Ho scoperto che le Olimpiadi invernali del 2018 iniziano oggi.
So che sto rischiando di dare una grande delusione ad alcuni miei lettori, ma devo ammettere una cosa: non mi interessa alcunché di quasi tutto lo sport e delle Olimpiadi in particolare. E, soprattutto, nutro dei sentimenti profondamente negativi verso lo sport professionale (nonostante il regolamento formale delle Olimpiadi, sappiamo benissimo che gli sportivi che vi partecipano praticano lo sport per lavoro).
Pensate a tutte quelle decine (e forse centinaia) di migliaia di giovani che hanno sacrificato gli anni migliori della loro giovinezza, la salute, lo studio e la creatività per rincorrere la fantomatica possibilità di diventare degli sportivi professionali di successo. Sulla pratica ci riesce uno su mille, mentre gli altri restano quasi al margine della società: senza un buon grado di istruzione, con la salute spesso gravemente danneggiata, con la sensazione di essere dei falliti.
In termini della salute rovinata non va molto meglio anche a quei pochi (relativamente pochi) che ce l’hanno fatta: non solo a causa degli sforzi fisici particolari, ma anche perché non esiste lo sport professionale senza il doping. Alla base di tutti gli scandali sul doping che possiamo ricordarci si trova almeno uno dei due motivi principali.
1) È stato inventato un nuovo farmaco (più efficiente o meno evidente nella fase dei controlli), quindi tutti quelli più vecchi vengono pubblicamente dichiarati fuori legge. In tale modo viene eliminata un po’ di concorrenza.
2) Qualcuno ha esagerato a doparsi, quindi i concorrenti si allarmano per il fatto di dover incrementare troppo le proprie dosi del doping.
A ogni giovane sportivo di oggi, arrivato a un certo gradino della propria carriera professionale, l’allenatore (o il manager) porge due mani: su una mano c’è una «pillola», sull’altra c’è un foglietto con la scritta «ciao». Perché senza il doping lo sport tornerebbe ai livelli degli anni ’60, diventando certamente più onesto, ma anche più noioso in qualità di uno show (quindi meno seguito e meno vendibile).
Immagino che molto probabilmente qualcuno si aspetta ancora che io commenti l’eliminazione della squadra russa. Per me si tratta più di una vicenda politica che sportiva (anche se i due motivi elencati sopra hanno avuto il loro peso), la quale può essere commentata in qualsiasi momento, non solo oggi. Forse ne scrivrò nei prossimi giorni. Se troverò la voglia di farlo.
P.S.: sì, so di cosa scrivo perché conosco di persona alcuni sportivi professionali.
L’archivio del 9 febbraio 2018
09/02/2018 alle 14:40