Una delle domande più strane che mi capita di sentire costantemente negli ultimi giorni è quella sulla possibilità di una maggiore collaborazione tra la Russia e la Cina: secondo diverse persone i rapporti tra i due Stati dovrebbero intensificarsi dopo la quantità record delle sanzioni occidentali contro la Russia.
Devo tranquillizzare tutti: la Cina non fa regali. A nessuno. Gli ultimi vent’anni – più o meno – dei rapporti tra la Cina e la Russia hanno dimostrato alcune tendenze abbastanza chiare. Per esempio, la Cina (scrivo «la Cina» perché le decisioni importanti vengono prese dal partito al potere) concede i prestiti finanziari solo in presenza di precise garanzie. O, per esempio, partecipa alla realizzazione di grandi opere solo in presenza di garanzie circa un buon livello di redditività. O, ancora, non compra le materie prime a prezzi sconvenienti o in quantità superiori alle reali necessità (a qualcuno sembra strano anche questo? ahahaha). E, infine, non è fisicamente in grado di vendere alla Russia – come a qualsiasi altro Stato – quelle tecnologie che sono vietate alla Cina stessa.
Di conseguenza, la Russia non è, nelle sue condizioni attuali, un buon cliente per quella Cina che abbiamo conosciuto fino a oggi. Nel migliore dei casi la Russia potrà mantenere lo stesso livello di vendite delle materie prime (in questo contesto non è nemmeno rilevante riportare i numeri), ma non riuscirà a fare due cose:
1) attirare i capitali cinesi (non riuscendo a fornire garanzie a causa delle difficoltà dovute alle sanzioni);
2) continuare a essere un buon mercato per i produttori cinesi (a causa dell’impoverimento della popolazione e della uscita delle compagnie dei container dal mercato russo).
I rapporti tra la Russia e la Cina cambieranno. Molto probabilmente la Russia (il governo russo) cercherà di migliorare quei rapporti. Ma non vedo in quale modo la Cina possa salvare l’economia russa.
L’archivio della rubrica «Russia»
Meta (ex Facebook) permetterà agli utenti di Facebook e Instagram residenti in alcuni Stati di pubblicare le minacce e gli inviti alla violenza contro l’esercito russo. Inoltre, Meta non rimuoverà gli auguri di morte ai presidenti russo e bielorusso Vladimir Putin e Alexander Lukashenko. Alcuni paesi sono Armenia, Azerbaijan, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. La Bielorussia, per qualche motivo a me sconosciuto, non è presente sulla lista di «alcuni Stati». In ogni caso, nella situazione attuale quella della Meta è una decisione purtroppo comprensibile, probabilmente anche più di comprensibile. Mi pesa tantissimo scrivere una cosa del genere, ma allo stesso tempo so benissimo che le norme giuridiche e morali permettono a ogni singolo militare – indipendentemente dal suo grado – di rifiutarsi di eseguire gli ordini criminali.
Con molta più serenità, invece, posso scrivere che apprenderei non solo con comprensione, ma anche con gioia la notizia della eventuale cessazione di ogni forma di censura nel segmento russo di Facebook. Infatti, quella moderazione delle pubblicazioni su Facebook (ma in sostanza si tratta della censura) da anni avviene in una modalità perversa: un oppositore al regime di Putin pubblica qualcosa di serio e/o commentato in modo un po’ emotivo, qualche utente pagato appositamente dal Cremlino lo denuncia per «violenza», il Facebook banna l’oppositore per x giorni senza entrare nel merito del problema. I ban del genere avvengono con una buona regolarità da anni, non si è mai vista alcuna tendenza (anche minima) al miglioramento della situazione. Ma almeno ora Facebook potrebbe sfruttare l’occasione e introdurre una forma di sanzione contro la Russia: smettere di moderare (quindi censurare) il segmento russo del social. Per il governo russo sarebbe stata una misura in un certo senso sensibile, sicuramente sarebbe stato un elemento di disturbo.
