L’archivio della rubrica «Nel mondo»

Bakhmut vista dall’alto

Quello di oggi è un breve video sullo stato attuale della città di Bakhmut. In teoria sapevamo già degli effetti della guerra in corso, ma dopo la visione di questo video sembra ancora più inconcepibile il fatto che rimangano ancora ben quattromila civili in città (su 70 mila dei tempi della pace).

E, ovviamente, non dimentichiamo che almeno all’inizio tutto questo si chiamava «liberazione».


Il diminuire degli “amici”

Sembrava una missione impossibile (oppure una delle? ora non importa), ma il «grande» tattico Putin ci è riuscito pure in questa: intervenendo al Forum economico di Budapest, il premier Victor Orban ha dichiarato che l’Ungheria dovrà riconsiderare le proprie relazioni con la Russia a causa della «mutata realtà geopolitica». A causa della guerra e il conseguente peggioramento delle relazioni tra la Russia e l’UE, Orban propone di «pensare seriamente» sulle relazioni con la Russia nei prossimi 10–15 anni.
Tradotto nel linguaggio umano, Orban ha ammesso che nella prospettiva a lungo termine la Russia non ha alcun modello interessante delle relazioni politiche e/o economiche da proporgli. Infatti, le forniture alternative del petrolio e del gas (o le fonti alternative della energia) prima o poi arrivano pure in Ungheria, mentre la Russia putiniana rimane sempre la stessa: molto meno attraente dell’UE.
Lo ha capito – finalmente – pure Orban.
Oppure – molto più probabilmente – ha finalmente sentito la possibilità di iniziare a dirlo pubblicamente.
Ed è così che per Putin è arrivata una nuova grandissima vittoria geopolitica…


L’ultima immagine

Ho notato che pure in Italia si è diffusa la notizia di quel video che mostra un altro militare ucraino fatto prigioniero e poi ucciso dagli invasori russi. Purtroppo, non è il primo. Purtroppo, non sarà l’ultimo. Ma, almeno, ora conosciamo il suo nome: Timofei Shadura Aleksandr Matsievskij. Le sue ultime parole sono state «Viva ‘Ucraina».
La morte di Timofei è la conseguenza di uno dei tantissimi crimini (sì, è un crimine nettamente descritto dalle norme internazionali e nazionali) che in un futuro non tanto lontano verranno esaminati da chi ne sarà competente.

In attesa dei suddetti eventi, condivido con voi una «rima storica»: Continuare la lettura di questo post »


Il dubbio sui missili

Il Financial Times sostiene che la Russia si starebbe astenendo dall’acquistare i missili balistici iraniani per paura che gli USA inizino – in qualità di una contromisura – a fornire all’Ucraina i missili ATACMS a lungo raggio.
Sembra una tesi non priva di logica… E proprio per questo sembra una tesi quasi di fantascienza: infatti, si tratterrebbe di una improvvisa illuminazione dei dirigenti statali russi che a febbraio del 2022 avrebbe dovuto indurre – se manifestatasi – a non iniziare neanche la guerra in Ucraina. Perché non era proprio impossibile immaginare tutte le possibili conseguenze.
Ma ora, in questa fase molto avanzata della guerra, non è assolutamente da escludere (e lo stesso articolo lo ammette) che gli stessi dirigenti russi decidano che ormai non ci sia più nulla da perdere. La guerra va portata avanti a ogni costo, mentre le munizioni proprie sono sempre meno. Quindi l’acquisto dei missili iraniani da parte della Russia mi sembra solo una questione di tempo. Molto breve.


Una tendenza positiva

Il museo cittadino di Amsterdam (Stedelijk Museum) ha iniziato a indicare – nelle proprie descrizioni sui cartelli informativi fisici e sul sito web – il pittore Kazimir Malevič come un artista ucraino e non più come russo. Malevič nacque a Kiev (anche se all’epoca fu il territorio dell’Impero russo) da genitori polacchi e passò una parte significativa della propria vita privata e professionale sul territorio «tradizionale» russo, ma va bene: si hanno dei motivi formali anche per definirlo ucraino. Se in questo periodo particolare qualcuno possa essere rasserenato dalla assegnazione di una nuova appartenenza nazionale a un artista di portata mondiale, accettiamolo pure.
Allo stesso tempo, possiamo notare che ormai si tratta di una tendenza. A febbraio, per esempio, si è saputo che il Metropolitan Museum of Art di New York ha cambiato le didascalie dei dipinti di Ivan Aivazovsky, Ilya Repin e Arkhip Kuindzhi presenti nella collezione del museo: ora accanto ai loro nomi si legge che sarebbero dei pittori ucraini e non [più] russi.
Tutti questi cambiamenti costituirebbero un motivo sufficiente per scandalizzarsi o allarmarsi? Per le persone normali sicuramente no. Infatti, dalla tendenza osservata mi sembra di capire che nell’Occidente stia aumentando la capacità di non definire più come «russi» tutti coloro che vengano dall’ex territorio sovietico, ma di tentare di comprendere le loro differenze. Paradossalmente, non è una tendenza nazista (senza la divisione dei terrestri secondo il criterio nazionale saremmo stati molto meglio), ma, al contrario, è una utile eliminazione delle generalizzazioni offensive. Quelle come «africano», «latinos» etc.
Ci voleva proprio qualcosa di positivo in questi tempi brutti.

