Immagino che almeno oggi la maggioranza dei lettori sia mentalmente concentrata su altri argomenti. Mentre io, da ospite, porto comunque un po’ di diversità in questa… ehm… strana giornata.
La guerra «tradizionale» putiniana in Ucraina procede come sappiamo. Ma sappiamo anche che Putin sta conducendo diverse guerre in contemporanea: tra esse c’è anche quella energetica con l’Occidente in generale e con l’Europa in particolare. Inizialmente molti commentatori (e forse Putin stesso) si stavano illudendo che fosse possibile reindirizzare tutto l’export russo delle risorse naturali verso la Cina. Questo, però era impossibile tecnicamente (mancano gli strumenti), economicamente (la Cina non ha bisogno di tutte quelle risorse) e politicamente (si è «scoperto» che la Cina non è tanto felice di litigare con gli USA e l’Europa). In seguito in molti (Putin compreso) hanno che fosse possibile esportare il petrolio – la voce principale dell’export russo – verso l’India, la quale avrebbe poi rivenduto una parte di esso ai «vecchi clienti» della Russia. Ed ecco che Putin ottiene una nuova grandissima vittoria tattica…
Il giornale «The Times of India» scrive che le raffinerie indiane intendono smettere di acquistare il petrolio russo. Le ragioni indicate sono l’aumento dei costi di trasporto e il passaggio alle importazioni dall’Africa e dal Medio Oriente. Comprese le spese di trasporto, il petrolio ESPO (il tipo del petrolio fornito attraverso l’oleodotto ESPO) costa 5–7 dollari in più rispetto ai tipi simili provenienti da altri Stati, come, per esempio, il Murban degli Emirati Arabi Uniti. Precedentemente il petrolio russo era più economico. Inoltre, le consegne di petrolio dalla Russia all’India richiedono circa un mese di tempo, mentre dal Medio Oriente le petroliere arrivano in una settimana.
Certo, il mercato del petrolio è globale, dunque non può funzionare senza il petrolio russo. Il problema sta nel fatto che fino al momento dei cambiamenti radicali nella propria politica estera (quindi anche interna) la Russia sarà sempre costretta a vendere il proprio petrolio sui mercati secondari a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato (un po’ perché gli acquirenti si approfittano delle difficoltà, un po’ perché vorranno guadagnarci sopra rivendendo ai terzi). Di conseguenza, sembra molto più sensato continuare a costringere di vendere ai prezzi sempre più bassi, e non tentare di liberarsi del tutto dal petrolio russo. In tal modo non si danneggia l’economia occidentale, ma si danneggia il regime di Putin (che sta vendendo il petrolio come se fosse tutto suo).
Spero che l’UE sempre più «rinnovata» lo capisca.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Giusto per cambiare un po’ l’argomento, questo sabato vi segnalo una lettura sulle attese del Cremlino (comunemente noto con il cognome Putin) circa i «risultati» dei «referendum» che si stanno «svolgendo» dal 23 al 27 settembre nei territori ucraini occupati dall’esercito russo.
Per qualche strano motivo Putin è convinto di avere diritto a «difendere» quei territori come se fossero russi solo e necessariamente dopo una formalità legale. E non importa che quella formalità non sia riconosciuta da alcun altro Stato (o organizzazione) del mondo. Certo, alcuni osservatori russi stanno dicendo da anni che Putin sia un classico legalista (lo è anche quando inventa, da un giorno all’altro, delle leggi a lui favorevoli), ma ora questa sua caratteristica sta assumendo una forma veramente ridicola.
Dmitry Peskov, il portavoce della presidenza russa, ha dichiarato che attualmente il Cremlino non vede la possibilità di porre fine alla guerra in Ucraina «con mezzi politici e diplomatici». A questo punto noi, di fronte a tale dichiarazione, non possiamo non gioire per un leggero miglioramento della salute psichica degli abitanti del Cremlino. Perché, effettivamente, con ogni giorno di guerra in Ucraina in più, la possibilità di uscirne con una trattativa diplomatica si riduce sempre più… Anzi, si è ormai ridotta quasi fino allo zero: l’Ucraina ha iniziato a invertire l’andamento dei combattimenti (ora sono gli ucraini ad avanzare in molte zone) e riceve – anche se ancora lentamente – sempre più armamenti moderni. Quindi alla grande motivazione di difendere la propria terra si è aggiunto anche l’entusiasmo per i primi risultati positivi visibili.
