Tutti coloro che avessero già letto dei passaporti russi in regalo – per decreto presidenziale – ai cittadini ucraini devono sapere che si tratta di una ennesima scelta politica più tattica che politica. E, soprattutto, provocatoria: si fa solo perché si può farlo.
Infatti, trovo molto deboli tutte le spiegazioni razionali di tale mossa che mi è capitato di leggere e sentire negli ultimi giorni.
L’aumento dei cittadini russi nel sud-est ucraino potrebbe essere una giustificazione della annessione? Gli anni di conflitto in quei territori hanno dimostrato che la Russia non ha bisogno di alcuna giustificazione.
Vladimir Putin vorrebbe premiare gli ucraini che hanno combattuto contro il Governo ucraino in quei territori? Si è sempre ritenuto libero da alcun debito materiale o morale nei confronti dei veterani e dei famigliari dei militari russi uccisi nei vari conflitti.
Si vorrebbe in tal modo aumentare la base elettorale del partito «Russia Unita»? (Secondo le stime dei giornalisti si tratterrebbe di almeno 3,8 milioni di nuovi cittadini grati per il regalo.) La realtà dimostra che il partito è capace di vincere anche in assenza delle manifestazioni materiali del voto a suo favore.
Insomma, mi sembra che la distribuzione dei passaporti sia più un gioco da bullo, un modo di infastidire in modo divertente la classe politica occidentale.
L’archivio della rubrica «Russia»
Come avrete già letto o sentito, stamattina Kim Jong-un è arrivato a Vladivistok per un «vertice» con Vladimir Putin. In merito a tale notizia, la grande domanda alla quale attualmente non saprei proprio rispondervi è: che penis è venuto a fare?
La Russia e la Corea del Nord non hanno alcun interesse comune o conflitto. Negli ultimi anni Vlaimir Putin non ha nemmeno manifestato alcuna intenzione seria di contribuire al contrasto del programma nucleare nordcoreano (perché non ha alcun interesse politico di farlo).
Mi viene in mente solamente una, abbastanza primitiva, opzione: Kim Jong-un è venuto a chiedere dei soldi, mentre Putin ha voluto apparire di essere più capace di Trump a costruire i rapporti con il leader nordcoreano (anche se, ricordiamo, non hanno alcun argomento da trattare).
I ben 16 chilometri di confine comune tra la Russia e la Corea del Nord non mi sembrano un grande interesse comune…
Spero che i miei lettori non mi prendano per un fan della balalaika. Il fatto è che mi sorprendo tantissimo ogni volta che sento qualcuno suonare bene questo strumento primitivo (ricordiamo il primo post della serie).
Oggi sentiamo due brani di un musicista non famoso: Serghei Malenkin.
Il primo:
Il secondo:
Sul nostro sfortunato pianeta vivono numerosi personaggi convinti che gli astronauti americani non siano mai stati sulla Luna. Sono gli stessi personaggi che non si sono mai resi conto del fatto che le prove del volo di Yuri Gagarin nello Spazio sono molte meno dello sbarco sulla Luna.
(Tra parentesi: esistono pure dei personaggi convinti della inesistenza dei viaggi e dei lanci nello Spazio in generale, ma oggi non parliamo di questa categoria dei malati).
[disponibile anche in un formato più grande]
Il volo di Gagarin fu eseguito nella massima segretezza: non esiste alcuna ripresa foto o video della sua salita sulla navicella e del decollo. Le famose riprese delle conversazioni tra Gagarin e il capo-progettista Koroljov furono fatte dopo il volo, come un film, appositamente per la Storia.
Non esiste nemmeno una foto scattata da Gagarin nello Spazio. Vi sembra immaginabile che alla prima persona diretta verso lo Spazio non fosse stata fornita una macchina fotografica? Supponiamo che l’intento fosse stato quello di non far distrarre il cosmonauta dal lavoro principale: sarebbe comunque stato possibile organizzarsi con la telemetria già in corso dal bordo della navicella.
