L’archivio della rubrica «Nel mondo»

La Cina elimina i dubbi

Le persone che seguono poco la politica internazionale (oppure non la capiscono) di fronte a ogni notizia circa le sanzioni contro la Russia – da anni, non solo nell’occasione di questa guerra – spensieratamente dicono: «Beh, tanto c’è la Cina…»
Lo stato reale delle cose ha già dimostrato una infinità di volte che la Cina non ha alcun interesse e alcuna intenzione di aiutare la Russia. Non le conviene economicamente perché è un mercato piccolo e povero. Non le conviene politicamente perché non vuole litigare troppo fortemente con gli USA e l’Europa (molto più potenti e ricchi). Può provare di sfruttare le risorse naturali e i territori russi, può utilizzare il territorio russo come una strada di passaggio verso l’Europa, ma non è disposta di rischiare facendosi coinvolgere in relazioni politiche o economiche troppo strette.
L’ultima testimonianza di tale concetto è il documento «La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina» pubblicato il 24 febbraio dal Ministero degli Esteri cinese. Il documento è pieno di espressioni molto-molto diplomatiche… Talmente diplomatiche che non si capisce che senso abbia avuto pubblicarle.
L’unica dichiarazione da senso preciso e ben determinabile è contenuta al primo punto. Con quel punto la Cina, in sostanza, sta dicendo alla Russia: «uscite dal territorio ucraino internazionalmente riconosciuto e solo dopo parliamo di tutto il resto». La posizione mi sembra molto chiara:

1. Respecting the sovereignty of all countries. Universally recognized international law, including the purposes and principles of the United Nations Charter, must be strictly observed. The sovereignty, independence and territorial integrity of all countries must be effectively upheld. All countries, big or small, strong or weak, rich or poor, are equal members of the international community. All parties should jointly uphold the basic norms governing international relations and defend international fairness and justice. Equal and uniform application of international law should be promoted, while double standards must be rejected.

Meno male che c’è la Cina. E meno male che è riuscita mostrare le proprie reali intenzioni non solo ai dirigenti dello Stato russo, ma anche al pubblico internazionale.
P.S.: l’immagine con la quale posso illustrare al meglio il presente post è stata suggerita, involontariamente, dallo staff di Vladimir Putin. Vi ricordate il suo mega-tavolo diventato famoso poco prima della guerra? Ebbene, guardate come viene utilizzato da Putin quando egli si trova a parlare con un diplomatico dal quale vuole realmente qualcosa:

Che tristezza ridicola…


I Mi-8 croati

Leggo che la Croazia sta preparando un nuovo aiuto militare per l’Ucraina: ha iniziato a preparare la consegna di 14 elicotteri da trasporto Mi-8. Si tratterrebbe di dodici Mi-8MTV-1 e due Mi-8T che sono stati ritirati dalle Forze Armate croate e vengono ora preparati per il trasporto verso l’Ucraina. Il processo di preparazione dovrebbe durare circa dieci giorni, dopodiché gli elicotteri saranno trasportati in Polonia e da lì inviati in Ucraina.
Tale piccola notizia è positiva anche perché in Ucraina, sicuramente, ci sono ancora tantissimi piloti e tecnici che sanno gestire quelle macchine a occhi chiusi. Ma, allo stesso tempo…
Negli ultimi anni (o decenni? boh, non mi ricordo neanche più…) ho sentito e letto diverse volte che il Mi-8 è un elicottero poco costoso, ma allo stesso tempo è un mangia-carburante mostruoso. Di conseguenza, dopo la fine della guerra anche i croati potranno scherzare tanto sul fatto che Putin avrebbe contribuito, indirettamente, a un consumo più responsabile dei combustibili fossili nel loro Paese. Almeno in questo modo ha spinto in avanti il progresso…


La lettura e la visione del sabato

In occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina (in realtà anche con alcuni giorni di anticipo) molte persone e molti media in Ucraina e in Russia hanno cercato di ricordare l’ultimo giorno della vita pacifica: il 23 febbraio 2022. Alcuni si limitano a scrivere della quotidianità, alcuni altri ricordano – o pensano di ricordare – il presentimento degli eventi tragici. Pochissimi trovano il coraggio di ricordare che pure il 23 febbraio la guerra appariva, almeno alle persone comuni, improbabile dal punto di vista puramente razionale. Ma su quest’ultimo aspetto sono già state dette e scritte tantissime parole, soprattutto nei primi mesi della guerra.
In ogni caso, pure io ho provato immaginare quali ricordi del mondo pre-bellico possano essere segnalati ai miei lettori. Alla fine, ho deciso di consigliare due pubblicazioni di genere un po’ diverso. La prima è una selezione delle foto della Ucraina delle poche settimane antecedenti l’aggressione putiniana.

