A volte, da qualche parte nel mondo, capitano anche delle notizie buone.
Ieri, per esempio, la polizia della provincia di Arkhangelsk ha finalmente deciso di archiviare le indagini e, quindi, non proporre una sanzione amministrativa nei confronti dei pupazzi di neve giustiziati a gennaio (e nemmeno nei confronti dei una loro vicina di casa umana). Dopo un mese e mezzo di lavoro pesante nello studio di un caso importantissimo per le sorti dello Stato, i poliziotti si sono guadagnati un po’ di riposo.
Vi informo di tutto questo perché eravate sicuramente preoccupati per tutti i protagonisti di quella vicenda…
L’archivio della rubrica «Russia»
Lo scrivono pure i giornali italiani: ieri l’UE e gli USA hanno adottato – in risposta alla persecuzione dell’oppositore Alexey Navalny – delle sanzioni contro alcuni alti funzionari russi.
In merito a tale notizia il concetto fondamentale da sapere è semplice: tutte le sanzioni del genere sono completamente inutili. Infatti, la grande maggioranza dei personaggi direttamente interessati non viaggia all’estero da anni (salve le rarissime, eccezionali, visite di lavoro presso alcune organizzazioni internazionali), tiene la maggioranza delle proprie ricchezze nelle banche russe (Vladimir Putin si è impegnato per anni a convincerli) e, allo stesso tempo, non ha alcun motivo di preoccuparsi per i parenti eventualmente residenti negli Stati occidentali. Di conseguenza, tutti i funzionari «sanzionati» non si sentono assolutamente scomodati.
Di fronte a tale situazione potremmo chiederci: perché l’UE e gli USA hanno adottato delle sanzioni del genere? Non si saranno accorti già nelle situazioni precedenti che tale modo di fare non produce alcun effetto? Ecco, in realtà la risposta è semplice: le sanzioni del genere vengono regolarmente adottate solo per mostrare la posizione dei leader occidentali nei confronti della politica russa (di solito quella internazionale, ma da poco anche quella interna). Allo stesso tempo, però, non si capisce quali altri obiettivi si vorrebbe raggiungere con l’uso dello strumento politico chiamato «sanzioni». E in assenza degli obbiettivi precisi vengono logicamente inventati degli strumenti inutili. Inoltre, è abbastanza evidente l’impossibilità di inventare delle sanzioni efficaci e, in contemporanea, continuare a comprare le risorse naturali (necessarie per il funzionamento della propria economia) e a evitare di colpire i cittadini comuni della Russia.
A questo punto non mi resta altro che constatare: è assolutamente normale la situazione in cui i politici siano più preoccupati per gli interessi nazionali che per i problemi interni di uno Stato lontano. Così, anche la Russia risolverà i propri problemi interni senza ricorrere all’aiuto esterno. Sarà una cosa bellissima nella sua normalità.
Non penso che ci sia il bisogno di presentare il protagonista del post di oggi. Quindi passo subito al pretesto che mi permette di scriverne.
Oggi Mikhail Gorbachev compie 90 anni.
Oltre a fare gli auguri (come se ci fosse anche una minima probabilità che egli se ne accorga), colgo l’occasione per ricordare quel falso mito che viene associato al nome di Gorbachev un po’ in tutto il mondo. Infatti, mi è capitato di sentire da molte persone – provenienti non solo dalla Russia o dall’Italia – delle frasi del tipo «Gorbachev ha fatto crollare l’URSS». Mah… se il lavoro di un anatomopatologo fosse sempre considerato la causa di morte, ci troveremmo oggi in un mondo abbastanza strano.
Il problema sta nel fatto che Gorbachev è stato un anatomopatologo che ha tentato di fare il lavoro di un rianimatore. Attraverso una serie di misure / riforme di vario genere (alcune sensate e alcune un po’ meno) Gorbachev ha tentato – con un grado di successo che ormai non ha più senso di commentare – di rianimare un grosso cadavere puzzolente e di colore viola, dimenticandosi (?) del problema principale: il corpo sul tavolo non aveva più alcuna ragione di vivere. Per un periodo abbastanza lungo, più o meno fino alla metà degli anni ’60, nell’URSS rimaneva ancora almeno una illusoria credibilità della ideologia statale. Di quella ideologia che era ancora capace di caricare molte persone di entusiasmo, di convincere che si stia costruendo un mondo migliore, «più giusto». Ma di fronte alla evidente realtà tutte le illusioni prima o poi svaniscono. Assieme a loro viene automaticamente meno anche la motivazione di mantenere in piedi ogni genere di entità che da quelle illusioni venivano motivate a funzionare e svilupparsi. Vale per le compagnie di amici, squadre sportive, aziende, Stati etc.
