L’archivio della rubrica «Russia»

La lista temuta

Come atteso, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha diffuso il cosiddetto «Kremlin Report», cioè una lista di politici e uomini d’affari (familiari compresi) e di enti parastatali accomunati dalla vicinanza a Vladimir Putin. Si tratta di un elenco delle persone da osservare e, eventualmente, inserire nella lista dei soggetti alle varie sanzioni personali-economiche. [Io la riporto in fondo al presente post.]
Prima di leggere qualcosa sull’argomento e/o formare una propria opinione in merito, bisogna comprendere alcuni — pochi — concetti fondamentali. In primo luogo, c’è da dire che la lista dei politici appare ragionevole e potrebbe essere estesa fino a comprendere la stragrande maggioranza dei politici di livello federale, regionale e locale. Per ora, invece, pare che gli autori della lista abbiano adottato una metodologia di ricerca molto semplice: avrebbero aperto una edizione recente delle «pagine gialle» di Mosca per copiare da essa i nomi dei dirigenti delle varie strutture.
In secondo luogo, appare molto strana la lista degli imprenditori. Pare che gli autori della lista si siano limitati a copiare in massa i nomi elencati al vertice della lista Forbes-Russia. Infatti, tra gli imprenditori ho trovato i nomi delle persone che sono ricche, potenti e libere nonostante — e non grazie a — l’esistenza di Vladimir Putin al potere. Alcuni di loro anni fa hanno praticamente azzerato le loro attività economiche in Russia (come il № 59 della lista appena pubblicata Yuriy Milner o № 69 Mikhail Prokhorov) per non dipendere dal regime e non dover spartire i propri guadagni con qualcuno del potere. Alcuni altri, invece, fanno il possibile per rimanere politicamente neutrali, riuscendo a proteggere (per ora) le proprie attività (tra questi vediamo gli esempi del № 11 Petr Aven [Alfa-Bank] o il № 93 Arkadiy Volozh [Yandex.ru]).
Isomma, per adesso la lista è solo un elenco astratto che qualsiasi persona dotata dell’internet avrebbe potuto stilare in meno di un quarto d’ora (quindi molto meno dei 180 giorni che ci hanno impiegato i funzionari statunitensi). Vediamo cosa ne fannonel futuro.
E ora, finalmente, la famosa lista:
La parte politica




La parte economica



La sacra ipotermia

Questa settimana non ho scritto nulla sui candidati alle votazioni presidenziali russe del 18 marzo 2018. Quindi provo a recuperare oggi con l’aito del video-post domenicale.
Probabilmente conoscete già la storia che sto per illustrare con due brevi video, ma, in ogni caso, vanno in qualche modo conservati per la cronaca. Cercherei di limitare al minimo le parole.
Come alcuni di voi sanno, ogni anno la notte tra il 18 e il 19 gennaio la Chiesa ortodossa celebra il battesimo del Signore. E, negli utimi 10–15 anni, tra i fanatici religiosi russi si è diffuso il strano rito da ripetere ogni quella note: quello di fare un buco nel ghiaccio che copre un fiume o un lago e di tuffarsi nell’acqua gelata sotto la sorveglianza (e dopo la benedizione) di un prete. Si tratta di un rito pericoloso per la salute (può comportare anche alcuni problem non risolvibili), ma quando la religione da al cervello, il cervello spesso cede.
Da molti anni il noto funzionario russo (e candidato alla presidenza nel 2018) Vladimir Putin sta cercando di apparire un buon Cristiano [ortodosso]. Non giudico se ci sta riuscendo o meno; sottolineo solo che ha ancora dei dubbi sul come si fa il segno della croce tra gli ortodossi. Quest’anno si è immerso al lago Seliger (quasi 400 kilometri a nord-ovest da Mosca); la temperatura dell’ambiente era di –5°C.

