Guardiamo il calendario: quest’anno Putin sembra aver deciso di non tenere il discorso annuale davanti alle camere riunite del Parlamento (anche se continua ad essere obbligato a farlo ogni anno secondo la sua stessa Costituzione). In compenso, ieri ha tenuto l’ennesima «Linea diretta», uno spettacolo in cui tradizionalmente risponde per diverse ore alle domande dei «giornalisti» e dei «cittadini comuni» e regala a pochi fortunati nuovi gabinetti in cortile, scope e altre cose belle.
Le persone normali non guardano, non ascoltano e non leggono nemmeno questa esibizione da circo, mentre i giornalisti sono costretti a farlo: è il loro lavoro. E appositamente per noi, persone comuni e normali, i veri giornalisti hanno fatto un breve riassunto della «Linea diretta 2025» e hanno commentato tutte le bugie che Putin ha pronunciato nel suo corso: ecco la parte uno e la parte due. In sostanza, si tratta di un breve riassunto delle stronzate che ha raccontato nel corso del 2025.
Quindi, se vi interessa, leggete pure.
L’archivio della rubrica «Russia»
Le forze navali svedesi hanno confermato la presenza di guardie armate sulle navi della «flotta ombra» russa (quella che trasporta il petrolio russo che formalmente sarebbe colpito dalle sanzioni). Secondo quanto riportato dal canale televisivo SVT, i militari riferiscono che sulle petroliere sono stati avvistati uomini armati, presumibilmente appartenenti a società di sicurezza private. Inoltre, in base a quanto detto un rappresentante della Marina svedese, la Russia ha rafforzato la propria presenza militare nel Mar Baltico. «La presenza navale russa è diventata più costante e visibile in gran parte del Mar Baltico. La flotta russa è periodicamente presente in varie zone del Mar Baltico e del Golfo di Finlandia, e sembra che operi in una certa misura a sostegno di questa ‘flotta ombra’».
Sarebbe interessante capire, prima di tutto, a cosa servono quegli uomini armati delle società di sicurezza private. A difendersi dai pirati somali o a opporsi agli arresti delle navi? Provate a indovinare l’opzione più probabile…
Ma è un po’ come ingaggiare una guardia del corpo per opporsi all’eventuale arresto: tecnicamente lo puoi fare, mentre legalmente peggiori la propria situazione nel caso dell’uso della forza. Voglio proprio vedere il primo caso della entrata in azione di quelle guardie: il precedente politico e legale sarà un interessantissimo caso di studio!
I ministri degli Esteri degli Stati-membri dell’UE hanno approvato nuove sanzioni contro lo Stato russo. Sono stati colpiti 14 individui e aziende. Nella lista figura anche il Movimento internazionale russofilo, una rete di filiali nazionali (circa 77) e regionali con sede centrale a Mosca (perché appartiene al Ministero degli Esteri russo), che riunisce politici filo-Cremlino, leader di organizzazioni filorusse, propagandisti ed euroscettici. Gli autori della lista di sanzioni accusano il Movimento russofilo internazionale di «diffondere narrazioni destabilizzanti in tutto il mondo».
Io mi sarei stupito per una decisione così tardiva di includere nella lista delle sanzioni il suddetto «Movimento», ma c’è un piccolo dettaglio: fino a ieri sera e non so bene da quanti anni, non mi ricordavo proprio della sua esistenza. Presumo che sia una di quelle organizzazioni tipiche russe (e prima sovietiche) impegnate prevalentemente nella distribuzione di soldi statali – tra i propri membri e tra i personaggi esteri da comprare – e non nella propaganda vera e propria: per quest’ultima esistono i mezzi come il media «Russia Today» o i «giornalisti» stranieri sponsorizzati. Ma, guardando il sito del «Movimento» (fatto malissimo perché sembra costruiti più per i lettori di lingua russa che per tutti gli altri), ho pensato la decisione dell’UE sia comunque giusta: meno fonti del male ci sono e meglio.
Comunque, potevano accorgersene anche un po’ prima: è una organizzazione che non si nasconde.
Il media Politico scrive che l’UE intende inserire la Russia nell’elenco dei Paesi ad alto rischio di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo. Non posso dire con certezza se lo farà veramente, ma sulla base della logica di tutte le precedenti sanzioni europee contro la guerra, presumo che lo farà. E questo non sarà un colpo inferto al personaggio che ha scatenato la guerra e ai suoi complici, ma esclusivamente ai russi che sono fuggiti dalla guerra nell’UE. Le persone che vivono in Russia non noteranno proprio gli effetti di tale decisione dell’UE nella loro vita quotidiana (guadagnano in Russia e spendono in Russia), mentre per gli oppositori della guerra che sono fuggiti sarà molto più difficile utilizzare in Europa il denaro che sono riusciti a portare con sé. In generale, si tratta dell’ennesima decisione stupida, con la quale si imita ancora una volta una frenetica attività.
Ma è comunque interessante leggere il commento tecnico a questa decisione (nell’introduzione, per qualche strano motivo, si parla dell’inclusione della Russia nell’elenco come di un fatto già avvenuto, ma per ora non prestiamo attenzione a questo).