Certo, a partire dal 4 marzo 2022 Facebook è formalmente bloccato sul territorio russo per il volere degli organi governativi, ma i russi continuano tranquillamente a usarlo con l’aiuto dei vari VPN. Certo, a partire dal 5 marzo 2022 in Russia si applica la legge sulla responsabilità penale per la diffusione pubblica di informazioni consapevolmente false sulle azioni dell’esercito russo (fino a 15 anni di reclusione se dici o scrivi che la Russia sta conducendo una guerra in Ucraina). Ma ci sono molti utenti di lingua russa che vivono fuori dalla Russia e che potrebbero dunque continuare a diffondere le informazioni veritiere.
Insomma, tutti i social della Meta hanno una buona occasione di contribuire alla lotta del bene contro il male.
Di solito non piace la pubblicizzazione dell’aiuto, indipendentemente dal destinatario, dall’autore e dalle motivazioni di quest’ultimo. La compassione e altri sentimenti altrettanto positivi dovrebbero essere tra le doti basilari di una persona e quindi non costituiscono un motivo sufficiente per comprarsi un po’ di auto-pubblicità. Per distinguersi tra gli altri bisogna andare oltre a essere solo una brava persona.
Ma ieri ho saputo di una delle rarissime eccezioni: tre famosi e popolari personaggi russi hanno organizzato una raccolta fondi a favore dei cittadini ucraini che in questo periodo stanno fuggendo dalla guerra voluta da Vladimir Putin. Tale proposta di raccogliere i soldi è rivolta ai cittadini russi e ha due obiettivi. Il primo obiettivo è ovviamente quello di aiutare le persone che ora si trovano in una delle peggiori difficoltà possibili. Il secondo obiettivo è quello di dimostrare ancora una volta a sé stessi e al mondo che la vera Russia è meglio del presidente che ha voluto macchiare con la propria scelta criminale e personale tutti i concittadini.
Ecco, io vi racconto della iniziativa «True Russia» proprio per questo motivo. Per ricordare ancora una volta che la guerra in Ucraina è stata avviata dalle persone che non rappresentano i russi normali. Mentre i russi normali esistono, non sono pochi, sono contrari a questa guerra e stanno cercando di fare qualcosa con i mezzi disponibili ma limitati.
Gli organizzatori della «True Russia» sono:
Boris Akunin, uno famoso scrittore russo (ma non sono sicuro che i suoi libri migliori siano stati tradotti in italiano). Attualmente vive tra l’UK e la Francia.
Mikhail Baryshnikov, ballerino e coreografo che sicuramente conoscete almeno per sentito dire. Attualmente vive negli USA.
Sergey Guriev, professore di economia all’Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) e l’ex chief economist all’European Bank for Reconstruction and Development (dal 2016 al 2019). Attualmente vive in Francia.
Ieri, l’8 marzo, Joe Biden ha annunciato il divieto dell’import del gas e del petrolio russi. Si tratta di una sanzione logica, ma dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti (così come il Canada) non sono l’importatore principale delle materie prime russe in questione. L’importatore principale è l’Europa…
Ed ecco la Commissione europea propone agli Stati membri una bozza del piano di rinuncia al gas e al petrolio russi «molto prima del 2030». In particolare, le misure proposte dovrebbero ridurre la dipendenza europea dal gas russo di due terzi già entro la fine del 2022. Ehm… Non sarei in grado di valutare – velocemente, almeno – se sia un piano realistico, ma supponiamo pure che lo sia. Anche questa sanzione è logica. Sarà, soprattutto, una sanzione molto sensibile per l’economia russa in generale e per l’economia personale di molti personaggi vicini a Putin. [Potrebbe rivelarsi sensibile anche per l’economia europea, ma la pace, la libertà e i principi umani hanno un costo: nella vita ci sono dei momenti in cui non bisogna cercare di sottrarsene.] Di conseguenza, si può dire che sarebbe una sanzione pienamente («la più», direi) azzeccata. Nell’attesa di una redazione più e meglio definita del piano (del quale si potrà discutere con più serietà), vorrei solo ricordare ai miei lettori un altro aspetto.
Il gas e il petrolio russi sono attualmente già colpiti da sanzioni che io chiamerei «indirette». Infatti, gli acquirenti europei – e non solo quelli europei – già oggi hanno paura o addirittura non possono pagare il gas e il petrolio russi. Perché si tratterrebbe di fare dei pagamenti in dollari o in euro alle aziende russe che si trovano sotto le recentissime sanzioni.