[Ci sono dei forti dubbi circa la temperatura dell’acqua: infatti, all’uscita dall’acqua gelata il corpo di Putin dovrebbe «fumare». Ci sarà stato qualche trucco?]
La candidata Ksenia Sobchak, per qualche strano motivo, ha deciso di sfidare (o imitare?) Putin anche su questo campo. Si è immersa in un fiume vicino a Tomsk (in Siberia); la temperatura dell’ambiente era di –40°C. Si potrebbe farle i complimenti per il coraggio, ma io, personalmente, avrei preferito che trovasse il coraggio di sfidare l’avversario politico su qualche campo più impegnativo dal punto di vista intellettuale.

Il candidato del Partito Comunista russo Grudinin è tanto fortunato da non dover tentare una simile impresa (indovinate il perché). Non si sa se gli altri candidati abbiano tentato di ripetere l’impresa.


Riprendiamo lo studio dei candidati al secondo posto nelle elezioni presidenziali russe del 18 marzo 2018.
Prima di tutto, vi comunico che non sono stati accettati i documenti per la formalizzazione della candidatura dell’autoproclamato «Presidente dell’URSS» Tristan Prisjagin. Di Prisjagin sappiamo che oltre ad essere un Capo di Stato, ricopre anche la carica del presidente del movimento «I figli dell’URSS»; inoltre è il «coordinatore del quartier generale popolare per la ricostruzione dell’URSS in via pacifica». A giudicare dai testi pubblicati sul sito de «I figli dell’URSS», il movimento sta conducendo una durissima lotta quotidiana, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal suo leader: ricostruire l’URSS in tutti i suoi aspetti. Evito però di riassumervi quei bollettini di guerra: la buona salute mentale dei miei lettori è un bene troppo prezioso per me. Mi limito a constatare che a) Prisjagin, nonostante i suoi ideali, è iscritto al partito «Russia Unita» e non al Partito Comunista, b) le elezioni presidenziali del 2018 hanno perso un gran comico. Vabbè, ci sarà da divertirsi comunque.

Sono invece stati accettati i documenti di Natalia Lisitsyna. Di questa aspirante candidata sappiamo che è nata il 20 luglio 1952 in provincia di Čita, di lavoro fa la macchinista di una gru a torre in una grossa fabbrica metallurgica vicino a San Pietroburgo, è una sindacalista (in Russia i sindacati di fatto non hanno alcuna libertà di manovra e sembrano essere soddisfatti di tale situazione limitandosi a fornire le masse umane alle manifestazioni di piazza della «Russia Unita») ed è appoggiata dal partito di sinistra «Rot Front» («Fronte operaio russo unito»). Non sono ancora riuscito a trovare il programma elettorale di Lisitsyna, mentre tutte le sue dichiarazioni pubbliche possono essere riassunte in questo modo: «Le elezioni sono una farsa, io voglio sfidare il sistema e dimostrare che gli operai sono tanti». Non so se sono necessarie altre informazioni…

Questa volta ho pensato di limitarmi a due candidati perché domani, venerdì 12 gennaio, per i potenziali candidati è l’ultimo giorno per presentare i documenti alla Commissione elettorale centrale. Entro breve, dunque, avremo la certezza di parlare solo di candidati reali. Spero dunque di riuscire a raccontare molte più cose interessanti e utili di adesso.


Gli auguri di Putin

Come da tradizione, il primo video domenicale dell’anno è quello del messaggio del presidente russo Vladimir Putin per l’anno nuovo. Non perché voglio sembrare un fan di questo funzionario (non lo sono!), ma perché il contenuto di un discorso del genere è un importantissimo elemento di analisi politica.
Come il 31 dicembre precedente, possiamo facilmente notare che Vladimira Putin ha preferito di parlare ai co-cittadini senza dire nulla. Nessun cenno ai problemi di fronte ai quali si è trovato il Paese e alle possibili soluzioni da tentare nel 2018. Nemmeno una parola sui risultati positivi – reali o presunti – raggiunti nel 2017. Insomma, nessun legame con la vita reale.
L’ignorare la realtà è la nostra realtà.


