Oggi facciamo una piccola lezione di autodifesa: potrebbe rivelarsi utile in qualsiasi momento. Spero che dal video domenicale di oggi impariate almeno una mossa (e spero quella giusta).
L’archivio del 2016 год
Come sicuramente sapete, ieri Radovan Karadzic è stato condannato a 40 per crimini di guerra e genocidio.
Dai suoi crimini sono passati più di vent’anni: le vittime sono sepolte da tempo, mentre i parenti (se ancora in vita) hanno iniziato ad abituarsi a una nuova vita. Dal punto di vista dell’effetto emotivo, quindi, la condanna di Karadzic si avvicina sempre più a quelle inflitte ai vecchшetti quasi centenari che, scovati in qualche casa di riposo, vengono accusati di tutti i mali del nazismo. A un osservatore estraneo viene quasi da chiedere: «Ma chi se ne frega delle sue colpe dopo tanti anni? Lasciatelo morire che manca poco.»
Sembrerebbe più logico e opportuno sperare in processi e condanne più tempestive, non lontane decenni dai rispettivi crimini. Ma si tratta ancora di emozioni. Un processo fatto subito (ovviamente qualora ciò fosse possibile) sa sempre di una vendetta. Un processo fatto a distanza del tempo necessario per ragionare a testa fredda diventa un processo ai comportamenti e non alla persona. Non ha senso vendicarsi o rieducare il condannato. Ha senso codificare il Male.
L’unico aspetto interessante del verdetto [tardo] di ieri è quindi questo: una riaffermazione del confine tra la vendetta e la definizione del male. Di Karadzic e dei suoi colleghi di tutte le parti coinvolte nell’allora guerra non ce ne deve fregare niente.
In vista delle vacanze pasquali pubblico il reportage su uno dei miei ultimi viaggi: quello a Erba (in provincia di Como).
Oggi i giudici hanno concluso la lettura pubblica della sentenza con la quale Nadezhda Savchenko è stata condannata a 22 anni di reclusione (poco più di 20 ancora da scontare). Nonostante l’assurdità della accusa e l’indicativa profanazione totale del processo penale russo, continuo a non capire perché il caso debba interessare l’opinione pubblica al di fuori dalla Russia e Ucraina.
E’ naturale che il fatto sia diventato un argomento discusso nella politica interna dei due Stati. Grazie, in parte, all’impegno di uno dei tre avvocati è diventato uno dei pochi temi della politica estera nella campagna elettorale statunitense. In quest’ultimo caso si tratta però più del ricorso a uno strumento estremo per salvare l’assistita in tempi brevi, salvarla possibilmente anche in senso fisico.
Non vedo però la ragione per parlare in questa sede di questa ennesima follia giudiziaria russa. Essa, come tante altre degli ultimi quindici anni, fa parte della politica interna. Cosa ne può fregare ai miei lettori?
In quale mente malata (e ignorante) è nata l’idea di definire le foreste «i polmoni della Terra»?
Se non sapete ancora che i polmoni servono per il consumo dell’ossigeno, prendete un libro di biologia e leggetevi il relativo capitolo. Una volta fatto ciò, aprite il capitolo sulla fotosintesi e scoprite che le foreste di giorno producono l’ossigeno, mentre di notte producono l’anidride carbonica.
Quindi per chiamare le foreste «i polmoni della Terra» ci vuole una grande fantasia.
Non siate fantasiosi fino al punto di apparire ignoranti.
Nel 2015 in Corea del Sud è uscito un film, il cui titolo (se ho capito bene) sarebbe «Il fronte occidentale». Da quando ho visto questa scena, sto pensando seriamente di doverlo vedere per intero:
L’unico problema è trovarlo in una lingua comprensibile.
Bisogna constatare, per l’ennesima volta, un fatto semplice e triste: la vasta quantità di materiali pubblicati quotidianamente sull’internet ha insegnato alla maggioranza delle persone di leggere solo i titoli degli articoli. E’ un comportamenti ridicolo, altrettanto ridicole sono le conseguenze.
Chi, per esempio, legge un titolo contenente le parole «sciopero dei mezzi» si convince subito che si fermi tutto e per tutto il giorno, quindi si mette a prendere d’assalto il primo mezzo di trasporto che incontra per strada.
