Come da tradizione, il primo video domenicale dell’anno è quello del messaggio del presidente russo Vladimir Putin per l’anno nuovo (con i sottotitoli italiani). Non perché voglio sembrare un fan di questo funzionario – non lo sono! –, ma perché il contenuto di un discorso del genere è un importantissimo elemento di analisi politica.
Come negli anni precedenti (si veda, per esempio, il messaggio dell’anno scorso), si tratta di un messaggio privo di alcun contenuto concreto. Un messaggio composto prevalentemente dalle parole che avremmo potuto sentire da un conoscente che incontriamo casualmente per strada una o due volte all’anno.
Solamente due passaggi meriterebbero di essere commentati brevemente. Il primo, detto da Putin, a prima vista sembra una battuta: «i nostri piani personali e i sogni sono inseparabili dalla Russia». Ma in realtà non so se si tratti di una battuta sadica («non sognatevi nemmeno di sbarazzarmi di me, pianifico di restare dove sono»), di una confessione sincera da medesimo contenuto o di una semplice frase di rito. Vabbè, lasciamo perdere.
Il secondo passaggio da evidenziare è l’ennesimo richiamo del culto della Seconda guerra mondiale. Un culto nato alla fine degli anni ’60 per volere di Leonid Brežnev, un po’ affievolito negli anni ’90 e ripreso con la forza sempre crescente a partire dai primi 2000. L’importanza di tale culto per la propaganda interna, come pure la sua popolarità alimentata dall’alto, è un argomento serio che merita un testo a parte. Ora mi limiterei a precisare che in assenza dei miglioramenti significativi nella vita della maggioranza dei russi negli ultimi 15–20 anni (soprattutto fuori dalle città principali) e in presenza della politica isolazionista-vittimista, si continua a sfruttare le conquiste del lontano passato. Il popolarissimo slogan ignorante «1941–1945: possiamo ripeterlo» non è mai stato pronunciato dagli esponenti delle Istituzioni, ma a volte mi sembra che ci manchi poco. Il punto è che il passato viene spacciato per il presente nel tentativo di sostituire il misero con il «glorioso». Quindi non stupitevi per quel passaggio di Putin: rispecchia la quotidianità della politica interna russa.
L’archivio della rubrica «Russia»
L’altro ieri avevo la testa occupata da pensieri decisamente più allegri, ma, purtroppo, non si scappa dalla vita reale: il 31 dicembre 2019 è stato raggiunto un traguardo pesante. Vladimir Putin è arrivato ai suoi primi vent’anni al potere.
Per tale occasione sul sito ufficiale del Presidente della Federazione Russa è stato pubblicato uno speciale progetto multimediale: «Putin. 20 anni». Si tratta di una raccolta delle foto e dei video – con i relativi commenti testuali – che illustrerebbero il lavoro di Vladimir Putin a partire dal 31 dicembre 1999 (la data in cui fu nominato facente funzioni da parte del dimissionario Boris Eltzin). Sul sito sono per ora disponibili solo i materiali relativi agli anni 1999–2004, ma nelle prossime settimane dovrebbero essere aggiunte altre loro grosse porzioni.
Nel suo complesso, questo documento digitale potrebbe essere visto come una semplice fonte delle immagini storiche o come una piccola testimonianza del crescente culto della personalità. Le persone interessate – e attente – ai dettagli possono, invece, trovare delle piccole perle. Una di queste, per esempio, è la foto relativa alla ratifica nel 2004 dell’unico accordo bilaterale ancora vigente tra la Russia e l’Ucraina: quello sull’utilizzo dello Stretto di Kerch. Nello stesso documento si parla del confine tra i due Stati perché, qualora qualcuno non lo ricordasse, il suddetto Stretto si trova proprio tra la Russia e la Crimea. Il sito che stiamo ora studiando, in una maniera apparentemente neutrale sottolinea l’importanza storica di quel incontro, ma io non so di preciso cosa avesse voluto comunicarci l’autore del sito stesso. Che quella firma era il primo passo di un leader lungimirante verso la «grande vittoria storica»? Perché la storia è un processo continuo. Qualcuno non si ricorda come nel 2014 lo stesso Putin ha deciso di appropriarsi della Crimea? Qualcuno non si è accorto che nel 2018 lo stesso Putin ha deciso di impedire, con l’uso della forza militare, alla Ucraina di utilizzare lo Stretto di Kerch?
Ecco, io non so ancora come sarà illustrata sul sito la vita politica di Putin negli anni 2014–2019. Presumo, però, che possa diventare una ennesima illustrazione del principio «ogni giorno combino quello che voglio e voi non potete farci niente».