Comunque sia il piano europeo di cui sopra, speriamo che l’inverno prossimo sia caldo!
E ancora di più speriamo – io lo spero – che la situazione odierna si risolva presto.
Ogni sera, da alcuni giorni ormai, passando in piazza Duomo (a Milano) verso le 19:15, vedo questa piccola manifestazione contro la guerra in Ucraina. Si tratta di poche decine di persone (una trentina o poco più? boh, non si capisce molto) con una lunga bandiera ucraina e pochi slogan esclamati in italiano, in russo e in ucraino (a giudicare dall’accento, sono prevalentemente gli ucraini).
Un po’ mi dispiace che siano in pochi a manifestare, anche se capisco benissimo che la sera di un giorno feriale non è il momento ideale per aspettare una ampia partecipazione delle persone impegnate in quella vita quotidiana che rimane sempre importante per i singoli e per la collettività.
Allo stesso tempo, spero che un giorno si ripetano delle grandi manifestazioni che abbiamo visto in giro per il mondo nel fine settimana passato. Anche se osservando da anni il mondo posso constatare che la partecipazione alle manifestazioni può solo diminuire. Però qualche altra grande manifestazione sarebbe stata utile: perché una delle cose che infastidiscono maggiormente Putin è l’amore non condiviso da parte dell’Occidente (in tutte le sue forme, cominciando dalla comunità dei leader politici). Se il termine amore vi pare poco appropriato nel contesto delle relazioni internazionali, sostituitelo pure con l’amicizia. Ma la sostanza è la stessa: in oltre ventitré anni Putin ha percorso la strada da un politico orientato ai buoni rapporti con l’UE e la Nato a un politico che inizia una guerra di conquista in Europa proprio perché si sente – almeno a partire dal 2008 – una persona rifiutata. Una persona rifiutata dalla collettività la cui attenzione e benevolenza ha cercato di conquistare con tutta la sincerità e (oppure «ma»?) con tutti i modi a egli noti. Una persona rifiutata che ora si è arrabbiata e quindi tira le pietre contro le finestre chi lo ha rifiutato.
(Una tristissima curiosità: si dice che ora sarebbe depresso per il fatto che il suo esercito «liberatore» non sia accolto con gioia dagli ucraini!)
Ci vogliono – forse – diverse e intense manifestazioni per convincere definitivamente Putin o almeno una persona della sua cerchia (sì, ne basterebbe una ma coraggiosa) che non ha più senso insistere.
Non voglio certo dare dei suggerimenti agli avvocati del prossimo processo di Norimberga (spero che l’imputato principale sopravviva per essere presente fino alla fine), ma Putin avrà una interessante attenuante: è riuscito a scacciare dalle teste delle masse e dalle prime pagine dei mass media i resti del panico per il Covid-19.
Ma ha ampiamente esagerato con i metodi. Quindi è già diventato il protagonista di alcune copertine abbastanza gentili e diplomatiche:
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I numerosi «esperti» della politica internazionale amano appellarsi alla famosa citazione del generale e teorico militare prussiano Carl von Clausewitz:
La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.
Molto probabilmente l’autore di queste parole soffriva di una specie di malformazione professionale e tendeva, dunque, a elevare la guerra – il proprio ambito di studio – al rango dello strumento più importante tra quelli a egli noti.
Tutti gli altri, però, non dovrebbero sentirsi obbligati ad attenersi alla opinione di una sola, concreta, personalità vissuta secoli fa. Alle persone dotate di una minima capacità di analisi basterebbe ripensare alla storia mondiale – anche a livello delle conoscenze scolastiche – per accorgersi che la situazione reale sia di segno opposto alle parole di von Clausewitz: in realtà la politica a essere la continuazione della guerra. Infatti, tutti i governanti (Principi) si sono serviti della politica dopo avere vinto o perso una guerra. Nel primo caso non ne avevamo momentaneamente più bisogno, nel secondo caso non avevano le forze per continuarla (o iniziarne una nuova). Ma ogni qualvolta ce ne fosse la possibilità, si faceva la guerra.
