Non ne ho trovato una conferma ufficiale, ma per dei motivi abbastanza ovvi posso immaginarlo anche da solo: questo settembre a Milano non si svolgerà l’annuale «Missione culturale russa». Di conseguenza, non ci sarà nemmeno la tradizionale proiezione dei film russi di qualità usciti negli ultimi anni. Ma questo non significa che non posso consigliarvi, anche quest’anno, qualcosa di bello da vedere (in generale, è da un po’ che non lo faccio).
In primo luogo, ricorderei a tutti i due film di Kantemir Balagov: il bellissimo «Tesnota» del 2017 e il bel «La ragazza d’autunno» del 2019. So che sono stati proiettati nei cinema italiani, ma non vorrei che ai tempi qualcuno li abbia persi. Soprattutto il primo.
In secondo luogo, potrei consigliarvi il buon thriller del 2008 «The Ghost»: so di certo che è disponibile con i sottotitoli in inglese (cliccare sulla «rotella» in basso a destra del player di YouTube e scegliere l’opzione dei sottotitoli), ma potete anche provare a cercarlo doppiato.
In terzo luogo, aggiungerei la stranissima commedia «The Monk and the Demon» del 2016 (sempre con i sottotitoli in inglese). Questo film sembra essere fatto di due parti di qualità non uguale (in parte a causa di un budget molto ridotto), ma complessivamente è un film interessante.
Ecco, per questa volta è così. Spero che la situazione epidemiologica migliori notevolmente per l’autunno prossimo, permettendo dunque di doppiare e mostrare sullo grande schermo alcuni interessanti film più recenti.
L’archivio della rubrica «Russia»
Come avevo probabilmente già scritto, non mi piace interrompere a metà il trattamento degli argomenti importanti. Così, per esempio, non posso non aggiungere un aggiornamento di rilevanza fondamentale a quanto avevo scritto la settimana scorsa sull’avvelenamento del politico russo Aleksej Navalny.
In una dichiarazione per la stampa il Governo tedesco (Navalny si trova in una clinica tedesca) ha dichiarato ieri che nell’organismo di Navalny sono state rilevate le tracce di un agente nervino simile al tristemente noto «Novichok».
Aggiungo anche il link al comunicato ufficiale.
Da questa notizia possiamo trarre solo una, ma importante conclusione: l’avvelenamento di Navalny è stata una opera dello Stato. Perché gli agenti nervini non si vendono nei negozi specializzati o mercati cittadini.
Ma non penso che la semplice conclusione appena riportata costituisca una grande notizia per la maggioranza dei miei lettori.
Ho sempre dubitato della opportunità di scrivere sulle questioni puramente interne russe, ma, relativamente spesso, i mass media e i social network occidentali mi suggeriscono che ci sarebbe un certo interesse verso alcune questioni…
Questa volta il punto di partenza è noto a molti: la mattina del 20 agosto l’oppositore russo Aleksej Navalny, mentre era sul volo di ritorno da Tomsk verso Mosca, si è sentito molto male. L’aereo ha dunque fatto un atterraggio a Omsk per permettere il ricovero di Navalny in reanimazione di un ospedale locale.
Ecco, a questo punto andrebbero precisati alcuni aspetti importanti.
Aleksej Navalny poteva essere stato avvelenato intenzionalmente? Sì, poteva.
Su mandato di chi poteva essere stato avvelenato Aleksej Navalny? Su mandato di qualche noto politico o grosso imprenditore vicino a quel noto politico.
Perché Aleksej Navalny è stato avvelenato proprio ora? Per due motivi strettamente connessi tra loro. Il primo motivo: il 13 settembre in molte zone della Russia (regioni, province e città) si vota alle elezioni amministrative (il viaggio di Navalny in Siberia aveva per l’obiettivo la preparazione del suo network politico proprio a quelle elezioni). Il secondo motivo: un noto politico russo e la sua squadra hanno molta paura dello «scenario bielorusso», quindi delle forti manifestazioni popolari in seguito alle nuove truffe elettorali (è noto che Navalny sa percepire e sfruttare molti sentimenti popolari, quindi anche l’ammirazione verso il coraggio di un popolo geograficamente vicino e culturalmente abbastanza simile).
