Il sito russo Habr (specializzato nell’offrire lo spazio per le discussioni in materia delle tecnologie dell’informazione e dell’internet) ormai da dieci anni organizza, ogni dicembre, un evento curioso: il «Ded Moroz anonimo». Tale evento consiste nello scambio di regali di Capodanno tra gli utenti del sito registrati. Ogni utente interessato a partecipare all’evento indica in una apposita form i propri nome reale e indirizzo postale, riceve i dati analoghi di un altro utente partecipante scelto a caso dal sistema (per inviare un regalo), sceglie e invia un regalo, e poi aspetta di ricevere un regalo da qualche altro utente (per il quale è stato scelto dal sistema). In questo modo tutti i partecipanti diventano degli autori di regali anonimi: infatti, non sanno da chi arriverà il regalo e, nella schiacciante maggioranza dei casi, non conoscono personalmente la persona alla quale hanno inviato il proprio regalo (e viceversa). Ogni autore di un regalo può sperare di indovinare il regalo o provare, furbamente, a cercare su internet il nome del destinatario assegnatogli per scoprire, eventualmente, i suoi interessi.
[A questo punto ricordo che in Russia i regali si fanno per il Capodanno invece che per il Natale; il personaggio folcloristico che porta i regali si chiama Ded Moroz (Babbo Gelo).]
L’idea di Ded Moroz anonimo mi sembra bella e simpatica, quindi mi dispiace un po’ che non esista anche in Italia: ricevere qualche regalo in più (ma pure farlo) è sempre positivo. Ma allo stesso tempo capisco che non tutti sarebbero disposti ad affrontare le difficoltà legali in materia di privacy, le quali sorgono ogni qualvolta ci si trova davanti alla necessità di raccogliere e gestire le informazioni personali (in questo caso indirizzi e nomi).
Spero che prima o poi gli amministratori di qualche sito famoso a livello occidentale trovino il modo di organizzare una cosa del genere.
L’archivio della rubrica «Russia»
Ieri mi sono quasi perso un anniversario bello: i 30 anni dalla firma dell’Accordo di Belaveža.
Ma proprio trent’anni fa, l’8 dicembre del 1991, i Capi della RSFSR (in sostanza, la Russia) e delle Repubbliche socialiste sovietiche bielorussa e ucraina — Boris Eltsin, Stanislav Shushkevich e Leonid Kravchuk — firmarono l’accordo di Belaveža, un documento in base al quale le loro Repubbliche uscirono dall’Unione Sovietica. Diciassette giorni dopo, poi, l’URSS cessò ufficialmente di esistere. Quell’evento era preceduto e, soprattutto, seguito dai tempi abbastanza difficili per le popolazioni di tutte le ex Repubbliche sovietiche, ci sono ancora un po’ di nostalgici (mai integrati nel mondo contemporaneo o con la memoria alterata) che vedono la firma di quel documento come la fonte di molti mali di oggi. Ma, obbiettivamente, è stata ormai una necessaria constatazione di morte di una entità territoriale inutile. Non mi dispiace per essa, come non mi dispiace per il rispettivo Stato di fatto morto ancora prima.
Se la politica interna (e in un certo senso pure quella estera) della parte più estesa dell’ex URSS non stesse stilisticamente tornando ai tempi antecedenti la firma del suddetto Accordo, avrei pure espresso il desiderio di dimenticare completamente — e felicemente — molte cose e guardare solo al futuro. Con l’Accordo di Belaveža si era tentato di darmi quella possibilità…
Insomma, per è un anniversario più positivo che negativo.
In alcune occasioni mi era già capitato di scrivere che la Duma (la Camera bassa del parlamento russo), come tutto il parlamento in generale, è solo un organo di ratifica delle decisioni prese in altre sedi… In realtà, prevalentemente in una sede particolare, ma ora non importa.
L’importante è che posso raccontare – a tutti coloro che non riescono a immaginare la portata del problema – di un esempio pratico freschissimo, accaduto ieri. La dirigenza del partito «Russia unita» ha deciso, all’unanimità, per l’espulsione dal partito del deputato Evgueni Marchenko. Quest’ultimo l’altro ieri si è permesso di votare contro la legge finanziaria in occasione della prima lettura (delle tre necessarie). In tal modo avrebbe violato lo statuto partitico che impone ai deputati l’obbligo di appoggiare la decisione collegiale del partito in qualsiasi questione. Uno dei dirigenti della «Russia unita» ha precisato che «nessun deputato si può permettere di votare contro una legge finanziaria basata sulle indicazioni del Presidente [della Russia]».
Bene, ora siete informati sul funzionamento della Duma infinitamente più di prima. E, probabilmente, siete un po’ più vicini alla comprensione delle mie difficoltà di fronte alle domande circa la presunta forza della opposizione nel parlamento russo.
Ah, forse dovrei aggiungere una foto di Evgueni Marchenko. Eccola:
Prima o poi vi racconto qualche altra storia analoga.
