L’archivio della rubrica «Russia»

I droni ucraini

Il martedì 2 aprile alcuni droni ucraini (compresi quelli costruiti sulla base degli aerei leggeri) hanno attaccato la città Elabuga (nella regione russa Tatarstan, a quasi mille trecento chilometri dal confine con l’Ucraina), dove si trova, tra l’altro, una fabbrica nella quale vengono assemblati i droni kamikaze di progettazione iraniana che l’esercito russo utilizza per colpire l’Ucraina. Un drone ha anche tentato di attaccare una raffineria a Nizhnekamsk di proprietà della Tatneft.

Come potete vedere e sentire – anche senza capire le parole – che ancora un po’ di persone ha improvvisamente capito (ad aprile 2024) di vivere in uno Stato che sta conducendo una guerra e, di conseguenza, è uno bersaglio naturale.


La lettura del sabato

Dato che negli ultimi giorni si parla molto delle nuove rivelazioni sui casi anche recenti della sindrome dell’Avana, non posso non segnalarvi l’articolo che contiene una versione della rispettiva indagine giornalistica un po’ più estesa rispetto a quella avreste potuto leggere sui media europei o statunitensi.
Certo, alla indagine mancano ancora diversi elementi che potrebbero renderla molto più concreta nelle sue accuse, ma è sicuramente solo una questione di tempo. Gli agenti russi non sanno proprio rimanere segreti per molto tempo.
Ma voi, nel frattempo, leggete ciò che è già stato accertato: per poi integrarlo con le nuove informazioni.


Un problema dimenticato

Ieri, parlando dell’attentato al Krokus Hall City del 22 marzo, Putin ha detto che «la Russia non può essere l’obiettivo degli attacchi terroristici dei fondamentalisti islamici» perché secondo le sue «fonti» i terroristi avrebbero avuto l’obiettivo di «danneggiare l’unità nazionale russa» (di uno enorme Stato multinazionale? Boh…).
Insomma, fa di tutto per non ammettere di essere stato avvisato dell’attentato con settimane di anticipo dagli americani. Allo stesso tempo, io sono sorpreso dal fatto che nel corso delle due settimane passate dal giorno dell’attentato non abbia accusato l’Ucraina con quella intensità che tanti si aspettavano. Nei primi giorni tale fenomeno poteva anche essere spiegato con un alto grado di disorientamento mentale del personaggio. Mentre nel periodo successivo avrebbe anche potuto inventare dei cosiddetti «risultati delle indagini»: ma non abbiamo visto nulla di particolare.
Altrettanto interessante, però, è il fatto che tutti gli altri solo grazie a quell’attentato si sono accorti di avere una visione molto limitata del mondo. Negli ultimi due anni ci siamo abituati ad avere al centro della nostra attenzione le guerre in Ucraina e in Israele, ma ci siamo dimenticati che per i terroristi dell’ISIS rimaniamo (noi, tutti gli occidentali) degli infedeli che, per esempio, non hanno mai lasciato la Siria agli islamisti. E, di conseguenza, che «andiamo puniti». Putin, poi, per una varietà di motivi era realmente convinto di essere l’ultimo a rischiare: per esempio, perché da anni cerca di fare l’amicizia con i vari gruppi estremisti in giro per il mondo.
Ma se ignoriamo il (o ci dimentichiamo del) problema, esso non sparisce.


Ancora con la mobilitazione

Vladimir Zelensky, durante la conferenza stampa di ieri a Kiev con il presidente finlandese Alexander Stubb, tra le altre cose ha dichiarato: «Posso dire che la Russia sta preparando la mobilitazione di 300 mila militari supplementari per il 1° giugno». Ma non è il primo a parlare della «nuova mobilitazione» e non è il primo a menzionare il numero di 300 mila persone. Anche se la mobilitazione in Russia non si è fermata dall’autunno del 2022 (dopo la prima grande ondata sta continuando, piano piano, nelle remote province russe), non si può teoricamente escludere la possibilità di una seconda grande ondata. Nel nostro mondo odierno tutto è possibile.
Non è interessante tentare di indovinare «se ci sarà o meno una seconda mobilitazione»: a un certo punto ce ne accorgeremo facilmente. È molto più interessante capire perché sarebbe necessaria. Serve per mandare di nuovo al fronte decine di migliaia di russi che non sono in grado di combattere, con uniformi comprate a loro spese? Metterli in trincee scavate con le loro stesse mani e dire loro di sparare con i bastoni? (Perché non ci sono infrastrutture e armi nemmeno per loro: proprio come la volta precedente).
Che senso pratico ha una tale mobilitazione e che minaccia rappresenta per l’Ucraina? Al massimo, gli ucraini spenderanno qualche decina di bombe, non le più costose, per eliminare la carne fresca russa. E poi?