I timori del noto politico e della sua squadra sono giustificati? Sì, ma solo fino a un certo punto. Infatti, non si sono ancora resi conto del fatto che le proteste bielorusse non hanno per l’obiettivo la difesa di un concreto candidato di opposizione. Quelle proteste nascono dalla insoddisfazione accumulata nei decenni per la permanenza e l’operato della stessa persona al potere. Di conseguenza, quelle proteste non hanno un leader e non ne hanno nemmeno bisogno. L’umore politico della popolazione attiva russa è molto simile, quindi l’eliminazione di Aleksej Navalny peggiora e non migliora il clima di «pace e tranquillità».
Il noto politico e la sua squadra avevano l’intenzione di uccidere Aleksej Navalny? Non penso. Ci sono dei modi molto più efficaci di uccidere una persona indesiderata: vi rimando, per esempio, alla uccisione di Boris Nemtsov (nel caso della quale, ricordo, le «indagini» si sono fermate alla condanna degli esecutori scelti apparentemente quasi a caso). Mentre Aleksej Navalny e le persone vicine a lui andavano spaventate fortemente, molo fortemente. L’eventuale morte di Navalny avrebbe costituito solo un effetto collaterale verso il quale la classe dirigente attuale avrebbe provato una totale indifferenza: la vita delle persone non appartenenti alla cerchia non vale.
Perché per molte ore è stato ostacolato l’ingresso della moglie di Aleksej Navalny nell’ospedale di Omsk? Non è solo una questione di un ordine arrivato da Mosca o di una grave insensibilità dei medici dell’ospedale. Purtroppo, è anche una applicazione letterale di una legge federale russa del 2011. In base a quella legge, in sostanza, ogni paziente è la «proprietà» dell’ospedale. Per esempio, la moglie (o il marito) non è considerata una parente, ma solo un membro di famiglia: «per default» non può accedere. Mentre per una qualsiasi azione del personale medico e amministrativo dell’ospedale è necessario il consenso diretto ed esplicito del paziente; se tale consenso non può essere espresso, decide il personale di cui sopra. A meno che non ci sia una delega scritta firmata precedentemente dal paziente. Tale legge, però, merita un commento serio a parte.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono opposti al trasferimento di Navalny nella clinica tedesca attrezzata decisamente meglio? Per ora è possibile rispondere solo con una ipotesi: perché sono stati obbligati a farlo. Infatti, nella medicina contemporanea non esiste più il concetto del «paziente non trasportabile». E poi, c’è chi ipotizza che il rinvio del consenso al trasferimento di Navalny sia stato dettato dalla necessità di aspettare la decomposizione di alcune sostanze nel suo organismo.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono rifiutati di diffondere qualche notizia sullo stato di salute di Aleksej Navalny e, eventualmente, sulle cause delle sue condizioni? Perché hanno diffuso dei comunicati spesso strani e contraddittori? Si riveda l’inizio della risposta precedente.
È corretto accusare direttamente il noto politico? E che c…, nominiamolo pure per nome: Vladimir Putin. Sì, possiamo accusarlo. Poteva anche non essere stato lui ad alzare la cornetta e dire: «Raga, domani avvelenate quel tipo che mi ha rotto!» Però ha creato e coltivato per oltre vent’anni un sistema dove gli avvelenamenti del genere – e non solo – accadono con una certa frequenza.
Sottolineo, infine, che il reale grado di popolarità di Aleksej Navalny in Russia non è l’argomento del presente post. Ricordo solo che è uno degli oppositori più noti e discussi.