P.S.: tra le generalizzazioni offensive avrei aggiunto anche «afroamericano», ma le persone povere di cervello avrebbero perso tutto il testo precedente.


La bellezza degli esempi

Purtroppo, solo ieri sera ho saputo di una iniziativa «artistica» interessante… In realtà, non so bene con quale espressione definire quella azione: probabilmente, rientrerebbe nell’ambito dell’art action. In sostanza, però, è stato un modo molto interessante – e secondo me efficace – di provare a spiegare a un europeo medio che cosa sia la guerra.
Il 24 febbraio lo staff del Berlin Story Bunker Museum e gli attivisti tedeschi Enno Lenzse e Wieland Giebel hanno piazzato davanti alla ambasciata russa a Berlino un carro armato russo distrutto dall’esercito ucraino nei pressi di Kiev durante i primi giorni della guerra. Si tratta di un carro armato russo T-72 prodotto nel 1985 e, nel corso della guerra in Ucraina, danneggiato da una mina anticarro durante la battaglia per Kiev nei pressi del villaggio di Dmitrovka, vicino a Bucha. Sul sito del museo si precisa che la macchina ha partecipato attivamente alle operazioni di combattimento e presenta una serie di fori provocati da armi di vario calibro: la piastra di protezione del dispositivo di puntamento Sosna-U del mitragliere è stata tagliata e ci sono una serie di segni dei colpi di armi leggere su tutta la parte sinistra del carro.
L’installazione è rimasta al suo posto fino alla mattina dell’1 marzo.
Ma il dettaglio più importante è che questo rottame (ormai lo è) è stato uno strumento di aggressione, una causa della morte e, come potete immaginare, un luogo della morte. È un pezzo «fresco» della guerra in corso che si può vedere e toccare.
Purtroppo, in Europa ci sono ancora dei cretini secondo i quali la guerra finisce se alla Ucraina vengono tolti o negati i mezzi di difesa e di contrattacco (sempre secondo gli stessi cretini sarebbe una fine normale, accettabile, della guerra). No, non finisce. Dal fronte orientale continueranno arrivare i carri armati dell’aggressore che si sentirà capace e autorizzato a invadere tutti quegli Stati che per qualche motivo non gli sono piaciuti. Spero che l’installazione berlinese abbia avvicinato almeno di un passo la comprensione di tale concetto.


La Cina elimina i dubbi

Le persone che seguono poco la politica internazionale (oppure non la capiscono) di fronte a ogni notizia circa le sanzioni contro la Russia – da anni, non solo nell’occasione di questa guerra – spensieratamente dicono: «Beh, tanto c’è la Cina…»
Lo stato reale delle cose ha già dimostrato una infinità di volte che la Cina non ha alcun interesse e alcuna intenzione di aiutare la Russia. Non le conviene economicamente perché è un mercato piccolo e povero. Non le conviene politicamente perché non vuole litigare troppo fortemente con gli USA e l’Europa (molto più potenti e ricchi). Può provare di sfruttare le risorse naturali e i territori russi, può utilizzare il territorio russo come una strada di passaggio verso l’Europa, ma non è disposta di rischiare facendosi coinvolgere in relazioni politiche o economiche troppo strette.
L’ultima testimonianza di tale concetto è il documento «La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina» pubblicato il 24 febbraio dal Ministero degli Esteri cinese. Il documento è pieno di espressioni molto-molto diplomatiche… Talmente diplomatiche che non si capisce che senso abbia avuto pubblicarle.
L’unica dichiarazione da senso preciso e ben determinabile è contenuta al primo punto. Con quel punto la Cina, in sostanza, sta dicendo alla Russia: «uscite dal territorio ucraino internazionalmente riconosciuto e solo dopo parliamo di tutto il resto». La posizione mi sembra molto chiara:

1. Respecting the sovereignty of all countries. Universally recognized international law, including the purposes and principles of the United Nations Charter, must be strictly observed. The sovereignty, independence and territorial integrity of all countries must be effectively upheld. All countries, big or small, strong or weak, rich or poor, are equal members of the international community. All parties should jointly uphold the basic norms governing international relations and defend international fairness and justice. Equal and uniform application of international law should be promoted, while double standards must be rejected.