Una classifica triste

La rivista Forbes ha pubblicato ieri la sua classifica annuale delle persone più ricche del mondo. La classifica include un numero record di miliardari provenienti dalla Russia: 125 persone su un totale di 2781 miliardari della Terra.
Ciò che mi interessa personalmente di questa notizia non sono i numeri in sé, ma il fatto che la lista annuale include un numero record di persone concrete che non hanno alcun motivo di essere invidiate. Sì, hanno «un sacco» di soldi, ma non possono farci nulla. Fuori dalla Russia non possono spenderli, anche se non dovessero essere ancora stati congelati. In Russia, tutte le cose principali sono già state comprate e possono essere tolte in qualsiasi momento (se si perde il favore della persona più importante nello Stato). Se si cerca di fuggire con tutti i propri beni, si pagherà caro sia l’uscita che l’ingresso (sempre che si riesca a lasciare la Russia e a entrare in un Paese decente). Quindi sono costretti a rimanere a case con le loro ricchezze praticamente virtuali.
Di conseguenza, si tratta di una presenza molto triste alla lista di Forbes.
E pensate che avrebbero potuto essere accettati come cari (in tutti i sensi, ahahaha) ospiti fuggiti da Putin e, eventualmente, pronti a finanziare l’Ucraina…


Putin chiama, all’esercito

Ho pensato che a volte potrei anche scrivere qualcosa di rassicurante sulle cose che succedono sul nostro povero pianeta. Per esempio, vi posso aiutare a leggere qualche notizia in modo che essa non aumenti il vostro potenziale livello di allarmismo.
Prendiamo qualcosa di recente: per esempio, quando leggete la «notizia» circa il fatto che «Putin firma l’arruolamento di x soldati», dovete provare a ricordarvi il contesto (anche se potrebbe non venirvi subito in mente). Nel caso della notizia appena menzionata, il contesto è in realtà semplicissimo ed è il seguente.
In Russia il servizio di leva militare è obbligatorio per i maschi di età compresa, attualmente, tra i 18 e i 30 anni. Per massimizzare la «raccolta» delle persone soggette all’obbligo, si fanno due «chiamate» all’anno: in primavera e in autunno (sperando, per esempio, che nei periodi intermedi a qualcuno scada la giustificazione legale per non essere chiamato). Per dare il via a ognuna delle chiamate ci vuole un apposito decreto presidenziale; non mi ricordo dei precedenti in cui tale decreto non fosse stato firmato per qualche «chiamata».
Ebbene, anche questa volta è successa una cosa assolutamente ordinaria, prevedibile, da programma: Putin ha firmato il decreto per la «chiamata» primaverile del 2024. Di conseguenza, l’esercito russo non avrà più carne da macello del previsto.
Tutto questo, comunque, non significa che quelli della leva non vengano almeno in parte mandati in Ucraina e/o obbligati, di fatto, a firmare un contratto vero e proprio con l’esercito russo (come succede già da circa due anni). Ma questa è un’altra questione…


Altri sei anni

La settimana scorsa avevo per la mente un altro argomento per il video domenicale, dunque recupero oggi ciò che avrei potuto fare sette giorni fa.
Il designer russo Egor Zhgun (in Russia è abbastanza noto da anni per alcune sue opere grafiche animate e non) ha pubblicato, nell’occasione della recente «rielezione» di Putin all’ennesimo mandato presidenziale, la terza puntata del proprio cartone animato che riassume gli ultimi anni, appunto, della presidenza di Putin. Come le precedenti due, anche questa puntata contiene tantissimi dettagli: suppongo che la maggioranza di essi dovrebbe esservi facilmente comprensibile.