Qualcuno poteva avere letto, ieri, dell’annuncio di Putin: la Russia ha registrato il primo vaccino al mondo contro il Covid-19. Penso che sia evidente più o meno a tutte le persone mentalmente sane: si tratta solo di una auto-pubblicità politica, di un tentativo di mostrare la propria superiorità sull’Occidente ostile in un argomento molto risentito. Le persone poco informate della attuale stilistica politica russa lo possono capire almeno dalle tempistiche e dalla segretezza totale (sottolineata più volte dalla comunità scientifica mondiale) che hanno accompagnato la «creazione» del «vaccino» russo.
Evito le valutazioni del gesto di Putin.
Trovo invece molto più interessante e utile sottolineare alcuni principi universali che debbano essere necessariamente chiari più o meno a tutti gli umani mentalmente sani.
Prima di tutto bisogna ricordare che la creazione di un nuovo vaccino sicuro, efficace e accessibile a larghe fasce di popolazione richiede anni. Ripeto: anni. Non so da dove saltino fuori le leggende del tipo «il primo vaccino entro la fine del 2020» o «tra un anno». I medici con i quali mi capitato di parlare e gli scienziati i cui articoli mi è capitato di leggere negli ultimi mesi sostengono che nel migliore dei casi ci vorrebbero 5 anni. Con tantissima fortuna si potrebbe farcela anche in 3 anni, ma sembra poco realistico. Non penso che sia necessario rispiegare i motivi già ben noti a tutti: oltre alla ricerca della formula del vaccino, è necessario svolgere anche dei lunghi test e poi trovare il modo di produrre velocemente tanti dosi a un costo ragionevole.
In secondo luogo, potremmo chiederci se, considerati i tempi di cui sopra, il vaccino contro il Covid-19 sia realmente necessario. La risposta è affermativa. Perché? Perché tra 3 o 5 anni il Covid-19 – lo dobbiamo almeno sperare – non ci sarà più per dei motivi naturali, ma la base scientifica acquisita grazie alla ricerca del vaccino sarà molto utile alla umanità intera.
In terzo luogo, dobbiamo necessariamente diffidare di ogni vaccino creato in pochi mesi o anni. Infatti, nel peggiore dei casi un vaccino non testato attentamente può danneggiare la salute della persona. E nel migliore dei casi non farà alcun effetto medico, ma darà alla persona la pericolosa illusione della protezione dal coronavirus. La seconda opzione, al giorno d’oggi, speso vale anche per i guanti e le semplici mascherine. A questo punto, molto probabilmente, mi conviene sottolineare: io non sono un anivaccinista e non lo sono mai stato.
In quarto luogo, ricordiamoci di una cosa banalissima ma sempre vera: il vaccino non è una cura. Quindi è utile solo se fornita alla persona ancora sana ma desiderosa di prevenire la malattia. Alle persone già affette dal coronavirus servirebbero altri farmaci.
A questo punto dovrei scrivere una specie di conclusione, una frase risolutiva. Ma io non ce l’ho quella frase.
Quindi, semplicemente, vi invito a non dare troppa attenzione né alla gente isterica né agli ottimisti spensierati. La serenità ci aiuterà a superare tutte le prove.
Come forse avete già letto o sentito, il 1 luglio in Russia si è conclusa la settimana della votazione sulla «riforma costituzionale». Si è trattato di una manifestazione ben lontana dal costituzionalismo e dal diritto elettorale, quindi è assolutamente condivisibile il suo nome popolare: il voto sull’azzeramento di Putin. Infatti, l’obiettivo principale della «riforma» è stato quello di permettere a Vladimir Putin di non conteggiare i mandati presidenziali già ottenuti (azzerarli, appunto) e candidarsi altre due volte alla Presidenza. Di conseguenza, se la natura non dovesse intervenire prima, Putin dovrebbe rimanere alla carica almeno fino al 2036.