Ecco, direi che almeno per ora mi sono risparmiato la fatica di stilare un bilancio del ventennio di Putin. Nonostante tutta la mia antipatia verso il personaggio, non posso non riconoscere che gli effetti del suo operato non possono essere affrontati con leggerezza. Avrei avuto bisogno di numerose schermate di testo solo per una bozza estremamente schematica della mia analisi. Poche persone si possono permettere il lusso di iniziare una grande opera senza avere un contratto in tasca.
Secondo la storiografia ufficiale sovietica oggi sarebbe il 140-esimo compleanno di Iosif Stalin.
Ma voi, cari lettori, non dovete fidarvi della storiografia sovietica. Un anno fa avevo già spiegato perché la data del 21 dicembre 1879 non è la data di nascita del criminale baffuto.
Se avete tempo e voglia, rileggete pure quel post: non è lungo.
I miei amici e conoscenti italiani mi chiedono spesso quanto siano affidabili, in termini della sicurezza fisica, le compagnie aeree russe. La mia risposta, purtroppo o per fortuna, è cambiata di poco negli ultimi anni.
Qualora si parli delle linee internazionali, le compagnie aeree russe sono assolutamente sicure: utilizzano aerei di qualità e non vecchi (ormai sono quasi tutti presi in leasing), prestano molta attenzione alla manutenzione e hanno il personale qualificato costantemente aggiornato. Tutto ciò è possibile, fondamentalmente, grazie a una semplicissima legge del mercato: sulle tratte internazionali si guadagna di più, quindi c’è da lottare per attirare la clientela attraverso fattori facilmente percettibili (nonostante i grandi fatturati, il trasporto aereo non è particolarmente redditizio, di conseguenza c’è poco spazio per giocare con i prezzi dei biglietti).
È invece sensibilmente diversa la situazione delle linee aeree interne russe. Nonostante certi progressi degli ultimi sette—otto anni, su diverse tratte nazionali è ancora abbastanza facile trovare degli aerei di pessima qualità. Potrebbe capitare un Sukhoi Superjet 100: un modello che diventa frequentemente protagonista di guasti di gravità varia perché dopo oltre undici anni di esistenza risulta ancora essere pieno di problemi di progettazione e di produzione. Oppure, banalmente, potrebbe capitare un aereo vecchio parecchi decenni, la cui biografia riuscirebbe a spaventare anche i viaggiatori meno esigenti.
Ma c’è un motivo preciso per il quale ho pensato di trattare tale argomento proprio oggi. Di recente ho saputo che l’azienda di trasporti «Aviatsija Kolymy» (il nome si traduce come l’Aviazione di Kolyma, l’azienda è di proprietà della Regione di Magadan) ha acquistato i primi due aerei Antonov An-2 modificati. La modifica tecnica è consistita nella installazione sugli aerei vecchi 37 e 39 anni dei nuovi motori americani TPE-331-12 prodotti dalla Honeywell. Alcune altre regioni russe hanno già manifestato l’interesse verso l’acquisto degli An-2 «modificati» allo stesso modo.
Certo, i motori sono nuovi e hanno il vantaggio di funzionare con il cherosene aereo (invece della benzina aerea necessaria per il motore sovietico originale).
Certo, l’An-2 ha il vantaggio di poter utilizzare anche una pista di atterraggio di 500 metri in terra battuta e di essere in grado di atterrare alla velocità di soli 70 km/h.
Certo, l’An-2 costa meno di tanti aerei nuovi ed è modello da qualità prevedibili (a differenza dello stesso Sukhoi Superjet 100 già menzionato prima).
Però è un aereo progettato negli anni ’40 e non più prodotto dal 1992. Io, personalmente, lo avrei preferito a un qualsiasi aereo, anche nuovo, della immaginaria «zimbabwe airlines». Ma, allo stesso tempo, in presenza della possibilità di scegliere avrei preferito la macchina o il treno all’An-2, modificato o originale che sia.
Come posso motivare i miei lettori all’ottimismo questo giorno di metà dicembre?
Per esempio, posso pubblicare un grafico sulla copertura media annua della Russia con la neve.
Con una certa soddisfazione informo tutti gli appassionati dell’automobilismo di un evento epocale (non so quanto sia corretto chiamarlo con il nome di giustizia storica): il produttore automobilistico russo AvtoVAZ — quindi il produttore delle Lada — ha riacquistato il diritto di utilizzare il marchio Niva.