L’URSS preferì nascondere tutte le caratteristiche tecniche della navicella «Vostok 1» e falsificare i risultati del primo volo. Il 18 luglio 1961 a Parigi iniziò la riunione della Federazione aeronautica internazionale (FAI) alla quale sarebbero dovuti essere registrati i record stabiliti da Gagarin: la durata del volo (108 minuti), la quota (327,7 km), il peso del carico portato nello Spazio (4725 kg) e due record di collegamento via radio. Secondo il regolamento, però, il record poteva essere registrato solamente nel caso di atterraggio con il pilota presente nella cabina del velivolo e in presenza di un commissario sportivo sul luogo dell’atterraggio. La presenza del commissario fu impossibile anche perché l’atterraggio avvenne in un luogo diverso da quello calcolato. La presenza del pilota nella cabina è una questione ancora più difficile: in alcune pubblicazioni dell’epoca fu ammessa l’esistenza del seggiolino eiettabile nella capsula di atterraggio del «Vostok 1». I dirigenti della Federazione espressero dunque un ragionevole dubbio: dove fu Gagarin al momento dell’atterraggio? Dentro la cabina o fuori? La delegazione sovietica rispose in modo univoco: dentro. Solo nell’ottobre del 1964, quando decollò il «Vostok 3», fu diffuso il comunicato ufficiale sovietico circa il fatto che il suo equipaggio «ricevette per la prima volta la possibilità di atterrare con la propria navicella».
Inoltre, non furono invitati dei corrispondenti autorevoli (nemmeno dagli Stati socialisti) che avrebbero potuto confermare il fatto della salita di Gagarin a bordo della navicella e il fatto del decollo della stessa.
L’URSS avrebbe dovuto presentare delle prove concrete, dettagli del volo: le foto della Terra dall’orbita, i dettegli del lancio e la descrizione del razzo, i nomi dei progettisti del razzo e della navicella. Nulla di tutto questo fu reso pubblico.
Gli americani intercettarono la telemetria del «Vostok 1», ma questa potette anche essere falsificata (come, per esempio, furono falsificati i dati sovietici sugli armamenti) oppure trasmessa da una navicella vuota.
Con la teoria del complotto può essere spiegata anche la morte di Gagarin: si è schiantato con un aereo vecchio dieci anni, il cui motore si è acceso solo al quinto tentativo (e le circostanze della tragedia non sono tuttora rese pubbliche dagli inquirenti). In tal modo si sarebbe evitato il rischio dei suoi racconti sulla «realtà dei fatti».
Ecco, considerata la data odierna (il 58-esimo anniversario del volo di Gagarin), preciso che io non credo in alcuna teoria del complotto. E non ho dei dubbi sul fatto del volo di Gagarin. Il presente post va letto solo come un testo di storia.
Il martedì 26 marzo ha prestato giuramento il nuovo sindaco della città di Belgorod (quasi settecento chilometri a sudovest di Mosca). Per apprezzare il relativo video (brevissimo) non è richiesta la conoscenza della lingua russa. È però richiesta l’attivazione dell’audio del vostro dispositivo.
Sì, quei suoni che avete sentito e riconosciuto sono stati scelti per l’occasione dalla «ministra» locale della cultura Liudmila Grekova. La sua intenzione è stata quella di «scegliere una musica moderna», ma allo stesso tempo ha ammesso di non avere verificato la sua origine. Mah… pure io che non sono proprio un fan di quella origine, la conosco…
Come avrete già letto o sentito, dal «rapporto Mueller» risulta che non ci sarebbe stato un accordo tra Trump e Putin (due nomi collettivi) circa l’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Il commento migliore di tale notizia è già stato fatto dal caricaturista russo Sergej Jolkin:
«Il procuratore speciale Mueller non ha trovato il legame»
A questo punto, in via straordinaria, dovrei essere io ad aggiungere qualcosa di serio.
Aggiungerei due piccole e banali considerazioni solo parzialmente inerenti alla notizia citata all’inizio. Prima di tutto, ritengo esagerata la portata attribuita da alcuni giornalisti all’intervento russo nelle elezioni americane (intervento non negato dai procuratori americani). Allo stesso tempo, nelle azioni del genere a contare è l’azione stessa e non il risultato.