Riprendiamo lo studio dei candidati al secondo posto nelle elezioni presidenziali russe del 18 marzo 2018.
Cominciamo con una notizia curiosa. Il 2 gennaio la Commissione elettorale centrale russa (l’organo che si occupa della organizzazione di tutte le elezioni in Russia) ha comunicato di aver ricevuto 64 (sessantaquattro) richieste di registrazione degli aspiranti candidati alla Presidenza russa.
Continuiamo con una notizia esteticamente (e solo esteticamente) piacevole. Ekaterina Gordon ha passato con successo il primo step della procedura burocratica ed è stata autorizzata a raccogliere le firme dei cittadini (per la legge ne deve raccogliere 100.000 in 7 regioni in quanto è supportata da un partito non presente nella Duma). Qualora riuscisse a raccoglierle, verrà ufficialmente registrata come candidata. Avevo già scritto di lei in uno dei post precedenti.

È stato invece bocciato già alla fase della presentazione dei documenti Continuare la lettura di questo post »


Il 18 dicembre 2017 è ufficialmente iniziata la campagna elettorale per le elezioni presidenziali russe del 2018. Prima di tale data 29 persone hanno pubblicamente espresso la propria intenzione di candidarsi. Noi, conoscendo già il nome del vincitore delle elezioni (chi non lo conosce, provi a indovinarlo con in tre tentativi), possiamo studiare i candidati al secondo posto.
Per evitare di scrivere un post di cinquanta schermate, ho pensato di dividere i personaggi che hanno già formalizzato la propria candidatura in piccoli gruppi, pubblicando dunque una serie di post sull’argomento. Inizierei con un testo dedicato ai concorrenti storici, quelli che partecipano alle elezioni presidenziali ormai da decenni.
Vladimir Žirinovskij (71 anni, nato il 25 aprile 1946) è il fondatore e il leader del partito politico nazionalista LDPR (Partito Liberal-Democratico di Russia); uno dei deputati della Duma con più anni di attività ininterrotta: lo è dal 12 dicembre 1993. Ha due lauree: nel 1970 si è laureato in Lingua e letteratura turca, mentre nel 1977 in Giurisprudenza; nel 1998 ha conseguito il Phd in sociologia. In qualità del politico è noto prevalentemente per un comportamento violento (verbale e a volte fisico) nei confronti dei propri oppositori, un altissimo grado di populismo e la capacità di ribaltare la propria opinione su qualsiasi argomento in giro di poche ore in base alle proprie necessità. (Sull’ultimo punto l’esempio più curioso è di alcuni anni fa: nel corso di uno dei discorsi nell’aula della Duma Žirinovskij invitò a chiudere una emittente radiofonica di opposizione. Il capo-redattore della radio reagì immediatamente con la frase «Benissimo, personalmente per Lei le porte dei nostri studi sono chiuse». Il giorno dopo, nella stessa aula, Žirinovskij tenne un altro discorso davanti ai colleghi dicendo che quella emittente fosse la migliore al mondo e meritevole di ogni forma di sostegno).
Il 22 dicembre 2017 ha presentato la propria candidatura alle elezioni presidenziali; facendo parte di un partito presente nella Duma, può candidarsi con la più semplice delle procedure (in sostanza, presentando solo alcune form compilate). Aveva già partecipato alle presidenziali nel 1991 (7,81% delle preferenze), nel 1996 (5,78% delle preferenze), nel 2000 (2,7% delle preferenze), nel 2008 (9,35% delle preferenze) e nel 2012 (6,22% delle preferenze). Aveva saltato solamente le elezioni del 2004, l’edizione nella quale si fece tutto il possibile per garantire il secondo mandato presidenziale a un noto politico russo, all’epoca un po’ meno affermato a livello nazionale.