The Wall Street Journal scrive che il governo militare del Sudan ha proposto alla Russia di stipulare un accordo di cooperazione della durata di 25 anni che prevede la creazione di una base militare russa sulla costa del Mar Rosso. In base alla proposta, la Russia potrà schierare nel Paese fino a 300 militari e fino a quattro navi da guerra, comprese quelle «atomiche». Si propone di organizzare la base a Port Sudan o in un altro luogo, ancora non specificato. Inoltre, le autorità sudanesi offrono alla Russia l’accesso alle concessioni minerarie in Sudan, considerato il terzo produttore di oro in Africa. In cambio, le autorità sudanesi vorrebbero ottenere sistemi avanzati di difesa aerea russi e altre armi a prezzi agevolati, hanno riferito fonti del quotidiano.
Il motivo di tale offerta generosa: il regime militare sudanese, che sta combattendo contro i combattenti del gruppo «Forze di reazione rapida», si trova in una situazione difficile.
Tale notizia ci aiuta a comprendere ben due concetti che altrimenti avremmo scoperto tra chissà quanto tempo. In primo luogo, scopriamo che la Cina – che sta «colonizzando» il continente africano da anni – non è interessata ad aiutare militarmente nemmeno l’Africa (e non solo la Russia putiniana). Evidentemente, è interessata solo ai guadagni provenienti dalle attività civili.
In secondo luogo, «scopriamo» – ma lo potevamo immaginare facilmente anche prima – che negli Stati africani c’è un interesse scarsissimo alla comprensione delle problematiche delle lontane terre europee. Il governo militare sudanese, per esempio, non si rende conto del fatto che lo Stato russo da quasi quattro anni sta disperatamente cercando di raccogliere più armi possibile per continuare la guerra in Ucraina e non alcunché da regalare a un governo africano in difficoltà. Anche se l’interesse politico a fare un’altra base militare all’estero è altissimo.
Purtroppo, questa nuova profondità raggiunta dalla «giustizia» russa nella sua caduta non mi sorprende. Ma suscita altre forti emozioni.
Mi riferisco alla sentenza di cui avrete probabilmente già sentito parlare, ma della quale ora potreste (ancora una volta?) leggere in dettaglio: il tribunale militare distrettuale meridionale ha condannato all’ergastolo gli imputati nel caso dell’attentato terroristico sul ponte di Crimea (nella mia terminologia, un normale episodio della guerra in corso, avvenuto l’8 ottobre 2022). Secondo l’accusa, alcuni uomini d’affari, un agricoltore e un camionista – otto persone in totale – hanno aiutato i servizi segreti ucraini a far esplodere un camion carico di esplosivo sul ponte (costruito dalla Russia dopo l’annessione della Crimea). Nessuno dei condannati ha ammesso la propria colpevolezza. Gli imputati hanno sostenuto di aver semplicemente svolto il loro lavoro abituale e di non essere stati a conoscenza dell’esplosivo nascosto nel carico del camion. È noto che si sono presentati spontaneamente alla polizia. L’indagine non ha stabilito che fossero a conoscenza dell’imminente esplosione del ponte. Il fatto che le forze dell’ordine ucraine abbiano utilizzato gli imputati alla cieca è stato riferito dallo stesso capo del Servizio di sicurezza dell’Ucraina Vasily Malyuk.
Ma sono stati condannati loro e non, per esempio, coloro che avrebbero dovuto impedire tali atti «terroristici». A quanto pare, quelle persone si sono già riabilitate combattendo i «terroristi» adolescenti sui social network.
Il progetto AviVector riferisce, citando immagini satellitari, che nel parcheggio dello stabilimento aeronautico TANTK intitolato a Beriev a Taganrog sono stati distrutti (da droni ucraini) due aerei sperimentali russi: il «laser volante» A-60 e il «radar volante» di nuova generazione A-100LL.
Entrambi gli aerei erano stati costruiti sulla base del cargo Il-76MD. Lo sviluppo dell’A-60 era iniziato negli anni ’80, con l’intenzione di installare un potente cannone laser a bordo del cargo. L’aereo A-100 è stato sviluppato a partire dal 2014 come sostituto dei «radar volanti» di progettazione sovietica A-50 e A-50U.
La notizia è certamente positiva: si può congratulare l’esercito ucraino per l’ennesima missione riuscita. Allo stesso tempo, è troppo facile sopravvalutare questa notizia: entrambi gli aerei erano in fase di sviluppo da molto tempo e non si sa quando avrebbero superato tutti i test (come la maggior parte dei missili di cui ama vantarsi Putin). Di certo non sarebbero stati utilizzati in guerra contro l’Ucraina nei prossimi anni. Ma la cosa più importante non è nemmeno questa.
Ho molti dubbi sul fatto che nella Russia di Putin sarebbero riusciti a mettere in piedi la produzione di aerei sviluppati per miracolo. Come ho letto più volte, in Russia sanno produrre fusoliere, radar e cannoni di buona qualità, ma non motori aeronautici ed elettronica. E dove avrebbero preso tutto questo materiale in condizioni di sanzioni? L’elettronica si può ancora procurare in qualche modo attraverso l’"importazione grigia" (clandestina), ma i motori sono difficili da trovare anche per la produzione di singoli nuovi aerei.