Se non capite qualcosa, chiedete pure.
Io, intanto, aggiungo i due video precedenti. Continuare la lettura di questo post »


La lettura del sabato

Il testo che segnalo per questo sabato è una piccola raccolta delle testimonianze delle persone che si sono salvate dal Krokus City Hall moscovita la sera dell’attentato terroristico.
Ovviamente, ogni testimonianza personale è parziale, spesso non obiettiva e almeno in parte basata sulla interpretazione delle cose viste dalla persona concreta. Ma tutte le testimonianze messe insieme aiutano comunque a capire e scoprire un po’ meglio cosa fosse successo realmente sul posto.
Quindi le persone interessate possono provare a leggere. Non sarà una lettura horror nel senso letterario.


La lettera dei 39 premi Nobel

L’altro ieri il «T-invariant» (un media degli scienziati russi che vivono all’estero) ha pubblicato una lettera aperta contro il regime di Putin, firmata da 39 premi Nobel (e da centinaia di altre persone). I firmatari – tra cui scienziati, economisti e scrittori – hanno chiesto ai leader mondiali di aumentare il sostegno alla Ucraina nella sua lotta all’invasione russa, di proteggere i prigionieri politici in Russia e di non riconoscere Putin come presidente russo legittimamente eletto. Ma leggete la lettera stessa: è inutile tentare di riassumerla.
Io, intanto, posso dire quanto segue.
I primi due dei punti che ho elencato sono dei motivi abbastanza validi per unire le brave persone sotto un’unica «bandiera» (in pratica, tali appelli non risolvono e non possono risolvere nulla). A causa di una sola lettera firmata da celebrità, i leader mondiali, ovviamente, non si sveglieranno e non diranno «è vero, perché non ci abbiamo pensato prima?!», mentre i firmatari sentiranno che almeno non sono rimasti muti di fronte a quello che succede, ma hanno tentato di indirizzare l’opinione pubblica in una giusta direzione.
Purtroppo, il terzo punto della lettera è molto controverso, anche se pure altre brave persone (realmente brave) ne parlano da settimane. Purtroppo, nella realtà odierna Putin è ancora il principale funzionario della Russia. Di conseguenza, se qualcuno dei leader mondiali un giorno volesse o dovesse discutere del rilascio degli ostaggi occidentali, dello scambio di prigionieri di guerra o di prigionieri politici russi, o, a un certo punto, anche della fine della guerra in Ucraina, dovrà farlo proprio con Putin dall’altra parte del tavolo (finché egli sarà vivo e in grado di parlare). E come si può discutere di tutto questo con un presidente che voi stessi non riconoscete?
Insomma, i 39 premi Nobel si sono rivelati dei grandi idealisti. Anche se sono delle brave persone.


L’unico convinto

La Bloomberg scrive, citando «quattro fonti legate al Cremlino», che le persone della cerchia ristretta di Putin ritengono che non vi siano prove del coinvolgimento dell’Ucraina nell’attacco terroristico alla sala concerti Krokus City Hall del 22 marzo. Allo stesso tempo, si scrive che Putin sa di quella convinzione, ma «intende ancora usare la tragedia per cercare di convincere i russi a entrare in guerra con l’Ucraina».
Ecco, si vede subito che l’articolo della Bloomberg è stato scritto dalla gente troppo abituata alla vita tranquilla, razionale e prevedibile in Occidente. Perché il non essere convinto della ragionevolezza delle proprie parole pronunciate pubblicamente non è un motivo sufficiente per non seguirle: almeno per Putin. Allo stesso tempo, sappiamo che Putin era convinto anche di altre cose inesistenti nella vita reale: per esempio, della possibilità di sconfiggere velocemente, in pochi giorni, l’Ucraina «che altrimenti viene inglobata nella NATO con l’obbiettivo di aggredire la Russia». Molto probabilmente nemmeno questa sua convinzione era condivisa dalla sua cerchia, ma il fatto non gli ha impedito di iniziare la guerra.
E, soprattutto, rimane il principio: l’attacco terroristico sarà sfruttato per giustificare tanti altri comportamenti pericolosi da parte dello Stato russo.
P.S.: molto probabilmente la Bloomberg vuole anche farci pensare che stia crescendo il malcontento della cerchia stretta di Putin. ma in questo caso, purtroppo, si tratta solo di una voce che circola da un po’ di anni e non si traduce (purtroppo) in alcunché di concreto.