Una delle numerosissime serie di foto scattate a Yuri Gagarin poco dopo il suo ritorno dallo spazio può essere riassunta con questa immagine:
È inutile ricordare che il volo avvenne il 12 aprile 1961. È invece utile ricordare che la suddetta foto ritrae Gagarin, Nikita Chruščëv (lo vediamo a destra di Gagarin) e alcuni altri gerarchi sovietici che salutano la parata di festa dal mausoleo di Lenin in piazza Rossa… Ma sopra l’ingresso del mausoleo è visibile anche un altro cognome oltre a quello di Lenin: c’è pure quello di Stalin. Il corpo di quest’ultimo è stato «espulso» e seppellito più tardi, la notte tra il 31 ottobre e l’1 novembre del 1961 (quello fu l’unico – ma veramente geniale – festeggiamento del Halloween nell’URSS: il corpo imbalsamato di Stalin uscì in un luogo pubblico!).
Ecco: con l’avanzare della condanna ufficiosa della politica di Stalin, a molte foto come quella che apre il presente post è stata tagliata la parte inferiore (quella con il cognome di Stalin). Mentre dopo la destituzione di Chruščëv la figura di Gagarin è stata liberata pure dalla sua vicinanza politicamente scomoda.
Di conseguenza, la maggioranza delle persone relativamente giovani conosce solo le versioni ritagliate delle foto ufficiali di Gagarin appena tornato.
P.S.: il funerale di Stalin – già morto da oltre otto anni – avvenuto la notte del Halloween è un altro, divertentissimo, argomento che descriverò in un modo dettagliato più avanti. Forse tra un anno esatto…
Tre settimane fa avevo scritto delle fotografie a colori scattate nel Regno Unito alla fine degli anni ’20 del secolo scorso. In quello specifico caso si trattava del metodo chiamato autocromia (lo avevo descritto brevemente nel post): uno dei diversi metodi sperimentati all’epoca dai pionieri della fotografia a colori. Prima o poi scriverò anche di qualche altro metodo, mentre oggi pubblico qualche altro esempio dell’autocromia.
Questa volta vediamo le foto scattate all’inizio degli anni ’10 del XX secolo in Crimea (all’epoca faceva parte dell’Impero russo). L’autore è Petr Vedenisov: un nobile locale che oltre a essere un buon fotografo fu anche un bravo pianista.
La moglie di Vedenisov Vera, i loro quattro figli e la suocera di Petr Elena Basileva (1910):
Vera Vedenisova a Jalta (in Crimea) nel 1914: Continuare la lettura di questo post »
Dal registro della WHO risulta che sia ripartita la procedura di certificazione del vaccino russo contro il Covid-19 «Sputnik V» (lo trovate al numero 12, la seconda pagina del PDF).
Anche se il vaccino russo dovesse essere finalmente riconosciuto a livello internazionale, non cambierebbe molto per la salute pubblica planetaria. Infatti, negli Stati occidentali nessun cittadino mentalmente sano ha avuto dei problemi con l’accesso ai vaccini già esistenti, mentre la Russia non produce e non produrrà le dosi per l’esportazione (anzi, dai pochi dati statistici disponibili sembrerebbe che è incapace di produrre nemmeno le dosi necessarie per la propria popolazione).
Ci saranno invece dei cambiamenti positivi per la ripresa della economia globale: le persone già vaccinate con lo «Sputnik V» — che non solo i residenti in Russia — potranno ricominciare a circolare nel mondo, quindi anche portare i soldi. Bisogna temerli? Ormai no: le statistiche dicono che il vaccino russo non è peggiore di quelli applicati in Europa. Bisogna solo sperare di non beccare uno di quei no-vax russi che si sono comprati il certificato di vaccinazione senza farsi alcuna puntura, ahahaha
Ma, purtroppo, non è detto che sopravvivano fino al momento della riapertura dei confini…
Naturalmente, un comune lettore europeo non si interessa particolarmente della composizione della Duma (la Camera bassa del parlamento russo), ma — al massimo — di alcuni provvedimenti da essa approvati. Allo stesso tempo, potrebbe essere utile condividere con gli interessati alla politica estera un curioso dato statistico.
Ebbene, nella attuale Duma — eletta a settembre e insediatasi ieri — ben 88 deputati (su 450 totali) hanno avuto il proprio mandato perché il candidato «eletto» ha rinunciato all’incarico parlamentare: quasi un quinto. Per il regolamento, se un candidato eletto rifiuta il mandato, quest’ultimo passa al secondo classificato dello stesso partito. Ma questa volta nove mandati sono finiti, grazie a una sequenza di rifiuti, nelle mani dei terzi classificati, tre ai quarti classificati e uno al quinto classificato. Insomma, la strategia di candidare dei personaggi famosi e popolari per attirare un po’ di voti reali è stata sfruttata al massimo. Ma non si tratta di un record: nella Duma eletta nel 2011 c’erano stati 89 deputati «ripescati», mentre in quella del 2007 ce n’erano più di cento.