Tantissimi studiosi autorevoli non se ne sono però accorti. Si sono accorti solo di alcuni aspetti formali, quasi estetici: per esempio, del fatto che nel mondo contemporaneo le guerre inizino senza una dichiarazione. Oppure del fatto che sia mutato il concetto del campo di battaglia. In pochi si sono accorti del fatto che la guerra può manifestarsi senza uno diretto scontro armato tra le due parti. Di conseguenza, in pochi si sono accorti che la Terza guerra mondiale ci sia già stata: è durata approssimativamente dal giorno del discorso di Fulton fino al giorno di caduta dell’URSS. E, infine, in pochi hanno notato che la Quarta guerra mondiale sia iniziata anni fa con la cosiddetta guerra ibrida (l’inizio della Seconda era stato in un certo senso simile). Iniziata per il volere di un leader che mentalmente vive ancora in un mondo che a) spartito in aree di influenza decise in base ai risultati della Seconda guerra mondiale; b) non è più necessario fare lo sforzo di continuare la guerra con la politica (diversamente da quanto hanno deciso gli Stati contemporanei).
Da tutto quello che mi è capitato di leggere in questi giorni non sono riuscito a capire bene quanto sia larga la comprensione di un principio preoccupante. La guerra attualmente in corso sul territorio ucraino ha le potenzialità per trasformarsi in una guerra mondiale di aspetto tradizionale, facilmente comprensibile a tutti. È importante capire che la guerra in Ucraina non è iniziata per finire in Ucraina. È importante capire che la vittoria – indipendentemente dai suoi costi – in questa guerra sarà un chiaro segnale per chi l’ha iniziata: «è un modo di fare praticabile», «si può rifarlo ancora». Si può rifarlo come si può rifare tutte le altre imprese passate impunite: per esempio, la guerra in Georgia nel 2008 o l’annessione della Crimea nel 2008. Dove rifarlo? Da qualsiasi altra parte: per esempio, in Finlandia (la quale ha fatto parte dell’Impero russo, quindi ci sarebbe il solito pretesto «storico»).
La Finlandia vi sembra «più europea» della Ucraina? Quindi iniziate a sentire più vicino il pericolo? Bene, molto bene!
Certo, si potrebbe anche prendere l’esempio da Chamberlain e tentare di non infastidire troppo quel tipo pazzo… Ma ci ricordiamo bene come si era sviluppata la cosa.
So da tempo che Vladimir Putin è pazzo, sempre più pazzo. Ma non potevo immaginare che la situazione fosse così così grave. Anche la persona più malata ha, di solito, una propria logica e una certa dose di pragmatismo: due cose che possono essere molto strane e per nulla condivisibili, ma sono sempre presenti.
A questo punto devo aggiungere: quasi sempre. Perché nella mente di Putin sono assenti.
Era difficile (quasi impossibile) credere che anche la persona più malata potesse iniziare – nel pieno XXI secolo – una invasione militare in stile di quasi cento anni fa: con dei pretesti falsi e con gli obiettivi imperiali. Ma è successo, nonostante il fatto che apparisse poco probabile fino a ieri. Credere nella ragione è troppo facile e, allo stesso tempo, porta alle grandi delusioni.
Ora non so cosa fare e cosa scrivere.
Chiedere scusa agli ucraini? Ma loro non ne hanno bisogno anche perché conoscono la differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin.
Spiegare agli europei la stessa differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin? Coloro che non l’hanno capita fino a oggi, non la capiranno nemmeno leggendo i miei testi deboli.
Proporre soluzioni e sanzioni o fare previsioni sul futuro? Non ha alcun senso pratico: la situazione creatasi può (e molto probabilmente deve) essere risolta solo dall’interno, con e forze proprie. E ci vorrà moltissimo tempo.
L’unica cosa che posso fare ora è aggiungere la mia voce ad altre singole – ma, vi assicuro, numerose – voci dei miei connazionali. Io dico: disapprovo questa guerra, disapprovo la politica di Putin.
P.S.: non voglio sprecare il tempo dei miei lettori per spiegare delle grosse banalità, quindi non mi metto a raccontarvi, di nuovo, che nessuno conosce il reale grado di sostegno di Putin tra la popolazione russa. Tutte le elezioni e i sondaggi degli ultimi 23 anni sono stati truccati.
Una volta Emir Kusturica era un bravo regista che girava dei film interessanti. È da un po’ di anni che non realizza qualcosa di realmente valido, ma questo, in un certo senso, è normale: a tutti gli artisti capitano delle fasi negative nella vita.