Di conseguenza, Trump si è liberato da una accusa, ma rimane comunque un produttore dei problemi politici molto efficiente. I politici russi che in questi giorni festeggiano la non-scoperta di un accordo non si rendono probabilmente conte del contenuto delle accuse a proprio carico.
La vita politica kazaka scorre regolarmente anche dopo l’evento epocale di ieri.
Oggi il Parlamento del Kazakistan ha approvato all’unanimità la rinomina della capitale Astana. Il nuovo nome della città è — sorpresa! — Nursultan.
Colgo l’occasione per ricordare ai miei lettori fantasiosi che in Russia esiste già una città di nome Vladimir: si trova a 176 km a est di Mosca, ha circa 357 mila abitanti e oltre mille anni di storia.
Ma, come spesso capita, c’è sempre una speranza per tutti. La dimostrazione geografica di questa tesi è semplice: in Russia esiste già la città Velikij Novgorod (il nome si traduce come «Novgorod la grande»), ma non esiste ancora un Velikij Vladimir.
P.S.: avrei voluto aggiungere anche le indicazioni stradali verso qualche toponimo italiano di questo tipo, ma non ne ho trovati. Avrò cercato male…
Poco più di cinque anni fa, il 27 febbraio 2014, le forze armate russe sono entrate negli edifici istituzionali della Crimea. Esattamente cinque anni fa, il 18 marzo 2014, è stato firmato il Trattato di adesione della Crimea alla Russia. Le parti del trattato sono stati il presidente della Russia e i vertici della Crimea nominati nei giorni precedenti sotto il controllo del sopracitato esercito. A distanza di cinque anni esatti dalla annessione, si potrebbe provare a valutare i guadagni e le perdite della Russia.
Tra i guadagni potremmo elencare solo due dati quantificabili: l’accrescimento del territorio russo di 27 mila chilometri quadri (0,15% del territorio totale della Russia) e 2,2 milioni di abitanti in più. A questi dati potremmo aggiungere il miglioramento dell’umore dei patrioti celebrali (secondo i quali si sarebbe affermata la «giustizia storica») e, volendo, l’arricchimento di alcune persone che hanno saputo sfruttare l’anarchia giuridica durante la «transizione» della penisola (ma secondo alcune testimonianze anche nel corso degli ultimi cinque anni).
Qualcuno potrebbe riuscire a trovare altri guadagni minori, ma non riesco a immaginare altri guadagni di valore simile.
La Crimea è sempre stata un territorio economicamente non autonomo, dipendente dai finanziamenti da parte del Governo centrale: è stato così ai tempi dell’URSS e della Ucraina indipendente. Nemmeno dopo l’annessione da parte della Russia si è verificato alcun miracolo: non sono state trovate delle materie prime preziose, non sono arrivati eserciti di turisti ricchi. Di conseguenza, anche per la copertura delle spese correnti della penisola il Ministero delle finanze russo ha dovuto trovare 55 miliardi di rubli (più di 753 milioni di euro) solo per i nove mesi rimanenti del 2014. Negli anni successivi la somma annuale destinata alla Crimea ha sempre continuato a crescere: bisognava finanziare l’aumento degli stupendi dei dipendenti statali (erano molto più bassi della media russa), lo sviluppo delle infrastrutture sociali e urbane per portarle almeno al livello degli standard russi etc. Per il 2019 si prevede di trasferire alla Crimea 150 miliardi di rubli, mentre nel corso di tutto il periodo tra il 2015 e il 2019 l’ammontare dei sussidi dal centro dovrebbe costituire circa 580 miliardi di rubli (quasi 8 milioni di euro).
Inoltre, bisogna ricordare che alla città di Sebastopoli è stato assegnato lo status della città di importanza federale, il quale comporta l’esistenza di una sua propria Legge finanziaria. Non essendo nemmeno la Sebastopoli economicamente autonoma, è stata la destinazione dei sussidi per quasi 120 miliardi di rubli da parte del Ministero delle finanze russo. Siamo già a 700 miliardi rubli di finanziamenti diretti.
In totale, il Governo federale finanzia tra il 75 e il 77% delle spese della Crimea e il circa 60% delle spese della Sebastopoli. Una parte notevole delle tasse raccolte sul territorio della penisola rappresenta dei derivati proprio dalle somme arrivati da Mosca.