Penso che più o meno tutti gli esperti conoscano la Lada Niva classica, quella prodotta dal 1977 al 2002. (I vecchietti con la memoria ancora più scarsa della mia possono rivedere il mio articolo dedicato al modello in questione.) Nel 2002, però, la AvtoVAZ aveva creato una joint venture con l’americana General Motors, partecipandovi con dei cespiti materiali e immateriali per un valore complessivo di 100 milioni di dollari. Tra quei beni immateriali, in particolare, era compreso anche il marchio Niva. La General Motors aveva dunque iniziato a produrre la Chevrolet Niva «sulla base del modello classico». Ma in realtà il modello sembrava un pseudo fuoristrada anonimo:
Mentre la AvtoVAZ era costretta a produrre il proprio modello glorioso con il semplice nome «4×4». Stilisticamente era decisamente più in linea con la tradizione:
Il martedì 10 dicembre, dopo una serie di trattative non particolarmente lunghe e pesanti, l’AvtoVAZ ha finalmente firmato l’accordo sull’acquisto della quota americana nella suddetta joint venture. Ora è dunque possibile parlare del ritorno della Niva in patria.
Le notizie positive, purtroppo, finiscono qui. L’industria automobilistica russa contemporanea ha fatto alcuni progressi tecnologici negli ultimi dieci anni, ma continua a produrre le vetture di qualità sensibilmente lontana dagli standard moderni. Lo si nota in tutti gli aspetti: gli standard ecologici adottati, la resistenza della carrozzeria, la sicurezza dei passeggeri, la qualità di assemblaggio e la scelta di ceri materiali. Bisogna essere proprio un grande fanatico per comprare con dei soldi propri una auto russa nuova in qualità del mezzo di trasporto unico o principale.
Se volete proprio possedere una Lada Niva (oppure una UAZ, un altro modello glorioso), considerate pure le vetture vecchie: almeno non tradiranno le vostre aspettative.
Devo constatare che l’articolo del «Corriere della Sera» sulle festività russe, segnalatomi qualche giorno fa, è un po’ caotico e impreciso. Così, non ho mai incontrato (ma nemmeno sentito nominare) un russo intenzionato a festeggiare il Natale cattolico o l’Epifania del 19 gennaio. Probabilmente perché, nonostante tutte le particolarità che mi sono contraddistinguono, le mie amicizie/conoscenze e le mie letture sono limitate alle persone mentalmente regolari.
Allo stesso tempo, l’articolo solleva due argomenti inerenti alla quotidianità russa che, da una parte, non mi sarebbe mai venuto in mente di raccontare e, dall’altra parte, spesso risultano inconcepibili per i non russi.
Il primo argomento è, effettivamente, il recupero di tutte le festività che per la colpa del calendario nell’anno x coincidono con il fine settimana. Si tratta di una tradizione secondo me un po’ stupida, ma il fatto rimane: se, per esempio, la festa y capita di domenica, il lunedì seguente diventa non lavorativo.
Il secondo argomento, invece, andrebbe a essere precisato ancora meglio. Perché, oltre alle normali ferie di un mese, i lavoratori russi hanno per legge due periodi di vacanze pagate: i primi sette giorni di gennaio (con l’eventuale recupero delle festività) e i primi nove giorni di maggio (fino ai primi 2000, oltre alla Giornata della Vittoria del 9 maggio, per qualche motivo incomprensibile si festeggiava pure il 10 maggio). Ogni periodo delle vacanze, poi, può allungarsi grazie ai finesettimana capitati bene. Si tratta del riposo in aggiunta alle ferie (le quali possono essere prese come e quando ci si mette d’accordo con il proprio datore di lavoro).
Alcuni miei amici e conoscenti italiani, per esempio, non riescono proprio a concepire questo secondo aspetto appena descritto. Eppure provate a immaginare una ipotetica analogia italiana: per esempio, che le chiusure forzate delle aziende italiane ad agosto e poi tra il Natale e l’Epifania andassero ad aggiungersi al mese di ferie da prendere quando si vuole.
In sostanza, in Russia si lavora dieci mesi scarsi all’anno. Ne sono particolarmente scontenti i proprietari e i dirigenti delle aziende private. In sostanza, per due mesi all’anno sono costretti a pagare le persone che non producono e, spesso, rientrano fisicamente affaticate dopo le vacanze altamente alcoliche invernali.
In una fattoria vicino a Ramenskoe (una cittadina della provincia di Mosca) è stata testata con successo una innovazione interessante e divertente. Gli ingegneri e i veterinari hanno fatto provare gli occhiali di realtà virtuale alle mucche:
L’obiettivo della innovazione è quello di far sentire le mucche «più felici e rilassate» – mostrando a loro un campo verde estivo tutto l’anno – al fine di aumentare la produzione del latte. I risultati del test avrebbero mostrato «il miglioramento dell’umore della intera mandria».
