L’archivio della rubrica «Russia»

I candidati

Allontanate dagli schermi i minori di 18 anni.
Assicuratevi che le vostri mogli, fidanzate o i capi non abbiano i vostri schermi nel proprio campo visivo.
Perché tante misure precauzionali? Perché nel post odierno vi racconto di cinque potenziali candidati alle elezioni presidenziali russe che si terranno il 18 marzo 2018. Si tratta di cinque personaggi molto particolari che potrebbero turbare le menti più deboli…
Ufficialmente la campagna elettorale può iniziare non prima di 90 giorni prima delle elezioni (dunque non prima di inizio dicembre 2017), ma alcuni noti personaggi russi hanno già manifestato la propria intenzione di parteciparvi.
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Cervelli in fuga

The Soufan Group ci comunica che nel 2017 la Russia è diventata il principale fornitore della manodopera straniera dell’ISIS. Nell’ottobre 2017 la quantità dei cittadini russi che combattono per l’ISIS si stima in 3417 persone. Tutta l’area dell’ex è rappresentata tra le fila dell’ISIS da 8717 persone.
L’Italia, invece, è attualmente rappresentata da soli 57 combattenti.
Non so bene come è vista tale situazione dalla maggioranza degli italiani. Io, per esempio, non sarei assolutamente dispiaciuto per questa forma di fuga dei cervelli. Sarei al contrario preoccupato per la quantità superiore allo zero di questi «cervelli» che poi tornano indietro. In Russia sono tornate 400 persone, mentre in Italia 13. Immaginate quanto potrebbe essere emozionante incontrare per strada – non necessariamente di notte – uno di quei 13 che si erano riconosciuti negli ideali dell’ISIS.


I nuovi rubli

A partire da oggi, 12 ottobre 2017, circolano in Russia due nuove banconote del rublo di taglie prima non esistenti: 200 e 2000.
L’argomento centrale del mio post odierno è la nuova banconota da 200 rubli. Infatti oggi, quasi due anni dopo la prima scelta del genere, sui soldi russi sono comparsi altri simboli della Crimea. Su un lato è raffigurato il monumento alle navi affondate (si trova a Sebastopoli):

Sull’altro lato, invece, è raffigurato il sito archeologico Chersonese Taurica:

Ovviamente la dilagante mania di affermare l’appartenenza della penisola sfigata alla Russia non poteva risparmiare i cervelli della Banca Centrale russa. Ma io, egoisticamente, spero solo di non finire colpito dalle sanzioni dopo aver tenuto in mano almeno uno di questi nuovi pezzi…
Per il solo dovere di cronaca vi faccio vedere anche la banconota da 2000 rubli. Continuare la lettura di questo post »


Kalashnikov di bronzo

Tanti di voi conoscono il nome di Mikhail Kalashnikov, l’ingegnere al quale viene attribuita l’invenzione del famoso fucile AK-47 (in realtà sulla paternità della invenzione ci sono dei grandi dubbi). Mikhail Kalashnikov morì il 23 dicembre 2013 all’età di 94 anni.

A Izhevsk, la città nella quale viene prodotto l’AK-47, è stato installato il suo busto.

Ma pure un monumento intero.

Mentre in Egitto esiste un monumento dedicato al fucile.

Martedì 19 settembre 2017 a Mosca è stato invece inaugurato un monumento a entrambi.

Il piedistallo di granito è alto 4 metri, mentre la statua di bronzo 5,8. La «qualità» artistica si vede già dalla foto. E, effettivamente, non si poteva aspettare di più dal suo autore Salavat Sherbakov, già noto per diverse altre statue di valore discutibile.

Oltre all’aspetto estetico, il monumento si distingue per lo schema del fucile tedesco STG44 raffigurato sul piedistallo: non si capisce se lo scultore non sappia distinguere i due fucili oppure abbia voluto immortalare il plagio di Kalashnikov…

Ma l’aspetto più curioso sono le parole del ministro della cultura russo Vladimir Medinsky (un personaggio stranissimo) che nel corso della inaugurazione del monumento ha definito l’AK-47 «uno dei più grandi brand culturali della Russia». Probabilmente vi sembrerà strano, ma io avrei preferito che la Russia avesse qualche altro brand culturale al posto di un «kalashnikov». Quindi aggiungo l’ultima opera del grande caricaturista russo Sergey Elkin:

Preciso, infine, che la produzione dell’AK-47 non apporta alcun vantaggio alla economia russa. Pur essendo una delle armi più usate al mondo dagli ’50 in poi, esso non viene esportato nel mondo dalla Russia. Viene invece prodotto, su licenza e non, in più di 20 Stati del mondo.


Vi serve una auto presidenziale?

