In Italia mi fanno, a volte, una domanda piuttosto difficile: «Cosa si dice in Russia di [segue un argomento qualsiasi]?»
Nella maggior parte dei casi la suddetta domanda mi mette un po’ in crisi. Infatti, la Russia è notevolmente più grande di una stanza nella quale posso riunire le persone la cui opinione trovo interessante per me e per gli altri. Anzi, come saprete, la Russia è notevolmente più grande dell’Italia e dell’Europa. In tante zone della Russa la gente vive secondo i propri principi e con i propri problemi del posto. Un abitante di, spariamo a caso, Jakutsk segue e interreta la cronaca di Mosca o di San Pietroburgo con la stessa relativa estraneità che ha un, spariamo sempre a caso, milanese che segue gli avvenimenti di New York. In ogni zona della Russia gli argomenti che un europeo medio associa con la sua immaginaria Russia compatta e unita sono visti in maniera differente.
Fatte queste precisazioni, tento di rispondere alla domanda «Cosa si dice in Russia dell’attentato di ieri a San Pietroburgo?»
Tra tutte le reazioni all’atto terroristico di ieri (nella metropolitana di San Pietroburgo) ce n’è una che ha pochissimi anni di vita. E della quale pochi si sono accorti in Europa.
Tale reazione è: la guerra in Siria non è la nostra guerra.
Effettivamente, con la partecipazione a questa guerra lontana e poco sensata dal punto di vista degli interessi nazionali, i governanti russi hanno seriamente compromesso i rapporti con il mondo islamico. Inclusa la parte russa di questo mondo. Ma questo è grande e serio argomento separato. Quello che conta ora è il principio: il terrorismo islamico ha ora un motivo serio per colpire la Russia. Se non stato esso a farlo ieri, lo farà in un futuro prossimo.
Evito di riempire questo post di dati di cronaca: potete trovarli facilmente da voi.
Evito di cercare a indovinare il colpevole o il mandante. So troppo poco e di solito indovino male.