Da quattro giorni, quindi dal momento del famoso arresto, continuo a vedere con una particolare frequenza delle persone che non hanno una minima idea di cosa sia diventato Julian Assange negli ultimi anni.
Inizialmente Assange era solo un ladro famoso, un Robin Hood dell’informazione convinto che con la pubblicazione dei segreti sporchi degli Stati si possa cambiare il mondo. Per un periodo abbastanza lungo Assange aveva svolto un lavoro grosso e importante di raccolta e pubblicazione delle informazioni, grazie alle quali sono state possibili alcune scoperte clamorose. I documenti raccolti e pubblicati erano però tanti e nell’intero mondo non si sono palesate delle persone disposte a leggerli tutti. Ma allo stesso tempo tantissime persone private nel mondo continuano a vedere Assange come un santo. Un «santo» perseguitato, logicamente, dagli Stati colpiti dalle sue pubblicazioni: le accuse che hanno portato Assange alla auto-reclusione nella Ambasciata ecuadoriana appaiono come il risultato di quelle persecuzioni.
Ma è passato del tempo e Assange è cambiato. Ha venduto la propria reputazione a una delle parti. A una parte per nulla simpatica: si chiama «Russia Today» ed è uno dei principali strumenti della propaganda russa verso l’estero. È uno di quegli strumenti con i quali l’attuale amministrazione russa tenta di destabilizzare politicamente l’Occidente al fine di minimizzare l’opposizione alla propria geopolitica. Così, per esempio, nel recente «rapporto Mueller» sulla ingerenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi si dimostra come il WikiLeaks fosse diventato un canale di distribuzione dei materiali reperiti dai hacker russi. Da quei hacker che sarebbero a servizio dei servizi segreti russi.
È dunque assolutamente normale che l’Ecuador non avesse più ritenuto opportuno ospitare un personaggio del genere. Un informatore pagato dal nemico che allo stesso tempo si approfitta della ospitalità. Allo stesso tempo penso che la sua estradizione verso gli USA possa avvenire non facilmente e solo in cambio delle garanzie sulla non-applicazione nei suoi confronti della pena di morte. Ma, onestamente, la sua sorte mi interessa veramente poco.
Mi incuriosiscono solo i motivi che lo spinsero a spendere sette anni di vita per l’esistenza da carcerato (comunque già garantitagli al momento dell’ingresso nella Ambasciata) e a vendere la reputazione.
L’archivio del 15 aprile 2019
15/04/2019 alle 13:25