A San Pietroburgo è stata messa in vendita a soli 19.790.000 rubli (circa 283.900 euro) una Mercedes blindata che sarebbe stata utilizzata dal presidente Boris Eltsyn tra il 1994 e il 1997.
L’auto in questione è la Mercedes-Benz S-klasse Trasco Bremen, ha 5000 di cilindrata e 320 CV, ha fatto circa 60 mila chilometri.
Se siete interessati, vi do il link all’annuncio e mostro alcune foto:

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Tre anni di embargo

Ieri, il 6 agosto 2017, è stato un interessante anniversario: tre anni dell’embargo alimentare russo.
Chi conosce il francese, può leggere un breve riassunto della sua storia su wikipedia. Io, invece, colgo l’occasione per ricordare un concetto stranamente ignoto a molti italiani (e occidentali in generale): l’embargo dei prodotti alimentari occidentali è stato inventato e imposto dalla Russia, con il decreto presidenziale № 560 firmato da Vladimir Putin il 6 agosto 2014.
Non so se sia più la colpa della propaganda o della semplice logica buonista, ma in pochi riescono a immaginare che uno Stato possa decidere di limitare i propri cittadini nelle basilari scelte alimentari. Eppure l’autosanzione russa è una risposta perversa alle sanzioni occidentali di vario genere (prevalentemente restrizioni economiche) contro i determinati politici e organizzazioni russe responsabili della annessione della Crimea. La prima di tali sanzioni fu l’ordinanza di Barack Obama del 6 marzo 2014.
In sostanza, la logica degli inventori dell’embargo è stata: voi punite noi, dunque noi in risposta puniamo i nostri cittadini.
Gli effetti dell’embargo, infatti, furono facilmente prevedibili. Secondo un rapporto della CEPII, tra l’agosto 2014 e il giugno 2015 il 78,1% degli introiti europei mancati non erano dovuti alle sanzioni contro la Russia e non all’embargo russo. Nel corso dei primi due anni della esistenza dell’embargo alimentare l’UE aveva stanziato appena 280 milioni di euro per compensare agli agricoltori europei le perdite dovute al suddetto embargo; nel periodo tra l’agosto e il novembre 2014 (cioè nel primissimo periodo che avrebbe dovuto essere il più pesante), furono utilizzati solamente 37 su 125 milioni. Le economie europee sviluppate hanno trovato relativamente in fretta i nuovi mercati per i propri prodotti; l’unico Stato che soffre ancora in un modo sensibile l’embargo russo è la Polonia, abituata a esportare una grande quantità di mele.
In Russia, invece, in conseguenza all’embargo sono aumentati i prezzi dei prodotti alimentari, si sono ridotti la qualità media e la varietà dei prodotti. Il calo della qualità è dovuto alle condizioni precarie della industria alimentare nazionale (mancanza delle tradizioni produttive, standard inferiori, controlli rari e inefficienti) e la ricerca delle materie produttive sostitutive da parte dei produttori russi (per esempio, già nel 2015 è aumentato del 26% l’import del famoso olio di palma non colpito dall’embargo). L’aumento dei prezzi è dovuto non solo alla riduzione della concorrenza da parte dei produttori occidentali, ma pure alle nuove tendenze dell’import. Infatti, molti dei prodotti vietati con l’embargo continuano a entrare in Russia perché rietichettati in Bielorussia (ho sempre detto che Lukashenko è un genio capace di guadagnare su qualsiasi casino che succede nella regione).
Alcuni esempi dell’aumento dei prezzi al dicembre 2015 (dopo quasi 17 mesi della introduzione dell’embargo):
– pesce 23%
– burro 11%
– mele 14%
– carne di bovino 16%
– carne di maiale 27%
Ovviamente, la crescita dei prezzi è continuata anche nel 2016 e nel 2017.
Inoltre, nel periodo tra il 2013 e il 2015 la popolazione russa è aumentata del 2%, mentre la produzione delle carni e del latte solo di 1%. I prodotti derivanti dalla pesca nello stesso periodo si sono ridotti del 5%.
In queste condizioni siamo giunti al terzo anniversario dell’embargo alimentare russo. Quell’embargo che è stato pensato come una contromisura adeguata alle sanzioni occidentali per l’annessione della Crimea. In sostanza, è uno dei prezzi da pagare.


Imparate bambini!

Come si fa, tecnicamente, a far finanziare la propria bella vita dallo Stato? È facilissimo!

Un metodo interessante è stato inventato in un centro di ricerca tecnologica di Novgorod. Per prima cosa, bisogna mostrare al primo ministro del proprio Paese (nello specifico caso Dmitry Medvedev) un robot-elefante, presentandolo come un proprio progetto.