A questo punto avrei potuto scrivere un lungo post sul livello dei brogli eccezionale pure per la Russia degli ultimi 24 anni. Secondo i dati ufficiali, la partecipazione al voto sarebbe stata del 67,97%, il «sì» alla riforma avrebbe raccolto il 77,92%, mentre il «no» il 21,27%. I matematici hanno già calcolato che il livello reale del «sì» sarebbe attorno al 30%, ma questo è uno dei dettagli che dovrebbero interessare soprattutto ai cittadini russi.
Ai miei lettori italiani comunico solo che i risultati ufficiali di vari seggi corrispondono – con una precisione «sorprendente» – alle attese del Cremlino collettivo:
Quindi torniamo alla vita reale quotidiana che, nonostante tutto, continua. In assenza delle reali alternative pacifiche alla situazione creatasi, la gente tenta ancora di riderci sopra come può. Per esempio, la Costituzione russa del 1993 è già stata inserita nel famoso Continuare la lettura di questo post »
Alcuni di voi hanno probabilmente già letto della condanna per spionaggio dell’americano Paul Whelan in Russia. A me, nei mesi precedenti, era capitato di leggere alcuni articoli russi dedicati al suo caso, ma nonostante ciò non ho ancora capito una delle cose fondamentali: cosa avrebbe «spiato»?
In realtà, però, il motivo primario della condanna è di carattere politico: creare un ennesimo ostaggio da scambiare con qualche russo condannato all’estero (in questo specifico caso negli USA). Purtroppo, si tratta ormai quasi di una prassi. Ed è la cosa più importante che bisogna capire sul caso concreto.
Allo stesso tempo – per la fortuna della maggioranza dei miei lettori abituati a viaggiare – il suddetto modo russo di relazionarsi con l’estero non si applica all’Europa continentale. Esistono (per ora) altri mezzi di esercitare la pressione.
Dato che solitamente non mi piace lasciare le notizie prima della fine definitiva, ora posso aggiornarvi.
Si è avverata una delle ipotesi più «quotate»: la parata militare russa per la vittoria nella Seconda guerra mondiale quest’anno si terrà il 24 giugno. Ieri pomeriggio lo ha annunciato Putin in prima persona.
Coloro che non avessero capito il perché di questa mia comunicazione, rileggano pure il post del 9 maggio.
Io, intanto, passo a un altro prognostico: è molto probabile che lo stesso 24 giugno si tenga anche l’interrogazione popolare sulla riforma costituzionale russa (l’obiettivo più grande della quale è l’azzeramento dei mandati presidenziali di Vladimir Putin). Purtroppo, non è possibile utilizzare un termine tecnico giuridico per quella «votazione», come non ha nemmeno senso commentare seriamente quella «riforma» un po’ assurda. Ma a qualcuno (a chi? ahahaha!) serve l’illusione della larga approvazione popolare, quindi si potrebbe anche chiedere di esprimerla in un clima di «festivo». Certo, legalmente la data delle elezioni va proclamata 30 giorni prima, ma per una persona azzerata si possono anche fare delle eccezioni…
Una data alternativa potrebbe essere il 26 luglio: il giorno della parata navale. Questa, però, sembra meno simbolica e non particolarmente significativa nell’ottica della quarantena che è ancora in corso in Russia. Infatti, nei giorni scorsi alla Duma è stata fatta approvata una norma che consente di votare in qualsiasi «luogo di permanenza» (anche diverso dalla residenza) invitando una commissione elettorale mobile o per corrispondenza.
In ogni caso, è evidente che l’obiettivo sarebbe quello di evitare il giorno unico elettorale di settembre, quando i seggi elettorale saranno sotto la stretta sorveglianza degli osservatori dell’opposizione.
Oggi, il 9 maggio 2020, sulla Piazza Rossa non ci sarà la tradizionale – e largamente nota per la sua portata quantitativa – parata militare dedicata alla vittoria nella Seconda guerra mondiale. Non ripeto il racconto sul perché della data: volendo lo potete rileggere in qualsiasi momento. Io, invece, oggi mi concentro sul fenomeno della parata.
