniziali inutili il video sarebbe stato ancora meglio.
L’archivio del 2019 год
È veramente strano che Chuck Berry non sia mai comparso nella mia rubrica musicale. Oggi provvedo a correggere questo errore e posto due brani dal suo secondo album, il «One Dozen Berrys» del 1958.
Il primo brano è il super hit dell’epoca «Sweet Little Sixteen»:
E poi metterei il brano strumentale «Blue Feeling»:
Ieri, all’età di 85 anni, è morto il cosmonauta Aleksej Leonov. A marzo del 1965 divenne il primo umano a uscire nello spazio, mentre a luglio del 1975 fu il comandante dell’equipaggio sovietico nel famoso programma Apollo-Sojuz.
Ma non vedo alcuna utilità nello scrivere il riassunto della biografia ufficiale facilmente reperibile anche negli articoli della Wikipedia. Trovo più interessante — dal punto di vista informativo — ricordare ai miei lettori anche l’eredità artistica lasciataci da Aleksej Leonov. Già dalla età giovanissima Leonov mostrava infatti dei buoni risultati nella pittura. Essendo però l’ottavo figlio di una famiglia povera (le condizioni economiche furono aggravate dal fatto che il padre zootecnico rimase vittima delle repressioni politiche degli anni ’30), non ebbe la possibilità di continuare gli studi. Scelse dunque un istituto che oltre alla professione avrebbe potuto fornirgli anche vitto e alloggio: quello della aeronautica militare. Da lì inizio la carriera da pilota, trasformatasi nel 1960 in quella da cosmonauta.
Ma continuò comunque a disegnare per quasi tutta la sua vita. I voli nello spazio influenzarono fortemente la sua visione artistica. Le opere originali e curiose di Aleksej Leonov possono essere consultate, per esempio, seguendo questo link.
Intanto concludo il post con due foto. Aleksej Leonov negli anni di attività da cosmonauta:
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A metà settembre il mio amatissimo Kindle 3 Keyboard ha subito un brutto guasto: una parte del suo schermo ha smesso di funzionare, rimanendo per sempre grigia (e non visualizzando più il testo). Per il resto, il reader funzionava normalmente.
In sostanza, la parte guasta dello schermo «mangiava» quasi interamente le prime quattro righe del testo (io tengo la terza dimensione del font) e rendeva impossibile la normale lettura dei libri.
Essendo molto affezionato a questo modello (lo trovo comodo in tutti i sensi, ma esso non viene più prodotto dalla fine del 2011) e non avendo molta voglia di spendere quasi 80 euro per un modello nuovo (quello con lo schermo a inchiostro digitale e con zero illuminazione fastidiosa), ho deciso di provare a riparare con le proprie mani il mio veterano. Dai video disponibili su Youtube risultava una operazione semplice. Continuare la lettura di questo post »
Ho finalmente pubblicato il rapporto fotografico sulla mia visita a Lodi Vecchio a luglio.
Ho letto che all’inizio di ottobre negli uffici del Google sono già iniziati i preparativi per il Halloween. Il 2 ottobre la dipendente Dana Fried ha pubblicato la foto di una curiosa installazione, posizionata nel foyer dell’ufficio di Seattle:
Not sure whether spooky or just sad? pic.twitter.com/E8uvavkuQf
— Dana Fried 🔜 Big Bad Con (@leftoblique) 2 ottobre 2019
Google, purtroppo, è tristemente noto anche per la tendenza di uccidere con le proprie mani tutti i propri servizi. E, soprattutto, farlo indipendentemente dalla loro popolarità e potenzialità economica. Google Reader e Picassa, per esempio, mancano tantissimo anche a me. Quindi spero che quel «cimitero» umoristico faccia anche riflettere un po’ ai manager… Se vanno avanti così, prima o poi troveranno opportuno chiudere pure il Gmail.
Ai più curiosi, smemorati, poco informati, troppo giovani o semplicemente spensierati ricordo dell’esistenza del cimitero virtuale dei servizi Google. Andate a visitarlo per farvi una idea sulla entità sterminio.