Il secondo passaggio consiste nel ricevere dal primo ministro (un grande amante-consumatore delle tecnologie) un finanziamento da 12,5 miliardi di rubli (poco più di 182 milioni di euro) per realizzare altre innovazioni altrettanto belle.

Il terzo e importantissimo passaggio: non dire a nessuno che il robot-elefante mostrato al primo ministro è in realtà un prodotto della LEGO. Più precisamente, LEGO Education Mindstorms EV3 45560 in vendita a 8300 rubli e destinato, secondo la raccomandazione ufficiale, ai ragazzi di età superiore ai 10 anni.

Volendo potete provare a ripetere l’impresa in casa…


Stato-rapinatore

Come alcuni di voi sanno, sulla mappa politica del nostro pianeta esiste ancora un equivoco storico chiamato Azerbaijan. Esso fu creato nel 1918 – sulla base di alcuni criteri storici e sociali piuttosto approssimativi – in qualità di una regione di confine del nascente impero sovietico; solo approfittando in un modo fortunato del crollo dell’URSS divenne a) uno Stato, b) uno Stato indipendente. Non è l’unico a essere nato ed evoluto in questo modo, ma, essendo il più piccolo, è quello a soffrire maggiormente del complesso di inferiorità.

A partire dal 1994 quella macchia geografica ritiene di essere ingiustamente privata della regione Nagorno Karabakh. Cerca dunque di apparire «uno Stato vero, capace di tutelare gli interessi nazionali» nel modo più facile e meno pericoloso: creando dei seri problemi alle persone che visitano Nagorno Karabakh.

Stamattina, per esempio, il Tribunale penale per i crimini massimi di Baku ha condannato il cittadino russo Alexander Lapshin a tre anni di reclusione per due «delitti»: 1) le sue visite in Nagorno Karabakh nell’aprile 2011 e ottobre 2012 senza l’autorizzazione dell’Azerbaijan; 2) le sue dichiarazioni pubbliche circa l’appartenenza di Nagorno Karabakh.

Inoltre, nel 2015 e 2016 Alexander Lapshin per due volte aveva compiuto un altro delitto riconosciuto tale solo dal giudice azero: avendo tre cittadinanze (russa, ucraina e israeliana) e essendo finito nella «lista nera» di Azerbaijan con il proprio passaporto russo, andava a visitare Baku con il passaporto ucraino (dove il suo nome è scritto, secondo le regole ucraine, Olexander). Aveva insomma ingannato il sistema informatico della dogana azera utilizzando un documento reale e valido. Proprio dopo la seconda di queste imprese era stato dichiarato ricercato a livello internazionale da Azerbaijan. Avrebbe utilizzato i «documenti falsi» per entrare senza essere identificato.

Il 15 dicembre 2016 Alexander Lapshin era stato arrestato a Minsk; il 25 gennaio 2017 era stato estradato verso l’Azerbaijan. Oggi è stato condannato a tre anni di reclusione (mentre la Procura azera ne chiedeva otto). Tutto ciò è successo nonostante una notevole opposizione di Israele, Russia, Armenia e, naturalmente, Nagorno Karabakh.

Pensando bene a questa storia possiamo giungere a tre conclusioni:

1) La Bielorussia è molto tollerante verso la creatività giuridica altrui perché a causa della sua situazione geopolitica è costretta a rimanere neutrale anche nei confronti di quelle visioni di integrità territoriale che hanno i suoi immediati vicini;

2) Di conseguenza, evitate di visitare la Bielorussia se pensate di aver offeso qualche pseudo-Stato afflitto dalla sindrome di Azerbaijan. Avete criticato pubblicamente la Corea del Nord? Avete espresso pubblicamente la vostra opinione circa l’appartenenza (in entrambi i sensi) della Crimea? Rimandate il vostro viaggio in Bielorussia ai tempi migliori.

3) Le persone competenti farebbero bene a escludere l’Azerbaijan dalle file dell’Interpol in quanto lo Stato in questione manifesta una incredibile fantasia nel sfruttare ogni pretesto possibile e immaginabile nel rapire e incarcerare i propri nemici morali. Cioè quelle semplici persone che viaggiano, vedono, ragionano e esprimono liberamente le opinioni senza compiere alcun delitto o invitare gli altri a compierlo.

I piccoli Stati dell’est possono avere uno scarso valora dal punto di vista geopolitico, ma allo stesso tempo riescono a incidere sulla vita delle persone provenienti da tutte le parti del mondo.


MH17 abbattuto: 3 anni

Oggi decorrono 3 anni dall’abbattimento del Boeing della compagnia Malaysia Airlines sopra l’Ucraina.