L’ipotetica resa dell’esercito russo è una fine diplomatica della guerra? Mi sembra di no: nella mia logica è un sinonimo della sconfitta. Prima o poi la resa smetterà di essere ipotetica e sarà seguita da lunghe trattative – a questo punto diplomatiche – sul risarcimento della Ucraina da parte della Russia. Ma quella sarà un’altra storia.
Per ora festeggiamo il fatto che Putin ha iniziato ad accettare la realtà.
Joe Biden ha deciso di comunicare al mondo che il mese di agosto è già finito la pandemia del Covid-19 è già finita.
Grazie, Captain O., non ce ne eravamo proprio accorti…
Ma, in realtà, dovremmo essere contenti che almeno uno dei Capi di Stato – ma allo stesso tempo uno dei più importanti – abbia iniziato a riconoscere la fine del Covid. Io, per esempio, temevo che l’ammissibilità della comodissima possibilità di imporre alla gente dei divieti più assurdi con un pretesto «nobile» si fosse ormai radicata nelle teste dei dirigenti statali contemporanei. E invece no. O, almeno non in tutte le teste.
Da oltre una settimana l’esercito ucraino sta riconquistando i territori occupati dall’esercito russo. È interessante notare che ci sta impiegando molto meno tempo di quello che è stato necessario all’esercito russo per conquistare gli stessi territori. Allo stesso tempo, bisogna ricordare che è solo l’inizio di una lunga strada (come ha detto pure Biden ahahaha).
Ma io, intanto, non potevo non pubblicare uno dei primi video sul ritorno dei militari ucraini. Molto probabilmente avete già visto alcune delle scene che ne fanno parte.
Il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato una nuova porzione di aiuti militari all’Ucraina, questa volta da 600 milioni di dollari. In particolare, all’esercito ucraino verranno forniti ulteriori munizioni per i lanciarazzi multipli HIMARS, 36 mila munizioni per l’artiglieria da 105 mm, mille proiettili d’artiglieria da 155 mm ad alta precisione e quattro radar anti-artiglieria, quattro camion, otto rimorchi per attrezzature pesanti, sistemi anti-droni, attrezzature per lo sminamento, mine antiuomo Claymore, cariche di demolizione, armi e munizioni di piccolo calibro e attrezzature per la visione notturna.
Ecco, l’ultimo punto della lista mi ha fatto ricordare un dettaglio curioso. Come probabilmente sapete, l’arma anticarro «Javelin» è monouso: secondo i suoi progettisti, un militare dovrebbe «sparare» un colpo, buttare via il tubo ormai inutile e scappare verso il riparo. Ma i militari ucraini, non essendo mai stati riccamente dotati di attrezzature militari moderne, hanno logicamente apprezzato il sistema di visione notturna incorporato in ogni «Javelin». Di conseguenza, non buttano mai gli esemplari usati, ma continuano a usarli nelle operazioni notturne per vedere bene il campo di battaglia.
La differenza tra gli eserciti che stanno combattendo in Ucraina sta nel fatto che in quello ucraino vengono favoriti l’ingegno e l’iniziativa, mentre in quello russo viene ancora adottato il sistema del rispetto rigoroso degli ordini arrivati dall’alto (in alto spesso stanno le persone non particolarmente intelligenti e/o informati). La differenza tra le due logiche è spesso evidente anche a noi, soprattuto negli ultimi giorni.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è arrivata a Kiev per la terza volta dall’inizio della guerra. Lo ha fatto con l’obbiettivo di discutere con il presidente Zelensky su «come avvicinare le nostre economie e i nostri popoli mentre l’Ucraina si avvia verso l’adesione all’UE».
Io non ho delle spie nei palazzi istituzionali di Kiev, ma so già benissimo come possono essere avvicinarsi le due economie e i due popoli: l’UE dovrebbe trovare il modo di fornire più armamenti seri all’esercito ucraino. Solo dopo tale azione tutti i discorsi sulla futura adesione ucraina all’UE potranno avere qualche senso pratico. Infatti, il primissimo requisito da rispettare per diventare, prima o poi, uno Stato-membro dell’UE è l’esistenza fisica del candidato stesso.
Vladimir Zelensky sta chiedendo — anche pubblicamente — più armamenti ormai da quasi sette mesi, ma, a quanto pare, Ursula von der Leyen non lo ha ancora sentito.