Mikhail Gorbachev non ha saputo, non ha voluto o non si è accorto di dover (sottolineate pure quella che preferite) rinnovare l’aspetto ideologico dell’URSS per proporre alle persone comuni e ai dirigenti locali qualche nuova (magari meno scadente, più attuale per quei tempi) motivazione alla futura vita comune. Di conseguenza, in occasione del tentato colpo di Stato nell’agosto del 1991 – quando alcuni vecchi gerarchi sovietici avevano tentato di difendere lo status quo a loro tanto conveniente – molte persone avevano capito: la scelta tra il passato noioso (da vomito) e il futuro nebbioso (ma forse migliore) va fatta ora. Il risultato è noto. Ma allo stesso tempo in molti preferiscono dimenticare che Mikhail Gorbachev aveva assistito al realizzarsi di quella scelta da prigioniero in una residenza in Crimea.
Mikhail Gorbachev è forse quel governante russo (nel senso largo del termine) degli ultimi trentacinque anni di storia, nei confronti del quale ho meno parole negative da dire o scrivere.
E quindi gli faccio serenamente gli auguri.
P.S.: per levare ogni dubbio, preciso: sono infinitamente felice che almeno l’URSS non esista più.
Per fortuna a volte arrivare anche delle notizie tendenzialmente positive legate alla Russia. Così, per esempio, il martedì 2 febbraio gli sviluppatori del vaccino russo contro il Covid-19 hanno finalmente pubblicato i risultati della terza fase della sperimentazione. La pubblicazione merita di essere presa in considerazione almeno perché è avvenuta su «The Lancet», la rivista medica più autorevole del mondo.
Studiando i dettagli della sperimentazione del Sputnik V, possiamo trovare alcune importanti risposte ai vecchi dubbi, ma anche constatare di non avere ancora tutte le informazioni.
In sintesi, le informazioni rassicuranti pubblicate nel suddetto articolo sono le seguenti. La terza fase della sperimentazione è stata eseguita su venti mila persone. L’efficacia del vaccino dimostrata è del 91,6%, quindi è di un livello simile a quello dei vaccini di Pfizer (92–95%) e Moderna (94%). I casi di ricovero in ospedale dei volontari partecipanti alla sperimentazione erano rari: in particolare, si tratta del 0,4% delle persone che hanno ricevuto il placebo e del 0,2% delle persone che hanno ricevuto il vaccino testato. Non ci sono dei motivi per sostenere che il ricovero sia in qualche modo legato alla sostanza somministrata. Quattro partecipanti ai test sono deceduti, ma si riesce a legare la loro morte alla sperimentazione in corso.
Il campo delle informazioni mancanti sullo Sputnik V in parte coincide con quello riguarda anche gli altri vaccini già in fase di somministrazione: per esempio, non si quanto possa durare la difesa dal coronavirus. Inoltre, si sospetta che un vaccino basato sui vettori adenovirali (come lo Sputnk V, appunto) non possano essere somministrati più volte (almeno in un periodo medio-breve) per uno specifico comportamento del sistema immunitario. Non si sa, poi, quanto lo Sputnik V sia efficace contro la malattia «asintomatica» (saperlo è importante per capire se questo vaccino si limita a ridurre la quantità di malati gravi oppure è anche in grado di rallentare la pandemia). Allo stesso modo, non si conosce l’efficacia dello Sputnik V contro le diverse varianti del Covid. Infine, è da ricordare che i test sono stati eseguiti solo in Russia, quindi su un insieme di persone meno rappresentativo di quanto avrebbe potuto essere.
In ogni caso, se anche le sole informazioni forniteci dovessero essere vere, dovremmo essere più ottimisti che pessimisti. È sempre positivo avere una versione del vaccino in più che è capaci almeno di evitare la malattia grave. E, in ogni caso, i rischi legati alla malattia sono molto più gravi di quelli legati alla vaccinazione.
La cosa che non mi piace è la già evidente incapacità di produrre le quantità sufficientemente grandi dello Sputnik V. Rispetto ad esso, infatti, i vaccini americani ed europei vengono prodotti «con la velocità della luce».