E io spero che queste immagini abbiano migliorato il vostro umore nel mezzo della giornata piovosa.
P.S.: dovrei impegnarmi nel portare questa innovazione in Italia. Sarei curioso di vedere anche la reazione degli umani.
In questi giorni in Russia viene avviato un esperimento sociale interessantissimo, il quale può arrivare, con una buona probabilità, anche in Europa.
La catena re:Store — il distributore ufficiale dei prodotti della Apple in Russia — ha lanciato un nuovo servizio: la possibilità di noleggiare gli iPhone. Tale opzione si applica a tre versioni dell’ultimo modello (l’iPhone 11) e alle due versioni del modello precedente (l’iPhone XS). Le condizioni non sembrano particolarmente vantaggiose: per 12 mensilità di utilizzo si pagherebbero tra l’80% e il 90% del prezzo d’acquisto. Mentre l’acquisto dell’apparecchio già noleggiato costerebbe addirittura circa un quinto in più rispetto al prezzo normale.
Chi osserva almeno in modo superficiale la politica produttiva della Apple, sa bene che ogni anno esce un nuovo modello dell’iPhone. Ma non tutti gli amatori del marchio sono economicamente in grado di aggiornare il proprio apparecchio con tale periodicità. Allo stesso tempo, più o meno tutti sanno che nel mondo è largamente diffusa la tendenza di apparire, agli occhi degli altri, più ricchi di quello che si è. Addirittura, meno una persona è abbiente, e più tende a spendere gli ultimi soldi per gli oggetti costosi (in una certa misura potrebbe essere anche una forma di autoinganno). Mentre i «ricchi» semplicemente comprano le cose che piacciono, indipendentemente dal prezzo.
Ecco, ora in Russia è un po’ più facile apparire ricchi. Ma anche ingannare se stessi.
L’Europa, dunque anche l’Italia, non ha alcun modo si sfuggire a questa moda. Di conseguenza, trovo altamente probabile che in breve qualcuno tenti di esportarla.
P.S.: ovviamente invito tutti ad agire in modo razionale anche nell’ambito degli acquisti. Il telefono, come la maggioranza degli altri oggetti, è prima di tutto uno strumento. Uno strumento che ognuno sfrutta nei limiti delle proprie capacità e fantasia.
Pochi europei sanno (o si ricordano, qualora si trattasse delle persone una volta particolarmente informate) che negli anni ’20 e ’30 del XX secolo in URSS fu molto diffusa una particolarissima pratica di scegliere i nomi per i neonati. I giovani genitori, entusiasmati dalla costruzione di una nuova società sui resti del territorio dell’ex impero russo, iniziarono infatti ad assegnare ai propri figli dei nomi «rivoluzionari». Tali nomi poterono essere:
– delle abbreviazioni (per esempio, Mels – un nome maschile che sta per Marx, Engels, Lenin, Stalin);
– degli acronimi (per esempio, Idlen – un nome femminile che sta per «le idee di Lenin»);
– delle parole già esistenti, ma in qualche modo associabili con la rivoluzione (una cugina della mia nonna materna, per esempio, fu chiamata Kranyi Mai – traducibile in italiano come Maggio Rosso; dopo avere raggiunto la maggiore età ha finalmente cambiato il nome per uno tradizionale).
Nel periodo compreso approssimativamente tra il 1993 e il 1996 si era poi verificato un fenomeno simile, ma notevolmente meno diffuso, statisticamente quasi impercettibile: chiamare i figli con dei nomi come Democrazia, Costituzione etc.
Negli ultimi vent’anni, poi, mi sembrava di avere delle notizie sulle nuove tendenze del genere. Forse nemmeno dei casi singoli…
Ma ecco che è successo! La settimana scorsa una coppia di Naro-Fominsk (una cittadina a sudovest di Mosca) ha chiamato il proprio figlio Putislav. Sostengono che sia un antico nome slavo composto dalle parole put (via) e slava (gloria).
Uno che segue la via gloriosa?
Mah, è evidente che sottintendevano qualcosa di diverso… E mi fanno particolarmente arrabbiare i genitori che considerano i propri figli dei giocattoli: «noi ora ci divertiamo e chissenefrega come affronterà lui le conseguenze». Infatti, l’epoca del «glorioso», prima o poi, finirà. Anche la «gloria».
P.S.: però anche in Italia mi è capitato di conoscere delle persone con dei nomi stranissimi.