La prima parata militare dedicata alla vittoria sulla Germania nazista si svolse sulla Piazza Rossa nel 1945, ma il 24 giugno quando a Mosca arrivarono alcuni ufficiali sovietici per la partecipazione e alcune bandiere naziste da buttare simbolicamente sotto le mura del Cremlino.
Dopo quella occasione, per vent’anni non c’era stata alcuna parata per il Giorno della Vittoria. Iosif Stalin prima e Nikita Chruščëv dopo si ricordavano troppo bene di quanto era costata la vittoria del 1945 e di quanto era stata miracolosa la loro permanenza al potere dopo il ritorno delle truppe sovietiche dal fronte. In particolare, Stalin temeva – non senza ragione – che i militari, organizzati e ormai ben allenati, appena tornati dall’Europa libera potessero decidere far crollare anche il regime casalingo. Per la fortuna di Stalin non era successo, ma la gente comune aveva comunque i ricordi freschi di tutti i disastri della guerra, compresi quelli verificatisi per merito dello Stato proprio. Continuare la lettura di questo post »
Stamattina il Ninistero degli Esteri russo ha pubblicato un comunicato un po’ particolare sulla propria pagina di Facebook.
In quel comunicato si racconta che oggi, in attuazione del Decreto presidenziale russo – firmato da Vladimir Putin il 13 giugno 2019 – il leader nordcoreano Kim Jong-un è stato decorato con la medaglia russa «75 anni della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica 1941–1945». La medaglia e il relativo certificato sono stati consegnati al Ministro degli Esteri nordcoreano da parte del rappresentante diplomatico russo.
Leggendo questa notizia possiamo porci alcune domande. Per esempio: perché questo gesto diplomatico è stato deciso con l’anticipo di quasi un anno? Oppure: cosa c’entra il relativamente giovane (manca la certezza sulla età reale) politico della Corea del Nord con la porzione russa/sovietica della Seconda guerra mondiale? Oppure ancora: perché non è stato cercato il modo – anche posticipato – di consegnare la medaglia personalmente, dalle mani di Putin direttamente sul petto spazioso di Kim?
La terza domanda è quella più vicina al fatto che ci deve interessare veramente tanto. Avremo mai l’occasione di vedere Kim Jong-un con questa nuova decorazione? Potrebbe essere una bella dimostrazione della sua presenza tra i viventi.
Boh, aspettiamo e osserviamo.
Come se nel mondo odierno non fosse già troppa la tristezza, oggi abbiamo un anniversario particolarmente triste. Il 22 aprile 1870 – 150 anni fa – nacque Vladimir Lenin.
Se io fossi un po’ più convinto del ruolo del singolo nella storia, oggi avrei pubblicato un lungo testo su come Lenin sia stato uno di appena due personaggi che sono riusciti a cambiare il corso della storia nel XX secolo. Ma mi concedo il tempo per formulare meglio l’esposizione dell’idea: quando sarà realmente pronta, sarà interessante e utile pubblicarla anche senza il pretesto di una data storica concreta e/o numericamente bella.
Nel frattempo ribadisco un’altra mia idea della quale sono decisamente più convinto. La data storica realmente triste è quella in cui Uljanov-Lenin decise – se si possa parlare di una decisione presa in un momento determinabile – di dedicarsi più alla attività politica che alla professione forense. Quindi sfrutto l’occasione per ricordarvi il mio vecchio (e un po’ lungo) testo dedicato al fatto che Lenin ebbe delle buone possibilità di diventare un buon avvocato. In un modo o nell’altro, il progresso sociale nel mondo si sarebbe verificato anche senza di lui, per la normale evoluzione delle cose. Mentre i suoi contemporanei avrebbero guadagnato qualcosa in più.
Ma egli preferì soddisfare le proprie ambizioni in un ambito sbagliato.
Non posso ricordarlo con delle buone parole.