Oltre ai finanziamenti diretti della Crimea, esistono anche quelli indiretti. Tra questi, per esempio, le pensioni: nel 2014 c’erano circa 660 mila pensionati su tutta la penisola. A partire dalla meta del 2014 la pensione media in regione è stata portata (raddoppiata) a 11.200 rubli. Il peso dei pagamenti deve essere ora supportato dal fondo pensionistico russo, il quale non ha mai ricevuto dei contributi dagli abitanti della Crimea ucraina. Gli esperti stimano la spesa russa per le pensioni in Crimea in circa 200 miliardi di rubli.
Il nuovo totale parziale è dunque di 900 miliardi di rubli (quasi 12,4 milioni di euro). Ora dobbiamo aggiungere le spese per la costruzione del Ponte di Crimea, la ricostruzione di molte strade interurbane della Crimea, la costruzione della centrale termoelettrica (quella con le turbine della Siemens), del gasdotto e dell’elettrodotto: sono altri 600 miliardi di rubli nel periodo dal 2014 ad oggi.
Ecco, siamo arrivati a 1,5 trilioni di rubli (più di 20,5 milioni di euro). È una somma pari a 2 spese statali annue per l’istruzione. Oppure 3 per la medicina. Oppure 15 per la cultura. Oppure 357 per l’Accademia delle Scienze russa. In ogni caso, la spesa per la gestione e lo sviluppo della Crimea si effettua prevalentemente grazie all’aumento delle tariffe (luce, gas, carburante) e ai tagli degli investimenti nelle infrastrutture del resto del territorio russo.
Infine, tra i costi della annessione della Crimea possiamo contare la stagnazione della economia russa (dovuta alle sanzioni e alla fuga dei capitali). In cinque anni il PIL russo è cresciuto del 2%, mentre l’economia mondiale è cresciuta del 19%. Il reddito reale della popolazione russa nello stesso periodo è sceso dell’11%.
Potrei aggiungere anche le perdite politiche/reputazionali e demografiche (emigrazione), ma quelli sono altri argomenti grossi.
Nonostante tutto, quando capita anche a voi di vedere il busto di Stalin (quello vicino alla sua tomba sulla Piazza Rossa) quasi sommerso dai fiori nell’anniversario della sua morte…
… sappiate che si tratta dell’ennesimo tentativo dei comunisti di simulare l’amore popolare. I fiori portati dai privati per iniziativa propria producono una immagine diversa da questa:
Ma almeno hanno fatto contento un grossista.
Oggi è la data ufficiale della morte di Iosif Stalin (l’anno scorso avevo già scritto di quella reale). Indipendentemente dalla data, però, bisogna ricordare che l’ultima porzione delle repressioni staliniane ebbe luogo già dopo la sua morte.
Nei giorni seguenti al 5 marzo 1953 molte persone furono arrestate, «giudicate» colpevoli e portate nei lager con delle accuse non del tutto normali pure per quei tempi bui. Alcuni esempi: «lanciava i cetrioli contro il ritratto della Guida», «non voleva piangere», «parlava ad alta voce durante la riunione di lutto per la Guida».
Tutte le forze della KGB dell’epoca furono impiegate per il controllo della qualità del lutto su tutto il territorio dell’URSS: soprattutto nei luoghi pubblici, luoghi di lavoro e di studio. La popolazione si divise dunque in almeno tre gruppi: realmente depressi per la perdita del «padre dei popoli» e «difensore», depressi per finta allo scopo di sopravvivere, tanto coraggiosi per non manifestare il grande lutto e addirittura festeggiare di nascosto. Gli ultimi due gruppi in parte coincidevano.
E poi vi furono le persone consapevoli del fatto che nonostante la morte di Stalin alcuni principi fondamentali del regime sarebbero rimasti in vita per decenni. Fu dunque possibile essere arrestati in seguito a una semplice conversazione tra privati: «Hai pianto per Stalin?» «Ho pianto perché è morto troppo tardi!»
Il drago va ucciso anche nelle teste.
In molte vive ancora oggi.