Come avete già probabilmente letto o sentito da qualche parte, ieri l’oppositore russo Aleksej Navalny è stato condannato per tre anni e mezzo mesi di reclusione. Ma se non ci avete capito molto di quella notizia, è normalissimo. Vedersi assegnare lo status di ricercato per non avere rispettato l’obbligo di firma (anche se hai comunicato di trovarsi all’estero per le cure mediche dopo l’avvelenamento), essere fermato e trattenuto al rientro in base a un articolo del codice penale non applicabile al tuo caso (con il giudice che viene a sorpresa nel comando della polizia per convertire il fermo nell’arresto direttamente sul posto) e, infine, essere condannato alla detenzione per la suddetta questione delle firme (anche se lo Stato, rimborsandoti sull’ordine della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha già di fatto riconosciuto di averti condannato ingiustamente) è una sequenza di eventi difficilmente immaginabili per un europeo medio.
Un osservatore europeo medio che si interessa a ciò che accade in Russia deve invece capire un’altra cosa. Formalmente Aleksej Navalny dovrà scontare «solo» 2 anni e 8 mesi perché in precedenza aveva già passato 10 mesi ai domiciliari. Ma in pratica la durata della sua reclusione sarà diversa. In pratica la durata della sua reclusione sarà pari alla durata di permanenza di Vladimir Putin (ma anche di putin collettivo) al potere. Se va bene a Putin, il periodo sarà molto più lungo. Se va bene a Navalny, la liberazione è più vicina dell’ottobre 2023.
Io, nel frattempo, posso sperare in almeno due cose. In primo luogo, nonostante il brutto precedente, spero che le sfortune di Aleksej Navalny si limitino alla detenzione in carcere. In secondo luogo, spero che il destino dell’oppositore più attivo di Putin non finisca a dipendere solo dalla salute fisica di quest’ultimo.
L’immagine illustrativa del presente post è stata scattata ieri pomeriggio dal noto fotografo Dmitry Markov, fermato davanti al Tribunale nel quale veniva condannato Navalny.
Negli ultimi giorni anche alcuni giornali italiani hanno scritto delle proteste russe del 23 gennaio. E, soprattutto, hanno sottolineato l’atteggiamento della polizia nei confronti dei manifestanti.
«Per fortuna», però, l’atteggiamento della polizia russa può anche essere divertente nella sua elevata stupidità. Per esempio, ieri nel paesino Zachachye (nella provincia di Arkhangelsk) il poliziotto locale ha fatto un verbale ai puppazzi di neve che manifestavano pacificamente contro Vladimir Putin (con dei cartelli del tipo «Via lo zar» e «Vladimir, tra noi due è tutto finito»). Dopo la stesura del verbale i trasgressori della pace pubblica sono stati giustiziati distrutti.
Serenità e serietà…
Quello di oggi è un video lungo, di quasi due ore, che capita però in un periodo quando diversi miei lettori si trovano parzialmente bloccati in una zona «rossa» o «arancione» (o, semplicemente, in una condizione di particolare preoccupazione per la propria salute), quindi lo condivido con un po’ meno dubbi del solito.
L’ultima indagine di Aleksej Navalny e della sua FBK (Fondazione per la lotta contro la corruzione) per la prima volta nella storia pluriennale riguarda direttamente Vladimir Putin e non qualcuno della sua cerchia. Dal video che racconta quella indagine non si scoprono dei principi completamente nuovi sulla figura di Putin e/o sul funzionamento dello Stato russo (almeno per me), ma si ottiene e si perfeziona un ritratto psicologico della persona che insiste ad attaccarsi al potere da oltre vent’anni. A me sembra disgustoso anche dal punto di vista puramente estetico.
Il film ha i sottotitoli in inglese:
Il film è stato pubblicato il 19 gennaio e il pomeriggio del 23 gennaio aveva già quasi 69 milioni di visualizzazioni. Meno male che nel mondo odierno la gente ha la possibilità di mandare affanculo la propaganda statale e scegliere delle cose che la interessano realmente, ahahaha
Come da tradizione, il primo video domenicale dell’anno è quello del messaggio del presidente russo Vladimir Putin per l’anno nuovo (con i sottotitoli italiani). Non perché voglio sembrare un fan di questo funzionario — non lo sono! —, ma perché il contenuto di un discorso del genere è un importantissimo elemento di analisi politica.
