L’archivio del 7 novembre 2017

100 anni

Ed ecco che ci siamo. Oggi è l’anniversario ufficiale della rivoluzione d’ottobre. Il centesimo.
Uno dei primi concetti che dovrei trasmettere ai miei lettori italiani – anche se nel corso degli anni mi sono un po’ stancato di farlo – è un semplice dato quantitativo: nel primo quinto del XX secolo in Russia ci furono tre (3) rivoluzioni: una nel 1905 e due nel 1917. L’anniversario odierno potrebbe essere un buon motivo per (ri)scoprire questo pezzo di storia anche senza aspettare che io (o qualcun’altro) faccia un riassunto del manuale di storia. Quante volte ho chiesto di essere più precisi di fronte alle domande sulla «rivoluzione russa» o sulla «rivoluzione del 1917»! Si tratta di eventi molto diversi tra essi.
Un piccolo ricordo personale analogo. Nel corso dell’esame di storia contemporanea alla Statale di Milano ebbi una simpatica conversazione con il professore:
«Mi parli della guerra tra la Russia e il Giappone».
«Quella del 1905?»
«Se ne conosce altre…»
«Sì, quella del 1945!»
«In effetti, ha ragione».
In quel momento l’esame prese la strada facile verso il 30.
Un altro concetto importante da ricordare oggi potrebbe essere ancora più sconcertante per le menti vergini deboli: nessuna delle tre rivoluzioni russe ebbe come l’obiettivo o l’effetto la destituzione della monarchia. Nel 1905 e nel febbraio del 1917 la speranza della maggioranza fu quella delle riforme radicali nell’Impero, le quali avrebbero dovuto – tra le altre cose – limitare il potere del monarca. I vertici militari, molti nobili e intellettuali avevano nel febbraio del 1917 chiesto a Nikola II di abdicare a favore del suo unico figlio Aleksei (all’epoca tredicenne). Il principe – al quale Nikola II fu particolarmente affezionato – fu però affetto da emofilia, che si manifestò in una grave forma già dai primi mesi della sua vita. Di conseguenza, rendendosi conto della situazione nella capitale su molti tratti del fronte bellico, Nikola II abdicò prima a favore del figlio (il 2 marzo 1917) e, dopo una notte di riflessioni personali e discussioni con dei medici e politici, a favore del fratello Michail. Quest’ultimo, a sua volta, non abdicò ma cedette quasi subito il potere al Governo provvisorio specificando che deve essere una Assemblea costituente a decidere sulle future forme di Stato e di Governo in Russia.
Tale Assemblea fu realmente creata, ma si riunì solo una volta – il 5 gennaio 1918 nella sede della ex Duma del periodo pre-rivoluzionaria – dopo di che fu sciolta dai bolshevichi.
Se siete attenti alle date, potete accorgervi che nel mezzo tra gli eventi appena citati vi fu la rivoluzione dei bolshevichi (proprio quella che oggi compie 100 anni). I miei lettori sono bravi, mentre all’epoca in pochissimi si erano accorti di tale evento. In sostanza, solo gli abitanti di Pietrogrado (per una ennesima nottata di disordini) ed i rappresentanti di quei partiti rivoluzionari che nel corso delle accese discussioni sul futuro dello Stato si accorsero all’improvviso che un gruppo minoritario si autoproclamò con la forza come il partito di governo.
Per allineare la realtà dei fatti con la suddetta autoproclamazione ci vollero altri cinque anni. Solo nel 1922 fu infatti istituita l’URSS. Proprio in quel periodo tra il 1917 e il 1922 si verificò la lotta armata e attiva di un determinato gruppo di persone per il potere e contro tutte le forze preesistenti.
Però la minoranza che vuole ottenere il potere vuole sempre spacciarsi per la maggioranza. E, dato che un periodo di cinque anni è un po’ troppo lungo per eliminare fisicamente la presunta minoranza, nella storiografia sovietica (e poi mondiale) la rivoluzione sarebbe avvenuta in un breve periodo del 1917.

Molte delle «conquiste» di quella rivoluzione mi ricordano qualcosa che si osserva attualmente in uno degli Stati dell’Est. In quello Stato, infatti, un gruppetto di persone, senza fare troppo rumore, si è appropriato del potere eliminando (spesso fisicamente) tutti i concorrenti; non ammette la critica e definisce come nemici coloro che si permettono di criticare; giustifica la propria permanenza al potere attraverso la contrapposizione con l’Occidente; attribuisce all’Occidente la colpa di tutti i mali possibili, etc.etc.
L’unica differenza sta nel fatto che evita in maniera paranoica la sola parola rivoluzione. La paranoia è tanto forte da non permettere nemmeno di ricordare la rivoluzione del 1917 nell’anno del suo centenario. In quello Stato, infatti, le Istituzioni evitano in tutti i modi di parlarne o di permettere a parlarne.