L’archivio della rubrica «Russia»

Riconoscere uno scemo

Woody Allen ha partecipato – in modalità di videoconferenza – alla sessione «Leggende del cinema mondiale», che si è tenuta il 24 agosto nell’ambito della Settimana internazionale del cinema di Mosca. E alle critiche del Ministero degli Esteri ucraino ha risposto:

When it comes to the conflict in Ukraine, I believe strongly that Vladimir Putin is totally in the wrong. The war he has caused is appalling. But, whatever politicians have done, I don’t feel cutting off artistic conversations is ever a good way to help.

Woody Allen non mi è mai piaciuto come regista, da quei suoi film che mi è capitato di vedere non mi è sembrato una persona particolarmente intelligente (nemmeno quando era notevolmente più giovane e, dunque, in una forma mentale sicuramente migliore). Ma non bisogna essere un genio per capire cosa sta succedendo a partire dal 2022 (in realtà dal 2014) tra la Russia e l’Ucraina. La Settimana internazionale del cinema di Mosca, poi, non è un evento puramente professionale tipo quelli americani o europei: è un evento organizzato dall’alto, dal Governo della città di Mosca e, dunque, sotto il controllo statale. Anche quest’ultimo fatto non è difficilissimo da scoprire; sicuramente è da controllare prima di partecipare a qualcosa di legato alla Russia in questo periodo. Di conseguenza, non è difficilissimo nemmeno fare un passaggio logico e dedurre che la partecipazione a una «discussione artistica» del genere diventa la partecipazione a una azione di propaganda dello Stato-aggressore. Una azione mirata a diffondere l’idea che i vari personaggi famosi e autorevoli del mondo stanno riconoscendo come normale la situazione corrente.
«Complimenti» a Woody Allen che da anziano ha deciso di combinare una nuova cretinata che potrebbe non fare in tempo a correggere. E, purtroppo, non è l’unico.


La lettura del sabato

Dato che non dobbiamo assolutamente illuderci sulla [veloce] utilità pratica dei colloqui di questa settimana, per questo finesettimana vi segnalo una serie di testi sul come lo Stato russo sta ricorrendo sempre più spesso ai cittadini dell’Asia centrale per rifornire le proprie forze umane esaurite nella guerra in Ucraina.
Nei giorni scorsi mi capitato di leggere e di sentire che per Putin è tecnicamente più facile continuare la guerra a ogni costo che metterla in pausa per poi riprenderla. È una tesi logica e per ora viene confermata dalla pratica.


“Noi insieme creiamo il futuro”

Ho letto – ma solo in una fonte – che il video riportato sotto è stato trasmesso più volte dalla televisione federale russa nei giorni precedenti l’incontro tra Putin e Trump. Non posso verificare il fatto della trasmissione: anche prima della guerra guardavo pochissimo la televisione. Ma non posso nemmeno non crederci, conoscendo la „creatività“ dei propagandisti statali russi.
Per coloro che non capiscono i sottotitoli in russo, preciso: nel video vengono elencati i „grandi momenti di amicizia tra la Russia e gli USA“, la scritta finale dice „Noi insieme creiamo il futuro“.

Ovviamente, si potrebbe fare un sacco di domande relative al video, ma una continua a turbarmi in un modo particolare: perché nel video un tipo (gli Stati Uniti o Trump?) balla con una tipa (la Russia o Putin?) e, secondo i creatori patriottici del video, cosa dovrebbe succedere tra i due dopo questi divertimenti comuni?
Spero che non lo abbiano mostrato a Putin…


La lettura del sabato

Segnalo a tutte le persone potenzialmente interessate: il quotidiano The Wall Street Journal ha pubblicato la prima delle due parti di un’ampia inchiesta su come, nel 2023, i sostenitori di Alexey Navalny abbiano cercato di organizzare il suo scambio con il presunto ufficiale dell’FSB Vadim Krasikov, che stava scontando l’ergastolo in Germania. L’inchiesta conferma nel complesso quanto raccontato dal team di Navalny, ma contiene nuovi dettagli.
È una lettura in un certo senso interessante, ma rimarrà per sempre molto «teorica»: non solo per gli ovvi motivi, ma anche perché tutta la logica del comportamento di Navalny suggeriva la sua contrarietà a un qualsiasi scambio. Ma, comunque, nessuno avrebbe chiesto il suo assenso.


Non mi sembrano tanto credibili

In un comunicato ufficiale del Ministero degli Esteri russo di ieri si dice la Russia rinuncia al moratorio unilaterale sulla limitazione dello schieramento di missili a medio e corto raggio. Il ministero ha giustificato questa decisione con l’aumento del «potenziale missilistico destabilizzante» da parte del «Occidente collettivo» nelle regioni vicine alla Russia.
Di fronte a tale notizia, la reazione di un lettore mediamente intelligente dovrebbe essere una: chiedersi se lo Sato russo ha tanti missili da schierare. La domanda deriva dalle informazioni (degli ultimi tre anni e mezzo) sulla quantità, qualità e provenienza dei missili utilizzati nella guerra contro l’Ucraina. Leggiamo spesso che vengono utilizzati i missili tirati fuori dai depositi sovietici o arrivati dagli Stati come la Corea del Nord e che spesso quei missili non esplodono come lo vorrebbero i vertici militari russi. Mentre la produzione interna dei missili nuovi non è sufficiente per sostenere i ritmi della guerra desiderati.
Ovviamente non abbiamo la piena statistica reale su tutte le cose appena elencate, ma io presumo comunque che l’obiettivo principale del Ministero degli Esteri fosse stato quello di spaventare l’Occidente con le sole parole.