Cosa posso dire di questo nuovo messaggio? Posso dire che è stato più lungo di tutti quelli precedenti e, allo stesso tempo, sempre privo di contenuti concreti. Indipendentemente dal nome di chi parla e dagli eventi della politica interna e internazionale ben noti a tutti, questa volta ogni Capo di Stato avrebbe avuto molto da dire ai propri cittadini. E, invece, abbiamo assistito, nel caso di Putin, a uno spettacolo per certi tratti molto simile a quelli precedenti e, allo stesso tempo, ancora più comico (o, se preferite, ridicolo) di prima. Così, abbiamo potuto osservare che Putin è ancora fissato con la Seconda guerra mondiale (se ha bisogno delle grandi vittorie di cui parlare, poteva ricordare anche la guerra contro Napoleone), parla dell’esempio datoci dai veterani di quella guerra (dobbiamo forse seguire l’esempio morendo tutti?) e non dice nulla di realmente positivo sulla attualità. Non dice nemmeno come pensa di aiutare ad affrontarla…
Ma è inutile riassumere tutto il discorso: potete sentirlo da soli. Avrei tradotto diversamente alcune parole, ma il senso generale si capisce comunque bene:
P.S.: devo dire che questa volta non mi ha entusiasmato nemmeno il discorso di Mattarella, ma questo è un altro argomento: non vorrei mischiare…
Ben 95 anni fa, il 21 dicembre 1925, fu proiettato per la prima volta nella storia il famoso film di Sergej Ejzenštejn «La corazzata Potëmkin» (la sede della proiezione fu il Teatro Bošloj).
Si tratta di un film molto apprezzato (almeno dalla critica, ahahaha) e studiato. Quasi nessuno, però, si rende conto del fatto che «La corazzata Potëmkin» è anche uno degli esempi più clamorosi della influenza di una opera d’arte sulla coscienza delle persone. Infatti, Ejzenštejn riuscì a convincere tutto il mondo che la nave «Knjaz Potëmkin Tavričeskij» (il nome completo) sarebbe stata veramente una corazzata. Mentre in realtà fu un cacciatorpediniere: un tipo di nave molto diverso. Le motivazioni artistiche che spinsero il regista a tale falsificazione tecnica sono ancora da scoprire (probabilmente, volle solo abbellire il titolo del film secondo qualche proprio criterio estetico?).
Intanto pure la Wikipedia ripropone l’errore in tutte le sue versioni linguistiche.
Questa settimana in Russia è nata una nuova barzelletta (o, se preferite, una meme): «i russi sono tanto duri da indagare sui propri omicidi».
L’origine della frase potrebbe essere già nota a coloro che si informano, almeno in qualche modo, della politica russa. Infatti, l’organizzazione investigativa FBK dell’oppositore Aleksej Navalny (quindi anche egli stesso), il portale investigativo russo online The Insider, il Bellingcat, la CNN e Der Spiegel hanno condotto le indagini sull’avvelenamento di Navalny di agosto (finalmente posso riprendere seriamente l’argomento) e sono giunti alla conclusione che il politico sia stato seguito, con l’intensità variabile dalla FSB a partire dal 2017. Ma, la cosa più importante, hanno stabilito i nomi di tutti i componenti della squadra degli agenti, i loro ruoli e mansioni, i loro spostamenti e alcune loro azioni, i nomi di quei tre di loro che hanno materialmente eseguito l’avvelenamento.
Ora non tento di riassumervi il risultato delle indagini ma consiglio, a tutti gli interessati, di leggere la fonte diretta. Per tutti coloro che, per qualche motivo, non vogliono uscire di casa sarà un bel passatempo per questo finesettimana.
Devo, invece, aggiungere un mio commento banale ma necessario. In un primo momento qualcuno potrebbe obiettare che, nelle condizioni normali, la pubblicazione di una indagine del genere (con i nomi e le accuse concreti) avrebbe avuto delle conseguenze legali sgradevoli per gli autori e per la vittima avvelenamento. Ma, purtroppo, non ci troviamo in una situazione normale. Prima di tutto, in una situazione normale nessuno sarebbe mai stato avvelenato da una arma chimica vietata, teoricamente distrutta anni fa e, in ogni caso, accessibile solo agli agenti statali. In secondo luogo, una indagine del genere non avrebbe avuto senso se lo Stato (sì, quello russo) avrebbe manifestato l’intenzione di svolgere le indagini ufficiali, credibili e con degli esiti che potremmo definire normali. In terzo luogo, una indagine del genere non avrebbe avuto la necessità di essere svolta in presenza di un sistema giudiziario indipendente e ben funzionante.
Ma, purtroppo, non ci troviamo in una situazione normale.