Grigorij Javlinskij (65 anni, nato il 10 aprile 1952), è un economista (phd), l’ex vice-premier dell’URSS, il fondatore e il leader del partito politico liberale «Jabloko». All’epoca del lavoro nel Governo sovietico, nel biennio 1989–1990, curò l’elaborazione del programma economico chiamato «500 giorni» e avente per l’obiettivo di far uscire l’economia sovietica dallo stato di agonia. Per una serie di circostanze politiche tale programma non fu realizzato in alcun modo, mentre Javlinskij dovette dimettersi.
Nella realtà politica post-sovietica Javlinskij si distingue per essere un eterno oppositore: a Eltzin prima e a Putin poi. Ma non solo a quei due. Il modo di fare la politica di Javlinskij lo porta, infatti, ad essere costantemente in controposizione a tutto e a tutti: egli e il suo partito politico non riuscì, nemmeno in una occasione, ad allearsi con altri candidati o partiti, anche quelli aventi il credo politico molto molto simile. Si tratta, in sostanza, di uno dei politici più derisi in Russia. È noto, infatti, che pur essendo un uomo istruito e un economista preparato, è capace ad esprimere la propria contrarietà alla affermazione «1+1=2» pronunciata da qualcuno che non riconosca la sua leadership assoluta.
Javlinskij aveva partecipato alle elezioni presidenziali russe nel 1996 e nel 2000; alle elezioni del 2012 la sua candidatura non fu registrata dalla Commissione elettorale centrale. Javlinskij intende candidarsi per le elezioni del 2018.

Sicuramente avete già sentito o letto almeno una volta nella vita il nome di Gennadij Zjuganov, lo storico leader del Partito comunista russo. Aveva partecipato alle elezioni presidenziali russe nel 1996, 2000, 2008 e 2012, arrivando costantemente secondo. Come Žirinovskij, aveva saltato – per il medesimo motivo – le elezioni del 2004. In ogni caso, precisiamolo subito, il Partito comunista russo è la secondo partito più votato in Russia (il primo è la «Russia unita»). Non è però un partito di opposizione: assieme al LDPR di Žirinovskij e alla «Russia giusta» in sede parlamentare appoggia tutte le iniziative della «Russia unita»: in caso contrario la sua presenza nella Duma sarebbe fortemente ridimensionata (ma, a differenza di altri partiti, molto probabilmente non totalmente esclusa).
Ora, però, Gennadij Zjuganov ha 73 anni (è nato il 26 giugno 1944) e, come dicono, ha alcuni problemi di salute tipici della sua età (cuore prima di tutto). Si tratta dunque di una situazione non ottimale per candidarsi alle elezioni presidenziali o, addirittura, aspettare le elezioni del 2024. Allo sesso tempo, nel corso di tutta la storia del Partito comunista russo Zjuganov fece tutto il possibile per non permettere la comparsa di un altro potenziale leader del partito che potesse eliminarlo politicamente prima del dovuto. Di conseguenza, in vista delle elezioni del 2018 ha fatto una mossa a sorpresa: nonostante le assicurazioni iniziali circa la propria partecipazione, a dicembre propose come candidato-presidente Pavel Grudinin.
Pavel Grudinin, nato il 20 ottobre 1960 a Mosca, fino al 2010 fece parte del partito «Russia unita», mentre ora non è iscritto in alcun partito. Laureato in ingegneria agricola nel 1977, successivamente è diventato un grande produttore agricolo grazie alla privatizzazione, all’inizio degli anni ’90, di un sovchoz (una tipica grossa azienda agricola dell’epoca sovietica) di cui fu già il dirigente a partire dal 1990. Attualmente Pavel Grudinin è una persona ricca, in sostanza un capitalista a guida di una azienda tipicamente capitalistica, le cui priorità politiche hanno ben poco in comune con quelle del Partito comunista. È dunque è una figura politica interessantissima, che da una parte dovrà accontentare gli elettori del partito (la maggioranza dei quali non sono comunque più dei comunisti nel senso classico) e, dall’altra parte, attirare degli elettori nuovi. Ed è per questo che nei suoi discorsi pubblici la retorica capitalista si mischia magicamente con il relativamente popolare in Russia stalinismo e con la critica alla politica di Putin. Sottolineo che su quest’ultimo punto Grudinin insiste molto più di Zjuganov.
Insomma, politicamente Pavel Grudinin mi sembra uno dei candidati più curiosi di queste elezioni. Non solo per il risultato che potrà ottenere il 18 marzo 2018, ma anche per il suo futuro ruolo nella politica e nella vita partitica.