Il cancello sul ponte

Sul «ponte dell’Amicizia» che collega la città estone di Narva e quella russa di Ivangorod, sono stati installati – da parete della Estonia – dei massicci cancelli metallici che bloccano la corsia automobilistica di attraversamento del confine. È inoltre prevista l’installazione di barriere metalliche retrattili che, se necessario, bloccheranno il traffico automobilistico su tutti i lati, sia all’ingresso che all’uscita dal valico di frontiera. La parte pedonale del ponte è ancora aperta al traffico, ma anche lì è prevista l’installazione di cancelli.

È abbastanza sorprendente che questa cosa sia stata fatta solo ora. Ma, allo stesso tempo, la trovo logica: da alcune settimane leggo articoli che parlano dei possibili preparativi dello Stato russo a iniziare una «operazione militare speciale» pure in qualche punto degli Stati baltici. In tale ottica le barriere sul ponte non saranno tanto utili, ma non averle è ancora peggio.
P.S.: il nome del ponte è già una barzelletta, potevo limitarmi a scrivere solo quello…


Il petrolio per l’India

La Reuters scrive, citando fonti del settore, che quattro compagnie petrolifere statali indiane hanno interrotto da una settimana gli acquisti di petrolio russo: si sono rivolte al mercato spot per forniture alternative. Si tratta delle compagnie Indian Oil Corp (IOC), Hindustan Petroleum Corp (HPCL), Bharat Petroleum Corp (BPCL) e Mangalore Refinery Petrochemical Ltd (MRPL).
Il contesto: Trump aveva «annunciato» che dal 1° agosto gli USA impongono all’India una «sanzione» per l’acquisto di attrezzature militari e fonti energetiche dalla Russia. Evidentemente, l’India ha preferito di non verificare se pure questa volta le parole di Trump sono solo parole. Ha cambiato il fornitore nonostante il fatto che acquistava dalla Russia con uno sconto molto utile per la propria economia (questo mostra anche quanto siano più importanti i rapporti con gli USA dei rapporti all’interno di quella stronzata del BRICS, ma quello è un altro argomento).
Quello che interessa a noi, invece, è il fatto che il petrolio russo rimarrà comunque sul mercato: chi prima comprava dai nuovi fornitori dell’India, ora lo deve fare da qualche altra parte. E non mi sembra una cosa tanto negativa nell’ottica delle sanzioni: i futuri acquirenti del petrolio russo sapranno che lo Stato russo ha tanto bisogno di vendere, quindi è disposto a fare degli sconti ancora più interessanti.
Non so se devo dispiacermi per l’India, ma, nel frattempo, mi senti positivamente sorpreso dal fatto che almeno un trucco di Trump ha funzionato.


“Ci sarà lavoro per tutti”

Gli abitanti della regione russa di Krasnojarsk, dove da quattro giorni non funziona la connessione internet mobile, hanno pubblicamente chiesto cosa debbano fare in queste condizioni coloro che lavorano da remoto. La direttrice del Centro di gestione regionale (un Ente, presente in ogni regione russa, che raccoglie le segnalazioni dei cittadini su questioni varie) locale, Ekaterina Kuzminykh, su Telegram ha risposto che «ci sarà lavoro a sufficienza per tutti nella zona della „operazione militare speciale“».
No, non lo scrivo [solo] per condividere la «bella» risposta di una funzionaria russa. Ma prima devo precisare il contesto: da diversi mesi in tutte le zone del territorio russo capitano i periodi di disattivazione dell’internet mobile. Quei periodi possono durare da alcune ore a alcuni giorni e possono interessare le zone grandi come un quartiere o come una città. La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: i motivi di sicurezza (perché si vuole ostacolare l’orientamento dei droni ucraini, perché c’è la visita di qualche personaggio di Stato o perché c’è il «pericolo» di una manifestazione popolare non concordata con le autorità). Ma da un po’ di tempo si sospetta che quella giustificazione venga utilizzata anche qualora l’infrastruttura «fisica» dell’internet non funziona a causa delle sanzioni (quindi per mancanza di materiali di produzione/progettazione occidentale o addirittura di soldi): non possono o non sanno riparare la rete e dicono che l’internet è disattivato «per motivi di sicurezza».
Ebbene (ebbene?), a questo punto emerge pericolosamente – secondo il mio autorevolissimo parere – una grande particolarità della amministrazione dello Stato russo: è amministrato dalle persone mentalmente abbastanza antiquate (in realtà, spesso anche a causa della età) che non capiscono l’importanza dell’internet per la vita delle persone. Per la vita lavorativa e privata, per l’economia in generale… Nel mondo contemporaneo l’internet può essere considerato uno dei beni primari. Cento anni fa la gente poteva protestare, fino a dare luogo a una rivoluzione, per la mancanza del pane. Oggi può succedere anche per la mancanza dell’internet. So che un europeo medio farebbe tanta fatica a immaginarlo, ma voi provate: immaginate che il giorno X il Governo italiano decide di chiudere l’internet.
Ecco perché ho aperto il post di oggi con quella piccola notizia «locale»: nel 2025 la gente potrebbe incazzarsi seriamente per un motivo al quale tanti «vecchi» non ci pensavano nemmeno.