In generale, mi rallegra molto di più la distruzione degli aerei militari russi che sono già in servizio militare. Così come di tutto il resto dell’equipaggiamento bellico.
Pochi giorni fa su Mediazona è uscito un testo abbastanza interessante: il racconto del proprio servizio militare di un uomo che disegnava, professionalmente e per lavoro, quelle mappe militari regolarmente che vengono regolarmente mostrate dalla propaganda del Cremlino (al mondo intero) e, a quanto pare, anche dallo stesso Putin ai suoi interlocutori più o meno creduloni. Mappe con tutte quelle frecce, aree colorate e centri [un tempo] abitati conquistati (a volte non proprio).
Il racconto è interessante soprattutto perché costituisce una ulteriore testimonianza oculare dell’organizzazione interna della parte dell’esercito russo che combatte in Ucraina.
L’articolo segnalato questo sabato è dedicato a una grande innovazione tecnica che lo Stato russo ha deciso di adottare per lottare contro i droni militari ucraini.
L’uso efficace di tali droni è uno dei pochi ambiti nei quali l’esercito ucraino prevale nettamente ormai da anni sull’esercito russo: in particolare, i droni ucraini entrano nel territorio russo e provocano dei danni sensibili alla infrastruttura militare (complicando la logistica russa) e alle raffinerei petrolifere (creando dei danni economici).
La recente invenzione russa, invece, consiste nel bloccare per un giorno il funzionamento di tutte le SIM che entrano sul territorio russo o «si svegliano» dopo un certo periodo di inattività. Perché le SIM? Perché potrebbero essere utilizzate, per esempio, per garantire l’orientamento del singolo drone con i dati presi dall’interne mobile…
Ma questo punto vi lascio alla lettura dell’articolo.
Il Ministero degli Esteri russo sostiene che il quotidiano italiano Corriere della Sera abbia rifiutato di pubblicare l’intervista al ministro Sergey Lavrov. Il ministero ha definito questo gesto un atto di «censura scandalosa» e ha pubblicato sia la versione «integrale» che quella «modificata» dal quotidiano. Nell’intervista originale Lavrov parla del nazismo che «sta rialzando la testa in Europa» e del «regime terroristico» a Kiev. Secondo la versione del ministero degli Esteri russo, i rappresentanti del dicastero hanno proposto al quotidiano di realizzare un’intervista esclusiva al ministro «per fermare in qualche modo il flusso di menzogne» diffuse dai giornali italiani e dai loro articoli sulla Russia. Secondo il ministero, la redazione del quotidiano «ha accettato con entusiasmo» e ha inviato le domande a Lavrov, ma poi ha rifiutato di pubblicarle.
Che la redazione del Corriere della Sera abbia rifiutato di pubblicare le farneticazioni propagandistiche di Lavrov è positivo e comprensibile. Non è particolarmente interessante parlarne.
È interessante invece come il ministero degli Esteri russo si orienti nella stampa italiana. Il Corriere della Sera è uno dei quotidiani italiani più seri e la pubblicazione di un’intervista a Lavrov sarebbe stata un grande successo per il regime di Putin. Ma il ministero degli Esteri non ha tenuto conto di due cose…
In primo luogo, anche se pagate generosamente, le stronzate propagandistiche sono molto difficili da pubblicare sulle testate europee più autorevoli, proprio perché sono testate autorevoli. Bisognava puntare su testate marginali di destra e di sinistra, che hanno bisogno di soldi e pubblicano regolarmente ogni sorta di stronzate. Non citerò i nomi delle testate, non voglio aiutare nessuno.
In secondo luogo, sembra che al Ministero degli Esteri russo non sappiano quanto sia scadente il sito web del serio quotidiano Corriere della Sera. È incredibilmente lento e continua a coprire le proprie pagine con la richiesta di disattivare il blocco degli annunci pubblicitari, anche quando questo non è nemmeno installato sul computer (io non utilizzo blocchi pubblicitari perché non mi piace privare gli autori dei siti web dei loro guadagni). Di conseguenza, il loro sito è praticamente inutilizzabile e la sua audience è molto più ridotta di quanto potrebbe essere.
Ma al Ministero degli Esteri russo, a quanto pare, conoscono la stampa straniera solo in modo molto approssimativo. E questo non mi sorprende affatto: per esempio, so per certo che ai funzionari consolari è vietato comunicare con gli aborigeni fuori dall’orario di lavoro. Di conseguenza, conoscono a malapena la lingua del Paese in cui lavorano e parlano come se avessero semplicemente imparato alcune parole di base dal dizionario. È chiaro che in tali condizioni non hanno la possibilità di studiare le peculiarità della stampa locale. Si può logicamente supporre che i funzionari dell’ambasciata non siano molto diversi da quelli consolari in questo senso e quindi non siano nemmeno in grado di fornire consulenza al proprio ministero.



RSS del blog