A questo punto prendo una breve pausa nella presentazione dei candidati e vi prometto di continuarla tra pochi giorni. Parleremo di personaggi interessanti in tutti i sensi!


Il primo candidato

A grandissima sorpresa, il canditato № 1 ha annunciato oggi la propria partecipazione alle elezioni presidenziali russe del 18 marzo 2018. Ora aspettiamo le altre e gli altri (anche quelli non citati nel post del link).


Lo stemma russo

Con il decreto presidenziale № 2050 del 30 novembre 1993 fu definito l’aspetto attuale dello stemma della Russia. Molto probabilmente lo conoscete già:

Naturalmente, non si tratta di una invenzione originale di un designer ubriaco dei primi anni ’90. Lo stemma russo attuale richiama la sua versione in uso prima delle rivoluzioni del 1917. Infatti, l’aquila mutante si affermò in qualità del simbolo statale della Russia alla fine del XV secolo, mentre nell’aprile del 1857 (poco più di 160 anni fa) l’imperatore Aleksandr II approvò la riforma araldica russa mettendo la propria firma su 110 disegni degli stemmi russi. In particolare, l’uccello mostruoso adeguato nel suo aspetto agli standard araldici tedeschi divenne il simbolo ufficiale della Russia sullo stemma. È quest’ultima sua versione che possiamo oggi riconoscere sullo stemma della Federazione Russa.

Una delle teorie più popolari sul motivo della comparsa del mostro in Russia è la sua migrazione dall’Impero bizantino nella seconda metà del XV secolo. Nel 1453, proprio grazie alla immagine di questa aquila a due teste ricamata in oro sui vestiti, fu riconosciuto il corpo del caduto (e letteralmente fatto a pezzi) in battaglia l’ultimo imperatore bizantino Costantino XI Paleologo dopo la presa della Costantinopoli da parte dell’esercito del sultano Maometto II. Il Gran Principe di Mosca Ivan III sposò nel 1469 la nipote (figlia del fratello) di Costantino XI di nome Sofia Paleologa, portando dunque sul territorio del Gran Principato di Mosca anche lo stemma familiare della sposa. Mentre prima di tale matrimonio (il secondo per egli) Ivan III utilizzò in qualità dello stemma la figura all’epoca chiamata «iezdetz» (traducibile come «cavaliere»).

Due secoli e mezzo più tardi, ai tempi di Pietro I, quella figura fu proclamata la rappresentazione di San Giorgio, seppur in origine si intese un altro cavaliere che oggi ci sembra anonimo (non abbiamo alcuna informazione utile per identificarlo). Pure ora, nel XXI secolo, bisogna ricordare che sullo stemma della Federazione Russa è raffigurato non San Giorgio, ma, ufficialmente, «un cavaliere d’argento con un mantello azzurro su un cavallo d’argento che colpisce con una lancia d’argento un drago nero buttato sulle spalle e calpestato dal cavallo».
Purtroppo l’ipotesi sulla importazione dell’aquila da parte dei Paleologo è fortemente messa in crisi dal fatto che ancor prima del matrimonio tra Sofia e Ivan III l’aquila a due teste fu cognata sulle monete del Principe di Tver – cioè di un vecchio rivale del Gran Principe di Mosca – che non sposò alcuna principessa bizantina né prima né dopo la caduta della Costantinopoli. Tutti gli altri governanti del mondo che utilizzarono l’aquila a due teste nella propria simbologia araldica – dai re ittiti del secondo millennio A.C. ai sultani mamelucchi o selgiuchidi – molto probabilmente nemmeno ritennero necessario prendere in considerazione l’esempio bizantino. Vollero solamente vedere sul proprio stemma una creatura nota e allo stesso tempo di fantasia, quindi decisero di aggiungere la seconda testa alla aquila. I più svariati significati araldici – che siano legati a Zeus, Giovanni evangelista, Est-Ovest o altro ancora – furono di volta in volta inventati dai saggi di corte in base alle correnti necessità politiche.
La versione corrente della aquila russa a due teste viene descritta dall’articolo 1 della Legge Federale russa del 2000 in questo modo:
«Lo stemma di Stato della Federazione Russa è rappresentato da uno scudo araldico rosso, appuntito in basso, a quattro angoli, con gli angoli inferiori arrotondati e con l’aquila d’oro a due teste che alza le ali sciolte. L’aquila è coronata con due corone piccole e – sopra di esse – con una grande legate tra esse da un nastro. Nella zampa destra dell’aquila è posizionato uno scettro, nella zampa sinistra un globo crucigero».
[la traduzione è mia, quindi molto probabilmente ho sbagliato qualche termine araldico specifico]
Sullo stemma degli USA l’aquila (l’aquila di mare testabianca) nella zampa destra tiene un ramo d’ulivo con 13 foglie e olive, mentre nella zampa sinistra 13 frecce metalliche. È facile intuire che tali oggetti simboleggiano la pace e la guerra. Però la testa della aquila è una sola ed è girata a destra, cioè verso la pace. L’aquila russa, avendo due teste, non è costretta a scegliere tra lo scettro (il potere statele) e il globo crucigero (lo Stato unitario). Sullo stemma della Repubblica Federale Tedesca l’aquila guarda a destra, ma le sue zampe sono vuote (l’immagine risale ai tempi del Sacro Impero Romano, anche se all’epoca questa l’aquila degli Habsburg fu a due teste). Sullo stemma della Polonia l’aquila ha una testa e guarda a destra, le sue zampe sono vuote (l’uccello è lì dal X secolo, cioè dalla salita al potere della dinastia dei Piast). Sullo stemma austriaco, invece, l’aquila tiene una falce nella zampa destra e un martello nella zampa sinistra: di conseguenza, la sua testa rivolta verso destra dovrebbe testimoniare la preferenza verso il settore agricolo della economia invece che verso quello industriale.