Matvienko a Ginevra

È incredibile, ma la Presidente della Camera alta del «parlamento» russo (Consiglio Federale) Valentina Matvienko — una delle principali complici di Putin — è arrivata ieri a Ginevra per la Conferenza Mondiale dei Presidenti del Parlamento. Sarei molto curioso di scoprire chi di preciso l’abbia invitata e perché la Svizzera abbia deciso di dare un podio a dei criminali.
Nel frattempo, scopriamo che Valentina Matvienko e la sua delegazione sono arrivati a Ginevra per gli eventi organizzati dall’Unione interparlamentare, che si terranno dal 28 al 30 luglio. La discussione alla quale è già intervenuta Matvienko si intitola «Un mondo in fermento: la cooperazione parlamentare e l’approccio multilaterale alla soluzione dei problemi per la pace, la giustizia e la prosperità per tutti».
In particolare, dal palco ha ripetuto le solite stronzate della propaganda statale russa sulla difesa della popolazione di lingua russa nell’est della Ucraina (è stata addirittura applaudita, ma immagino che tra il pubblico ci fossero altri rappresentanti dello Stato russo).
E allora io ricordo che le statistiche su ciò che stava accadendo nel Donbas prima della attuale fase della guerra sono facilmente disponibili. Quanti civili sono morti lì, ad esempio, nel 2021, quando i «maledetti ucraini bombardavano continuamente i civili»? Secondo le statistiche dell’ONU e dell’OSCE, nel 2021 ci sono state 25 morti tra i civili, il numero più basso rispetto agli anni precedenti del conflitto, e oltre la metà di queste morti erano dovute a mine e ordigni inesplosi.
E quante persone sono morte nel Donbas quando sono arrivati i «liberatori» armati russi? Dall’inizio della invasione su larga scala da parte, iniziata il 24 febbraio 2022, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha registrato almeno 13.580 morti e 34.115 feriti tra i civili in tutta l’Ucraina (al 30 giugno 2025).
Per quanto riguarda le regioni di Donetsk e Luhansk (Donbas), quelle più colpite: all’inizio di giugno 2023, le Nazioni Unite hanno registrato almeno 2964 civili morti e 3683 civili feriti nel Donbas. Mentre gli attivisti internazionali per i diritti umani hanno contato, a dicembre 2022, un totale di circa 3978 morti e 5452 feriti nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Di conseguenza, almeno tre o quattro mila civili sono stati uccisi e diverse altre migliaia sono rimaste ferite nel Donbas tra il febbraio 2022 e la metà del 2023. Questi numeri riflettono solo i casi confermati. Il numero reale è molto probabilmente più alto a causa delle difficoltà di accesso alle aree occupate e al fronte.
Valentina Matvienko, intanto, parla della pace e della difesa dei civili a Ginevra.


Due catene di supermercati russi di fascia bassa hanno comunicato ieri di avere sospeso l’acquisto delle barrette di cioccolato Mars, Snickers e Twix, nonché delle caramelle M&Ms e Skittles e delle gomme Orbit. La decisione sarebbe stata presa a causa della non conformità delle «condizioni proposte dal fornitore ai principi di equità dei prezzi». Serve una traduzione in linguaggio umano? Non penso…
Potrebbe sembrare strano che la Mars non abbia mai aderito alle «sanzioni aziendali» contro la Russia: come hanno fatto tante altre aziende occidentali che hanno lasciato il mercato russo con l’inizio della guerra in Ucraina. Ma è stata una scelta della azienda concreta, ipotizzare il probabile motivo non è tanto interessante.
È molto più interessante puntare qualche milione di euro sulla futura reazione dei consumatori abituali russi. Saranno convinti che anche in questo caso si tratti di una sanzione dei «cattivi capitalisti occidentali». Un po’ come sono stati convinti della stessa cosa nel 2014, quando era addirittura stata la Russia a vietare l’import di molti prodotti alimentari.
Ancora più interessante provare a dedurre quanta valuta estera hanno ora le aziende private russe che si occupano del commercio al dettaglio. E, ancora più importante, a quali conclusioni giungono analizzando le capacità finanziarie delle fasce ampie della popolazione russa: essendo, appunto, della fascia bassa, servono le masse più ampie di consumatori…