Sto scoprendo in questo periodo il bellissimo libro di Henry Petrosky «The Book on the Bookshelf». Si tratta di uno studio sulla evoluzione del libro (inteso come oggetto) e della libreria: sembra interessante ma voglio finirlo prima di essere sicuro di poterlo consigliare a voi.
Perché ne scrivo già ora? Perché nel libro in questione ho trovato una preziosa informazione da aggiungere al mio racconto sul monastero di Certosa di Pavia pubblicato nel 2012.
Sulla foto che segue vedete una parte degli interni di una cella. A interessarci sono i ripiani a sinistra del camino:
Ebbene, questa rientranza è la versione monasteriale dell’armarium, cioè una libreria chiudibile a chiave, molto diffusa all’epoca dei Codici. In origine serviva per conservare in sicurezza, anche dai monaci-«colleghi», i preziosi manoscritti presi in prestito dalla biblioteca comune. L’armarium personale era dunque sempre dotato di uno sportello (si vedono ancora i resti delle cerniere) e le pareti rivestite in legno (per proteggere i manoscritti dalla umidità).
Nelle celle dei monaci, in tutti i monasteri europei, gli armarium erano sempre (o quasi) attrezzati nelle apposite rientranze delle pareti e fatti già al momento della costruzione della cella. Non sono da confondere con gli armarium delle biblioteche (dei veri e propri armadi chiudibili a chiave), con le antiche casse per i libri o addirittura con i mobili dell’età romana.
E con questo posso concludere la lezione di storia di oggi.