L’intelligence statunitense sostiene che a partire dal 2014 la Russia avrebbe finanziato in segreto dei partiti politici, singoli politici e alti funzionari in «due dozzine» di Stati esteri. Inoltre, si ipotizza che alcuni dei trasferimenti finanziari del genere della Russia possano essere passati senza essere notati. Secondo quanto sostengono gli Stati Uniti, le autorità russe pianificavano di spendere altre centinaia di milioni di dollari per i finanziamenti del genere.
Per ora si parla solo dei finanziamenti destinati alle forze politiche nei Balcani, in Africa e in alcune zone dell’Asia, ma la mia memoria mi suggerisce che pure qualche politico italiano dovrebbe iniziare a preoccuparsi: gli americani sanno tutto e potrebbero pubblicare delle informazioni molto interessanti anche prima del 25 settembre 2022. Certo, anche in altri Stati europei – per esempio in Francia – ci sono dei singoli politici e dei partiti che negli ultimi anni hanno miracolosamente migliorato la propria situazione finanziaria dopo qualche visita a Mosca. Ma io, in questo momento, sono un po’ più incuriosito della situazione italiana: chissà quanti personaggi hanno già rischiato l’infarto dopo la lettura della notizia citata sopra…
P.S.: ma la situazione corrente è comunque ancora lontana da quella dell’epoca URSS, quindi dai tempi in cui più o meno tutti i partiti (o i movimenti) di sinistra di tutto il mondo venivano in qualche misura finanziati da Mosca. Infatti, dopo il 1991 abbiamo osservato una «strana» coincidenza: molti partiti di sinistra sono entrati in crisi e molti regimi si sinistra sono addirittura crollati. Ma questo è un argomento enorme, ne scriverò nei tempi più appropriati.
Non so se tutti si rendono conto – tra i vertici dello Stato russo e tra i semplici cittadini europei – che l’esercito ucraino è arrivato alla situazione della graduale riconquista dei propri territori combattendo, trattenendo e poi cacciando il «secondo esercito del mondo» utilizzando, per la maggior parte del tempo, solo delle armi obsolete. Utilizzando le armi del millennio scorso.
Proviamo a fare un breve elenco. La prima categoria degli armamenti include quelli forniti dagli Stati dell’ex Patto di Varsavia:
– i vecchi carri armati sovietici T-72 (in uso dal 1973);
– gli elicotteri Mi-17 (in uso dal 1992);
– i missili di produzione sovietica.
La seconda categoria degli armamenti include quelli forniti della NATO:
– i lanciarazzi Carl Gustav del 1948;
– i lanciarazzi M72 LAW del 1963;
– i veicoli blindati M113 e Humvee degli anni ’60;
– i semoventi antiaerei Ghepardi tedeschi del 1976;
– i missili antinave Harpoon del 1977;
– i missili Stinger del 1981;
– i sistemi missilistici Mistral del 1987;
– i sistemi anti-carro Javelin del 1989;
– i missili ATACMS del 1991.
[gli armamenti elencati fino a questo punto sono stati sviluppati ancora ai tempi dell’URSS]
– le obici semoventi PzH 2000 del 1998;
– i missili MANPADS Starstreak del 1997;
– i missili Brimstone del 1999;
– le obici AHS Krab del 2000;
– i lanciarazzi multipli HIMARS in uso dal 2005;
– i missili aria-aria IRIS-T in uso dal 2005;
– le obici M777 in uso dal 2005;
– le obici CAESAR in produzione dal 2002.
Ora potete immaginare la correlazione tra l’arrivo degli armamenti più moderni e i recenti successi dell’esercito ucraino. Oppure, potete provare a immaginare cosa potrebbe succedere qualora dovessero essere forniti degli armamenti moderni ancora più seri: per esempio, i droni Reaper o i caccia F-35.
Nel frattempo, l’esercito russo – il quale sarebbe dotato, secondo Putin, degli armamenti super moderni dei quali che nessun altro nel mondo dispone – è messo in difficoltà dal piccolo esercito ucraino armato con dei rottami (e non aiutano nemmeno i rottami sovietici).
A giugno mi era capitato di postare alcune foto-ricordo di una classe ucraina che proprio nel 2022 ha finito gli studi scolastici. Erano delle immagini molto particolari in vari sensi.
Questa volta, invece, vi faccio vedere le foto di altri scolari ucraini: quelli che il 1 settembre 2022 hanno iniziato un nuovo anno scolastico. Le immagini sono state realizzate in quello che resta – dopo i bombardamenti russi – di un edificio scolastico nella città di Chernihiv.
Tutte le foto sono del fotografo spagnolo Emilio Morenatti (AP).
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