Ricordatevi la prossima volta che in Italia si ricomincia con la storia «ma chi lo ha eletto?!», ahahaha
L’immagine è stata aggiunta per il solo dovere di cronaca.
Probabilmente qualcuno aspettava da me un post sul Nobel per la pace assegnato – per metà – a Dmitry Muratov (il direttore di un giornale russo)… Boh, io non ho una grandissima voglia di farlo: da quando il suddetto Nobel è stato assegnato – nel 1994 – a un certo Yāsser ʿArafāt, anche la sola nomina alla premiazione è incompatibile con la mia concezione della morale. Di conseguenza, non capisco tutte quelle persone che «tifano» per dei personaggi realmente valorosi non ancora «insigniti» o fanno gli auguri ai «premiati». Se, per qualche strano motivo, il Nobel per la pace dovesse un giorno essere assegnato a me, inviterò il Comitato per il Nobel norvegese a metterselo nel culo. Sì, proprio in questi termini.
Tornando alla cronaca del 2021, devo ammettere di non sapere nulla della giornalista statunitense/filippina Maria Ressa – anch’essa premiata – semplicemente perché mi interesso poco della stampa filippina. Posso invece ricordare che Dmitry Muratov è ormai il quarto russo premiato con questa versione del Nobel: più o meno tutti si ricordano di Mikhail Gorbachev (1990) e di Andrei Sakharov (1975), ma quasi nessuno – nemmeno in Russia – si ricorda della geografa Olga Solomina (nel 2007, assieme ad altri membri del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).
Ma, soprattutto, Dmitry Muratov è un personaggio molto importante per il giornalismo russo contemporaneo. Dal 1995 a capo di uno dei pochi giornali di non-propaganda governativa rimasti in Russia. Non posso definirlo indipendente (perché, come tutti gli altri mass media, sopravvive solo perché lo Stato ha deciso di non chiuderlo), di opposizione (perché è di informazione) o del tutto ideale (troppo spesso capitano degli articoli palesemente pagati da qualche personaggio o ente interessato), ma complessivamente è uno dei pochi giornali russi che pubblicano ancora dei materiali seri. In tutti questi anni Muratov ha saputo quindi resistere: non diventare un coautore ben pagato della propaganda statale, riuscire a fare il possibile nelle condizioni in cui si trova, lavorare e fare lavorare tanti suoi colleghi, promuovere l’aiuto popolare collettivo a molte persone abbandonate dallo Stato nelle loro difficoltà quotidiane. Sicuramente ha dovuto accettare dei compromessi, come alcuni suoi colleghi direttori di altri media, ma io non sarei disposto a condannarlo.
Spero che prima o poi venga premiato in qualche modo molto più interessante del Nobel per la pace.
Qualcuno saprà già che oggi è il quindicesimo anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja (la giornalista russa uccisa davanti all’ascensore del suo palazzo moscovita il 7 ottobre 2006). Non mi è del tutto chiara la popolarità mediatica di livello mondiale esattamente di questo avvenimento della recente storia russa – tra i tanti non meno gravi e importanti – ma non intendo discuterne almeno oggi.
Oggi volevo ricordare a tutti gli interessati all’argomento che in base al Codice penale russo dopo 15 anni scadono i termini di prescrizione per i reati più gravi: tra questi ultimi c’è anche l’omicidio. Di conseguenza, proprio l’anniversario odierno è particolarmente piacevole per chi non è mai stato tanto soddisfatto della attività professionale di Politkovskaja ancora viva. Da oggi, infatti, c’è una scusa formale per non svolgere altre indagini, per non cercare più i reali esecutori e, soprattutto, i reali mandanti di quell’assassinio. Ovviamente, questo non significa che la conoscenza della verità sia diventata più lontana di quanto lo fosse già stata prima. Significa solo che oggi qualcuno è contento almeno quanto lo era 15 anni fa o, probabilmente, ancora di più. E noi, per sapere tutto, dobbiamo solo aspettare che perda il suo lavoro in quel castello…
Insomma, quello di oggi è uno degli anniversari più importanti. E io, cattivo che sono, non vorrei che qualcuno arrivi a «festeggiarne» altri.
P.S.: quanto appena detto non significa che io sia stato un fan di Politkovskaja (il suo «giornalismo» era secondo me troppo incline a generalizzare, a rappresentare, per esempio, tutti i ceceni come un insieme di bambini e anziani innocenti), ma in questa sede non importa. I proiettili sono delle pessime risposte ai testi.
Non ci vuole tanto a falsificare le elezioni politiche nel proprio Stato: ci sono le «forze dell’ordine» per chi si lamenta in casa e la magica frase «sono i nostri fatti interni» per chi si sorprende all’estero.
È invece molto più difficile regolare le proprie «questioni interne» all’estero: ieri la polizia inglese ha dichiarato di avere individuato il terzo responsabile dell’uso della sostanza Novichok a Salisbury nel 2018.
Da anni ormai non riesco a capire perché i servizi segreti russi vengano (ancora) visti come una specie del «marchio di qualità»: la parte «segreti» del proprio nome l’hanno persa quasi completamente…