Tra tutti i popoli europei, gli austriaci sono stati quelli più lenti a decidere sulla quantità delle teste da lasciare «sulle spalle» della aquila:
– fino al novembre 1918 l’aquila austriaca ebbe una testa e le zampe vuote;
– nel 1919 l’aquila austriaca ritornò ad avere una sola testa, ma in compenso ottenne anche la falce e il martello;
– nel 1934 la falce e il martello sparirono, ma la testa raddoppiò, sopra ognuna delle teste comparve un nimbo d’oro;
– nel 1938 avvenne l’anschluss e per ben 7 anni l’Austria rimase senza uno stemma;
– dopo la liberazione del 1945 ritornò l’aquila con una testa e gli strumenti di lavoro nelle zampe, senza il nimbo ma con le catene rotte in memoria di Adolf.

Beh, questa storia della testa doppia può portarmi ancora più lontano… Ma penso che abbiate già capito tutto.
P.S.: l’articolo italiano della Wikipedia, pur essendo brevissimo, riesce a dire un sacco di stronzate sull’argomento.


Due notizie

Una giornata tipo russa in due notizie.
La notizia numero uno. I deputati del Consiglio comunale della città russa Krasnodar, hanno approvato all’unanimità l’assegnazione del nome di Feliks Dzeržinskij a una delle scuole cittadine. A chi non conoscesse tale personaggio storico ricordo che Dzeržinskij fu il fondatore e il primo dirigente dell’organo repressivo Čeka (che anni dopo divenne KGB) e uno degli artefici del terrore rosso negli anni successivi alla rivoluzione e guerra civile.
La notizia numero due. Il Comitato investigativo russo (una istituzione permanente, formatasi come un ente ausiliario della Procura) indagherà, sulla segnalazione di un episcopo ortodosso, sulla ipotesi che l’assassinio della famiglia zarista sarebbe stato un assassinio rituale ispirato dagli ebrei.
Sono anni che viviamo così.


Se vedi un palazzo bruciato…

Un esemplare di street art dedicato a Petr Pavlensky vicino a un locale andato in fiamme a San Pietroburgo:

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Un post condiviso da Vladimir Abikh (@vladimir_abikh) in data:


Chi non avesse compresola battuta, riveda i due post precedenti dedicati all’operato del personaggio.