Come ben sanno molti miei lettori, in tutto il mondo si osserva la tendenza di regolamentare l’uso (stavo per scrivere la guida) dei monopattini in città. Io, personalmente, non trovo particolarmente necessaria e/o urgente la legiferazione in questo ambito specifico. Perché moltiplicare le regole, aggiungendo quelle sulle manifestazioni più semplici della vita umana? Al massimo, secondo me, si potrebbe scrivere qualcosa come «i monopattini si muovano seguendo i medesimi percorsi riservati alle biciclette». Ma pure gli autori delle leggi devono avere la possibilità di giustificare il proprio stipendio, quindi fino a un certo punto potremmo anche tollerare le loro fantasie.
Quindi oggi vi propongo un curioso esempio della attività legislativa in materia. Il Ministero degli Interni russo ha finalmente inventato un termine con il quale definire i monopattini (tradizionali ed elettrici), gli skateboard, le monoruote, gli hoverboard e i pattini. Tutti questi dovrebbero chiamarsi, secondo il Ministero, i «mezzi di mobilità individuale» (l’Italia che sta ancora perfezionando la propria legislazione in materia, potrebbe anche «copiare»!). Dovrebbero, secondo il progetto di legge, muoversi lungo le piste ciclabili o, in loro assenza, sui marciapiedi. In questo ultimo caso la velocità non deve però superare i 20 km/h. Effettivamente, sotto la velocità indicata l’uso di quei non avrebbe molto senso.
Mi capita sempre meno di frequente proporre degli esempi russi positivi in materia legislativa, ma spero che la semplicità razionale si affermi in tutto il mondo. Quindi pubblicizzo.
Assolutamente tutti e sempre vogliono fregare ogni sistema. Questo è uno dei principi fondamentali di amministrazione di qualsiasi cosa che bisogna tenere sempre in considerazione.
I bambini iniziano presto a cercare di fregare i genitori, uno scolaro vuole fregare l’insegnante, un lavoratore cerca i modi possibili di fregare il capo o il datore di lavoro, un cittadino cerca di fregare lo Stato. Tutti e ovunque – tranne i giusti clinici – fregano il sistema.
Cosa possiamo dedurre da questo principio? È semplice: non bisogna imporre delle regole troppo complesse, delle condizioni impossibili, delle situazioni anomale.
Lo capirà qualsiasi persona alla quale è capitato di organizzare il lavoro o la vita di altre persone. La gente infantile no.
Però alcuni non crescono…
I ricercatori delle Università di Stanford e Princeton hanno creato un algoritmo che altera le parole di una persona filmata. Per una maggiore credibilità, il programma creato non solo imita la voce, ma cambia pure la mimica facciale della persona ripresa e adegua la lunghezza del video.
Il programma fa dunque due cose. Da una parte, estrae dal video la traccia audio, scomponendo il discorso della persona in fonemi. Dall’altra parte, crea il modello 3D del volto, scannerizzando il movimento delle labbra durante la pronuncia delle parole. Individuando i visema identici, il programma compone le parole non pronunciate dalla persona.
Per la imitazione della voce della persona viene utilizzato il programma VoCo (presentato nel 2016) capace di analizzare i monologhi.
E ora, finalmente, vediamo il video illustrativo dell’algoritmo:
Dopo questa invenzione e il già noto Deep Face (che sostituisce i volti umani nei video), le prove video diventano sempre meno attendibili. Oppure più contestabili, ahahaha…
Qualche settimana fa ho fatto una scoperta in materia dei video musicali personalmente per me quasi scioccante. Ho scoperto che il video della canzone «My Favorite Game», il quale ricordavo dai tempi di adolescenza, inizia e finisce con le scene che in televisione sono sempre state inspiegabilmente tagliate. Ma quelle scene influiscono sensibilmente sul senso del video:
[in effetti, mi ero sempre chiesto come facesse ad andare avanti con la macchina anche allontanandosi dai comandi].
A questo punto, in qualità della seconda canzone dei Cardigans metterei la «Carnival» (scelta a caso) dall’album «Life» del 1995.
A volte i ricordi giovanili diventano, per qualche strano motivo, più importanti della musica.