Ieri, però, ho letto che Kusturica ha accettato l’invito del ministro della difesa russo Sergej Šojgu di diventare il regista principale del Teatro dell’Esercito russo. Quel teatro è una istituzione culturale con quasi cento di storia, in passato ha conosciuto dei periodi buoni e ha avuto qualche bravo attore. Non sono del tutto sicuro che qualcuno dei non russi lo sappia… Ma non riesco a immaginare quale sostanza bisogna avere oggi al posto del cervello per accettare un incarico del genere proprio nel periodo storico corrente. Evidentemente si tratta di un acquisto (sì, proprio un acquisto) del governo russo utile nell’ottica della propaganda internazionale.
A questo punto avrei potuto dire che Emir Kusturica ha accettato il ruolo di un utile idi… Ma io non sono un leniniano, quindi evito, ahahahaha
Dato che, come al solito, nessuno sta capendo un bel niente della situazione creatasi sul confine russo-ucraino, provo a regalarvi qualche altro principio utile per la comprensione.
Ho già scritto più volte che Vladimir Putin è più un tattico che uno stratega; ora possiamo osservare facilmente una grande dimostrazione di questo principio: negli ultimi due mesi ha fatto avvicinare le truppe al confine con l’Ucraina, ha fatto un ultimatum alla NATO e poi si è accorto (a sorpresa per lui, a quanto pare) che l’ultimatum non ha funzionato (in sostanza, la NATO si è rifiutata di ritirarsi dall’Europa). Di conseguenza, Putin si è improvvisamente accorto di non avere una uscita facile dalla situazione creatasi. Ritirando le truppe e l’ultimatum e facendo finta che non sia successo nulla si toglie ogni possibilità di organizzare altre minacce belliche e di porre altri ultimatum. Capisce – forse – che la prossima volta non sarà più credibile.
A questo punto, il prossimo passo più logico sarebbe, purtroppo, la vera invasione militare della Ucraina, ma io continuo a pensare (e raramente ho voluto/sperato di avere ragione tanto come questa volta) che per Putin sia una scelta troppo forte. Non gli piacciono le scelte che comportino delle responsabilità dirette, nette e forti.
Quindi la scelta, a quanto pare, sia stata quella di riformulare la provocazione. Ora non sarebbe più la Russia a minacciare l’invasione dell’Ucraina. Ora la Russia sarebbe minacciata dall’Ucraina. Se vi sembra una battuta, devo farvi auguri: siete più in contatto con la realtà di Putin. Egli, nel frattempo, sta cercando di invertire la situazione. Gli Stati stanno facendo rientrare i propri cittadini dall’Ucraina? No, ora sarebbe l’Occidente ad attaccare e la Russia starebbe evacuando la popolazione civile. La ragione concreta? I missili che arriverebbero dal territorio ucraino anche fino ai posti di controllo del confine. Tra parentesi: (non importa che arrivino dal territorio ucraino controllato dalla Russia; non importa che l’Ucraina è accusata delle provocazioni proprio in quel preciso momento quando le truppe russe sono concentrate vicino ai confini). Insomma, si sta cercando di imitare le reali azioni dell’Occidente, spacciandole per la propria iniziativa. Il problema sta nel fatto che l’unica azione della leadership americana – l’esempio più rilevante – è stata quella di spostare l’ambasciata americana da Kiev a Leopoli. Mentre la Russia sta spostando, senza preavviso, senza un piano e senza alcuna idea precisa della data di rientro, migliaia di donne, bambini e anziani verso le località russe quasi non attrezzate. Prelevati e spostati come se fossero degli schiavi. Boh…
In questo contesto, il riconoscimento della «indipendenza» delle due regioni ucraine è solo un logico passaggio, una legalizzazione della guerra non dichiarata che era in corso dal 2014. E, per ora, è l’unica alternativa (l’unica praticabile per Putin, ovviamente) a una nuova guerra vera. Voglio vedere se si accontenti di questa «conquista». Ma sono sicuro che ci saranno delle sanzioni da parte degli USA e dell’Europa, anche se la Russia non dovesse collocare le truppe sui territori riconosciuti indipendenti.