Meno male che c’è la Cina. E meno male che è riuscita mostrare le proprie reali intenzioni non solo ai dirigenti dello Stato russo, ma anche al pubblico internazionale.
P.S.: l’immagine con la quale posso illustrare al meglio il presente post è stata suggerita, involontariamente, dallo staff di Vladimir Putin. Vi ricordate il suo mega-tavolo diventato famoso poco prima della guerra? Ebbene, guardate come viene utilizzato da Putin quando egli si trova a parlare con un diplomatico dal quale vuole realmente qualcosa:

Che tristezza ridicola…


I Mi-8 croati

Leggo che la Croazia sta preparando un nuovo aiuto militare per l’Ucraina: ha iniziato a preparare la consegna di 14 elicotteri da trasporto Mi-8. Si tratterrebbe di dodici Mi-8MTV-1 e due Mi-8T che sono stati ritirati dalle Forze Armate croate e vengono ora preparati per il trasporto verso l’Ucraina. Il processo di preparazione dovrebbe durare circa dieci giorni, dopodiché gli elicotteri saranno trasportati in Polonia e da lì inviati in Ucraina.
Tale piccola notizia è positiva anche perché in Ucraina, sicuramente, ci sono ancora tantissimi piloti e tecnici che sanno gestire quelle macchine a occhi chiusi. Ma, allo stesso tempo…
Negli ultimi anni (o decenni? boh, non mi ricordo neanche più…) ho sentito e letto diverse volte che il Mi-8 è un elicottero poco costoso, ma allo stesso tempo è un mangia-carburante mostruoso. Di conseguenza, dopo la fine della guerra anche i croati potranno scherzare tanto sul fatto che Putin avrebbe contribuito, indirettamente, a un consumo più responsabile dei combustibili fossili nel loro Paese. Almeno in questo modo ha spinto in avanti il progresso…


La lettura e la visione del sabato

In occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina (in realtà anche con alcuni giorni di anticipo) molte persone e molti media in Ucraina e in Russia hanno cercato di ricordare l’ultimo giorno della vita pacifica: il 23 febbraio 2022. Alcuni si limitano a scrivere della quotidianità, alcuni altri ricordano – o pensano di ricordare – il presentimento degli eventi tragici. Pochissimi trovano il coraggio di ricordare che pure il 23 febbraio la guerra appariva, almeno alle persone comuni, improbabile dal punto di vista puramente razionale. Ma su quest’ultimo aspetto sono già state dette e scritte tantissime parole, soprattutto nei primi mesi della guerra.
In ogni caso, pure io ho provato immaginare quali ricordi del mondo pre-bellico possano essere segnalati ai miei lettori. Alla fine, ho deciso di consigliare due pubblicazioni di genere un po’ diverso. La prima è una selezione delle foto della Ucraina delle poche settimane antecedenti l’aggressione putiniana.

La seconda pubblicazione segnalata è un testo: la cronaca del primo giorno della invasione raccontata da una guardia di frontiera ucraina.


Un anno di guerra

Ed ecco che siamo giunti al primo anniversario della guerra in Ucraina.
Avrei preferito che questo anniversario non ci fosse mai stato. Che non ci fosse stato quel punto di partenza del cronometraggio. E che non ci fosse stato tutto ciò che è successo tra le due date. Ma, purtroppo, questo inferno sta continuando e io non so quanti altri anniversari della guerra in corso ci aspettano ancora. Dall’ultimo discorso di Putin alla Assemblea Federale abbiamo appreso, tra le altre cose, che l’unico obiettivo finale di questa guerra è la vittoria: una vittoria che dovrebbe una forma della quale nemmeno Putin stesso ha una idea precisa. Ma, allo stesso tempo, è già chiaro che l’Ucraina non si arrenderà (in primo luogo, perché non vuole farlo; in secondo luogo, perché è sostenuta da tutto il mondo civilizzato) e che Putin non spaccerà per la vittoria almeno i pochi risultati raggiunti (altrimenti tutti gli eserciti russi – quello ufficiale e quelli privati – non si andrebbero costantemente in nuovi attacchi). Di conseguenza, finché c’è Putin ci sarà anche la guerra, e finché c’è la guerra, ci sarà anche Putin.
A questo punto il mio desiderio personale principale – quello che considero realizzabile in tempi immaginabili – è che questa guerra non possa essere definita una «guerra della Russia» o una «guerra dei russi» in Ucraina. Quello che voglio è che venga riconosciuta unicamente come una guerra di Putin in Ucraina e che egli rimanga sul suo lato del fronte sempre più solo. Più piccolo sarà il suo esercito fascista (sia quello armato, sia quello dei «commentatori sui social»), più sarà vicina la fine dell’inferno, più sarà vicina quella vittoria che voglio io. Questo è l’obiettivo che mi sono posto un anno fa scendendo nella mia piccola trincea digitale.
Ne sono infinitamente stanco, ma la mia stanchezza è imparagonabile a quella degli ucraini, quindi non posso arrendermi. E poi, a volte mi sembra di vedere dei piccoli risultati.