La settimana scorsa il ministro degli Esteri olandese Bert Koenders aveva annunciato che il processo si terrà in Olanda, senza però precisare la data d’inizio. L’osservazione più rilevante che possiamo fare ora è: tutti i nomi sono già noti alla commissione di indagine (costituita quasi subito dopo la tragedia da Olanda, Belgio, Australia, Malesia e Ucraina). È noto non il semplice fatto che sono stati i militanti «volontari» russi – i loro capi lo avevano ammesso pochi minuti dopo l’abbattimento – con l’utilizzo delle attrezzature appartenenti all’esercito russo. Sono noti i nomi delle persone concrete: quelle che hanno guidato il BUK, scelto l’obiettivo e schiacciato quel pulsante.

Secondo me sarà un processo molto divertente. E sono tanto curioso di scoprire se quei militari sono ancora vivi e se sì, se saranno messi al sicuro nella Duma come è già successo, per esempio, nel caso di Andrej Lugovoj (accusato dell’assassinio di Litvinenko).

Ieri mattina, intanto, nel parco di fronte alla ambasciata russa ad Aia si è tenuta una manifestazione silenziosa dei parenti delle vittime del volo MH17. Nel corso della manifestazione è stata installata una panchina commemorativa:

Sulla panchina è applicata una piccola targa (la parte russa della scritta si traduce come «L’umanità è aldi sopra della politica»):


Volere = guadagnare

Pare che le turbine a gas della Siemens arrivate in Crimea siano già quattro.

Si potrebbe entrare nei dettagli tecnico-giuridici per capire se le turbine siano da considerare dei prodotti europei per il settore energetico la cui fornitura alla Crimea è vietata dalle sanzioni dell’UE (le turbine sono prodotte da una joint production tra la Siemens e il Power Machines).

Ma oggi vorrei dedicarmi a un argomento un po’ più ampio: la reale vitalità delle sanzioni economiche europee contro la Russia.

Trovo interessante parlarne servendomi proprio del caso di cui sopra. Ripensiamo, prima di tutto, ai suoi passaggi essenziali.

La Crimea è totalmente priva della produzione propria di energia elettrica, dipendendo in tale ambito dalla Ucraina. Di conseguenza, subito dopo l’annessione in Russia fu presa la decisione di costruire due centrale termoelettriche: una in Crimea e una a Toman (dall’altra parte dello stretto di Kerc, di fronte alla Crimea).

Nell’agosto del 2015 il Technopromexport (uno dei principali appaltatori delle centrali) ordina quattro turbine della Siemens (il modello SGT-2000E), indicando che tutte servono per la centrale di Toman. In base alle caratteristiche dichiarate della centrale, però, questa ultime avrebbe avuto bisogno di sole due turbine. I mass-media iniziano a pubblicare le notizie sul presunto fatto che tutte e quattro le turbine servano per la centrale della Crimea.

Nel giugno del 2016 è stata annullata la gara d’appalto per la costruzione della centrale della Toman per l’assenza di aziende interessate. Le quattro turbine sono state messe in vendite e il Technopromexport ha ufficialmente ricordato che non possono essere utilizzate in Crimea.

Nel dicembre 2016 la Siemens ha interrotto la fornitura delle attrezzature per il funzionamento delle turbine, subendo dunque una minaccia di cause legali. Il tentativo di vendere le turbine già fornite non è andato a buon fine.

Dopo le notizie sull’arrivo delle prime due turbine in Crimea, la Siemens ha annunciato una denuncia penale nei confronti di coloro che hanno fornito le turbine alla Crimea.

Ecco, la vera bellezza economica sta proprio in quest’ultimo punto. La Siemens, dal punto di vista legale, può fare quello che le pare: non solo fare le denunce penali, ma pure chiedere il risarcimento dei danni economici o d’immagine in via civile. In ogni caso, la competenza territoriale sarà del giudice russo, cioè del giudice più indipendente al mondo. Cioè un giudice che non aspetta le istruzioni telefoniche dal Cremlino o una usb con il testo della decisione pronto proveniente da altri uffici competenti.

Voglio essere compreso bene: i dirigenti della Siemens non sono dei bambini ingenui, sanno come funzionano le cose in Russia. E non si aspettano il rientro delle proprie turbine. Ogni manager sa di essere pagato per venderei prodotti della propria azienda. Qualsiasi decisione del giudice russo darà ai manager della Siemens un motivo in più per dire «non è colpa nostra, abbiamo fatto il possibile» e, allo stesso tempo, dimostrare agli azionisti di svolgere con profitto le proprie funzioni lavorative.

Le lezioni che dobbiamo imparare noi da questa storia sono due: non dobbiamo essere idealisti; i vincoli sono fatti per essere raggirati.

Nella prossima puntata racconterò perché le sanzioni personali sono più efficienti di quelle economiche.