La seconda pubblicazione segnalata è un testo: la cronaca del primo giorno della invasione raccontata da una guardia di frontiera ucraina.


Un anno di guerra

Ed ecco che siamo giunti al primo anniversario della guerra in Ucraina.
Avrei preferito che questo anniversario non ci fosse mai stato. Che non ci fosse stato quel punto di partenza del cronometraggio. E che non ci fosse stato tutto ciò che è successo tra le due date. Ma, purtroppo, questo inferno sta continuando e io non so quanti altri anniversari della guerra in corso ci aspettano ancora. Dall’ultimo discorso di Putin alla Assemblea Federale abbiamo appreso, tra le altre cose, che l’unico obiettivo finale di questa guerra è la vittoria: una vittoria che dovrebbe una forma della quale nemmeno Putin stesso ha una idea precisa. Ma, allo stesso tempo, è già chiaro che l’Ucraina non si arrenderà (in primo luogo, perché non vuole farlo; in secondo luogo, perché è sostenuta da tutto il mondo civilizzato) e che Putin non spaccerà per la vittoria almeno i pochi risultati raggiunti (altrimenti tutti gli eserciti russi – quello ufficiale e quelli privati – non si andrebbero costantemente in nuovi attacchi). Di conseguenza, finché c’è Putin ci sarà anche la guerra, e finché c’è la guerra, ci sarà anche Putin.
A questo punto il mio desiderio personale principale – quello che considero realizzabile in tempi immaginabili – è che questa guerra non possa essere definita una «guerra della Russia» o una «guerra dei russi» in Ucraina. Quello che voglio è che venga riconosciuta unicamente come una guerra di Putin in Ucraina e che egli rimanga sul suo lato del fronte sempre più solo. Più piccolo sarà il suo esercito fascista (sia quello armato, sia quello dei «commentatori sui social»), più sarà vicina la fine dell’inferno, più sarà vicina quella vittoria che voglio io. Questo è l’obiettivo che mi sono posto un anno fa scendendo nella mia piccola trincea digitale.
Ne sono infinitamente stanco, ma la mia stanchezza è imparagonabile a quella degli ucraini, quindi non posso arrendermi. E poi, a volte mi sembra di vedere dei piccoli risultati.


Biden a Kiev

La visita di Joe Biden a Kiev è un evento bellissimo in tanti sensi, ma ha un aspetto che più o meno tutti trascurano o interpretano male.

Il fatto è che in realtà noi non sappiamo di cosa è stato avvisato «il Cremlino». In tanti presumono che sia stato avvisto esplicitamente del volo e della visita di Biden, ma ufficialmente (almeno al momento della scrittura di questo post) nessuno ha detto che il contenuto dell’avviso sia stato esattamente quello.
Di conseguenza, possiamo solo presumere – oppure «sperare» – che l’Ambasciata statunitense a Mosca abbia comunicato (tradotto in linguaggio parlato) qualcosa del genere: «L’aereo del Presidente sta per fare la tratta X. Hai i coglioni per fare qualcosa?»
Abbiamo visto tutti la risposta.


Le notizie del cinema documentario

Due notizie del cinema documentario:
1. Il film «Navalny» di Daniel Roher (nominato all’Oscar 2023) ha ricevuto il premio BAFTA nella categoria «Miglior documentario». Spero che anche questo aiuti alla sua promozione.

2. Alla Berlinale 2023 è stato mostrato il film di Sean Penn «Superpower» dedicato a Zelensky (secondo l’idea iniziale doveva essere un film su uno showman diventato presidente, ma la guerra ha cambiato radicalmente anche questo progetto). I critici dei quali mi fido dicono che è un film interessante e, in un certo senso, una risposta alle stronzate pro-putiniane che da anni produce Oliver Stone.
La morale: negli ultimi tempi il mio interesse verso i documentari ha raggiunto livelli mai visti. Sto considerando l’idea di ricominciare a pubblicizzare sulle pagine di questo sito i film che mi sono piaciuti di più.