I pochi geni capaci di leggere (e comprendere) pure il testo del relativo articolo, invece, possono accorgersi che a scioperare è un sindacato con tre iscritti oppure che l’inizio dello sciopero è previsto 9 (nove!!!) ore più tardi rispetto allo scattare del panico generale. Però passano per quelli che «non sanno niente».
Beh, a volte mi piace sentirmi un genio. Non mi è mai piaciuto, però, vivere in mezzo agli idioti.
Ieri pomeriggio ho visto delle foto curiose scattate vicino alla sede centrale di FSB. A giudicare dalle cartelle, si tratta dei materiali dell’archivio di KGB dell’URSS. Purtroppo, ma pure naturalmente, le guardie hanno reagito male all’impegno professionale del fotografo, non permettendogli di dare una occhiata ai contenuti.
Io, comunque, vi informo sulla furbizia della famosa organizzazione:
La fonte delle foto: http://varlamov.ru/1617856.html
Relativamente al ritiro delle truppe russe dalla Siria in tanti hanno pensato, logicamente, alle positive conseguenze di tale mossa per lo Stato russo. In assenza di dati ufficiali, è calcolato dagli esperti del settore militare che un giorno di guerra in Siria costa alla Russia circa 2,5 milioni di dollari.
Mi sento però in dovere di dare una grande delusione a chi ci tiene tanto ai soldi dei contribuenti russi. Le missioni militari all’estero come quella in questione hanno una incidenza minima sulle spese dello Stato. Le principali quote di risorse destinate al Ministero della Difesa, infatti, in tempo di pace vengono spese per la produzione del nuovo materiale bellico e le esercitazioni dei militari.
La produzione di un aereo militare (giusto per fare un esempio) dura alcuni anni. Una volta prodotto, l’aereo militare inizia a invecchiare con la velocità del pensiero di un ingegnere aerospaziale, quindi diventa presto obsoleto: va modernizzato o sostituito con uno più vicino alle tendenze generali del settore. Lo stesso vale per le bombe portate dall’aereo in questione. I piloti, poi, devono fare continue esercitazioni: pure questo comporta una serie di spese.
Insomma, la maggior parte delle risorse materiali impegnate nella missione siriana è stata in realtà spesa nei decenni precedenti. L’unica vera spesa aggiuntiva è rappresentata dagli stipendi dei militari. Questi ultimi non fanno più le esercitazioni, ma combattono, prendendo circa 200 mila rubli al mese (poco più di 2500 euro) per la missione all’estero. Considerate, però, che il budget militare della Russia per il 2015 è stato di 3 trilioni e 300 miliardi di rubli.
Direi che le motivazioni economiche del ritiro non meritino tanta attenzione.
Un politologo intelligente russo (di quelli intelligenti ce ne sono pochi in tutto il mondo), Stanislav Belkovsky, sostiene da anni che Vladimir Putin è un tattico e non un stratega. Di conseguenza, il presidente russo può permettersi di svegliarsi una mattina (nel suo caso sempre tarda) e decidere, senza un apparente motivo, che gli «obbiettivi fissati per la missione in Siria sono stati raggiunti». Raggiunti in meno di sei mesi?
Pur essendo infinitamente contento per il ritiro delle truppe russe, continuo a non capire le motivazioni del loro invio in Siria. Il ministro della Difesa russo, per esempio, ha dichiarato oggi che nel corso della missione sono stati distrutti più di due mila «delinquenti» provenienti dalla Russia, di cui 17 leader di bande. Si tratterebbe di un risultato eccezionale dei famosi bombardamenti fatti a canine penis.
La spiegazione più razionale del ritiro delle truppe che posso inventarmi per ora è l’offesa di Putin per la recente intervista di Obama. Lo so che una persona not completely stupid non si offende così facilmente e/o vistosamente, ma non diventa nemmeno l’oggetto di determinate dichiarazioni/definizioni.
In chiusura del presente post vi do una piccola informazione storica. Nell’URSS esisteva un metodo facile di riempire di spettatori tutte quelle manifestazioni patriottiche e ideologiche che la gente non visitava per l’iniziativa propria: si mandavano i militari, cioè i dipendenti pubblici meno liberi di decidere sul proprio tempo libero. Ecco: due anni fa la Russia ha ottenuto una località turistica quotata pochissimo tra le persone libere di scegliere. Chi potrà dare a loro un giusto esempio? E chi potrà allargare quella località turistica in caso di arrivo di decine di milioni di turisti?