Non escludo che lo abbiate già letto: il 7 febbraio il National Security Archive della George Washington University ha reso pubblici tre documenti del 1993 relativi alla Russia e precedentemente classificati come segreti. In particolare, si tratta di:
1) la trascrizione della prima conversazione tra Bill Clinton e Boris Eltsyn dopo l’insediamento alla Presidenza russa;
2) un messaggio del Segretario di Stato uscente Lawrence Eagleberger al suo successore Warren Christopher;
3) una nota dell’esperto di Russia Strobe Talbott al Segretario di Stato entrante Christopher Warren alla vigilia del suo incontro con il Ministro degli Esteri russo Andrei Kozyrev.
Non so quale dei tre documenti vi possa interessare di più (ovviamente, se vi interessate ai documenti del genere). Considerato il contesto nel quale viviamo ora, potrebbe essere il secondo documento: in esso, tra le altre cose, viene ammessa la possibilità di un conflitto armato tra la Russia e qualsiasi Stato al suo confine, compresa l’Ucraina (anche se in questo specifico caso lo scontro veniva giudicato come poco probabile).
Se siete realmente interessati all’argomento, leggete pure gli originali.


La risoluzione europea su Navalny

Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita le autorità russe a rilasciare il leader dell’opposizione Aleksey Navalny e altri prigionieri politici russi. Il comunicato stampa del Parlamento europeo afferma, poi, che, fino a quando i prigionieri politici non saranno rilasciati, le condizioni della loro detenzione dovranno essere conformi agli impegni internazionali della Russia. In particolare, i deputati chiedono che a Navalny sia consentito di vedere la sua famiglia e di rivolgersi ai medici e agi avvocati di sua scelta.
E poi ci sono altre belle parole sulla guerra in Ucraina e sul destino giudiziario del criminale chiamato Putin.
A questo punto non riesco a capre ben due cose: 1) a chi è rivolta la risoluzione (se non alla coscienza degli eurodeputati che vogliono sentirsi bravi) e 2) quanto bene sia chiara ai deputati europei la totale inutilità pratica del documento da loro prodotto.
Però posso sfruttare l’occasione per informarvi di una idea che mi capita sempre più spesso di sentire da alcuni giornalisti russi: Aleksey Navalny è un prigioniero politico che — mentre persiste il regime putiniano — non verrà liberato, ma nemmeno ucciso su «ordine supremo» proprio perché è una merce di scambio preziosissima. Una merce da utilizzare non per liberare qualche collaboratore importante di Putin (anche perché nessun Stato occidentale si è finora deciso di arrestarne uno, per esempio il ministro degli Esteri Lavrov), ma per ottenere qualcosa di importanza vitale in una situazione di vera emergenza. Navalny è l’oppositore russo con la notorietà e la reputazione più elevati al livello mondiale, quindi può essere scambiato, per esempio, per la possibilità dei vertici russi di fuggire da qualche parte in America latina o su qualche isola oceanica… So che sembra quasi una teoria complottistica, ma ha una sua logica interna.
P.S.: ovviamente, tutto questo non significa che la vita terrestre di Aleksey Navalny non sia quotidianamente a rischio per colpa di un impegno professionale eccessivo dei carcerieri russi.


Le foto di un parcheggio

Il giornale tedesco Nordsee-Zeitung ha pubblicato sul proprio sito un articolo riccamente illustrato con delle foto scattate nel porto di Bremerhaven (Germania). Se siete capaci di leggere in tedesco o, almeno, usare i traduttori online, leggetelo pure. Ma in realtà potrebbe essere interessante anche solo guardarlo.

In sostanza, si tratta di una piccola parte degli aiuti Continuare la lettura di questo post »


Yahoo News scrive che un ingegnere russo – che dal 2018 al 2021 avrebbe collaborato alla costruzione bombardiere strategico Tu-160 a Kazan – alla fine di dicembre 2022 ha chiesto l’asilo politico negli USA presentandosi al confine messicano. Dai documenti ottenuti i giornalisti hanno potuto scoprire l’identità della persona, e proprio questo fatto è sembrato a loro abbastanza strano: solitamente i personaggi del genere – se e quando giudicati attendibili – vengono protetti con più efficienza.
A me, un semplice lettore attento delle notizie, l’accaduto non sembra invece strano: molto probabilmente – anche se non posso averne l’assoluta certezza – si tratta di un nuovo e logico passaggio nella guerra mondiale di informazione. In sostanza, attraverso un canale giornalistico (anche se non tra i più popolari a livello mondiale) si è voluto lanciare un nuovo messaggio a tutti quei russi che attualmente collaborano con il proprio Stato nell’ambito militare: «scappare non è ancora tardi, vi accoglieremo». Sarebbe uno dei modi (o tentativi) di indebolire la macchina bellica russa. Uno dei modi tradizionali che potrebbero avere un effetto positivo, indipendentemente dalla sua portata.