L’archivio della rubrica «Nel mondo»

Annalena Berbock testimonia

Ieri, improvvisamente, è stata fatta una ammissione interessante: la ministra degli Esteri tedesca Annalena Berbock ha dichiarato alla CNN che alcune delle armi inviate dalla Germania all’Ucraina non funzionavano. E i dubbi circa il funzionamento – ma anche la capacità di utilizzo da parte dei militari ucraini – ostacolano la fornitura di altri armamenti, almeno da parte della Germania.
Boh… A me sembra di vedere due soluzioni – praticabili anche contemporaneamente – abbastanza ovvie al problema: 1) fornire più armamenti, per fare in modo ne funzioni correttamente una percentuale più alta possibile; 2) iniziare, finalmente, a fornire qualcosa di più recente e serio. La prima soluzione è naturalmente limitata dalla disponibilità fisica delle scorte, la seconda richiede l’addestramento dell’esercito ucraino (anche n temini di coordinamento tra le varie forze che compongono l’esercito). Ma in oltre un anno e mezzo di guerra ci si poteva organizzare o almeno preparare un piano concettuale…


Solo statistiche

Le Forze per le Operazioni Speciali ucraine hanno affermato che il 22 settembre nell’attacco missilistico contro il quartier generale della Flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli sono stati uccisi 34 ufficiali russi e feriti 105 militari russi. Tra gli uccisi, secondo l’esercito ucraino, ci sarebbe anche il comandante della Flotta russa del Mar Nero, l’ammiraglio Viktor Sokolov.
Si tratta sicuramente delle notizie di cronaca (e, probabilmente, delle informazioni storiche) interessanti, ma, allo stesso tempo, possiamo dire che quei numeri sono solo delle statistiche. Infatti, nel caso di un attacco del genere non ha alcuna importanza chi in particolare è stato ucciso e/o cosa è stato distrutto. Lo Stato russo ha tanti ufficiali (nessuno dei quali sembra distinguersi particolarmente per le proprie qualità professionali) e tiene tutti i documenti militari e tecnici in formato digitale (lo presumo perché secondo me ormai succede anche negli Stati dell’Africa centrale). Di conseguenza, un attacco del genere – assieme a tutte le sue conseguenze esprimibili in perdite umane o materiali – ha più un valore simbolico e motivazionale per l’esercito ucraino. Quest’ultimo, dopo oltre un anno e mezzo di guerra, ha tantissimo bisogno di essere motivato anche con dei successi del genere.


Le fantasie trasmesse da Lavrov

Il 23 settembre, in occasione della conferenza stampa tenutasi a New York sui risultati della 78a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che la Russia «sostiene» l’integrità territoriale dell’Ucraina a condizione che vengano rispettate le clausole della Dichiarazione di indipendenza del 1991. E ha fatto capire che secondo lui in Ucraina non sarebbero state rispettate alcuni punti della suddetta Dichiarazione: i diritti delle minoranze nazionali, della lingua russa e di altre lingue.
In questo modo, in sostanza, ha ammesso che tutti i «problemi» con i quali sono stati giustificati l’annessione della Crimea e l’invasione del Donbass sono stati inventati e creati dalla Russia stessa. Perché tranne il rafforzamento graduale della lingua ucraina in qualità della lingua ufficiale di tutto il Paese — che solo con tanta fantasia può essere vista come una violazione della Dichiarazione del 1991 — non mi ricordo di avere notato altre manifestazioni del mancato rispetto del documento citato.
Insomma, Lavrov si è esercitato, come al solito, nella inutile e immotivata demagogia statale russa. Potevamo aspettare da lui qualcosa di diverso? No. E allora chiudiamo il caso.


Una reazione interessante

Lo avete già letto: il 20 settembre, cinque (pare) «peacekeepers» russi sono stati uccisi in Nagorno-Karabakh: il loro veicolo è finito sotto il fuoco di armi leggere azere. Non voglio ipotizzare che tipo di «peacekeepers» fossero: la prassi insegna che i militari russi possono solo tentare di condurre delle guerre di conquista (vedi l’Ucraina) o non fare nulla (vedi il Nagorno-Karabakh), ma non li ho ancora visti garantire o imporre la pace. Però in questi giorni ho visto una reazione interessante alla loro morte.
Sembra che il presidente azero Ilham Aliyev si sia scusato al telefono con Putin; il portavoce Peskov ha detto che «non conosciamo ancora tutti i dettagli di questa vicenda, ma almeno è in corso un’indagine»; non ci sono notizie sulla reazione di Putin stesso a quanto accaduto. Tutto ciò significa che Putin ha semplicemente accettato silenziosamente la notizia della uccisione dei militari russi: perché la sua formidabile e intransigente reazione ci sarebbe stata certamente riferita, anche in formato video (e ci ricordiamo benissimo che nel 2008 una situazione molto simile era stata un pretesto sufficiente per la guerra contro la Georgia). Ma Putin sa benissimo che tutte le sue forze militari sono ora impegnate in Ucraina, quindi non ci sono le risorse per affrontare l’Azerbaigian e il suo sponsor Turchia. Così se ne sta lì, con la paura di scoreggiare, da far vedere che sia successo qualcosa di degno di nota.
Un grande e terribile Putin…


In qualche modo scappano tutti

Intanto il partito francese Rassemblement National – quello guidato da Marine Le Pen fino al 2021 – ha annunciato l’estinzione anticipata del credito contratto dal partito nel 2014 con la First Czech-Russian Bank (PCRB). Il comunicato del partito ha sottolineato che il Rassemblement National ha rimborsato completamente il debito residuo di circa sei milioni di euro, anticipando la scadenza fissata al 20 dicembre 2028. Kevin Pfeffer, il tesoriere del partito, ha spiegato in una conversazione con il Financial Times che il Rassemblement National voleva liberarsi al più presto del prestito russo che gli avversari politici hanno usato più volte per attaccare il partito.
Potrei rattristarmi per il fatto che le strutture finanziarie legate allo Stato russo ricevano delle somme – anche se relativamente piccole – dall’estero… Ma nella mia testa prevale la gioia per il fatto che almeno per ora lo Stato russo faccia molta più fatica – sia dal punto di vista tecnico che politico – a finanziare le forze politiche destabilizzanti in giro per il mondo sviluppato. Come abbiamo visto, sta cercando di fare dei piccoli regali ad alcuni Stati africani (i quali, comunque, si ribellano chiedendo – al posto della elemosina – di non influire negativamente su alcuni processi economici globali), ma almeno in Europa dai soldi russi scappa pure Le Pen. Significa che le varie stronzate a favore della guerra e contro l’Ucraina saranno pronunciate sempre più dai cretini convinti che da quelli pagati. E io sono contento…


Le scelte di Erdogan

La Reuters scrive, citando i dati doganali russi, che nella prima metà del 2023 la Turchia è diventata il più grande importatore di carbone dalle regioni di Donetsk e Luhansk annesse dalla Russia: avrebbe acquistato circa il 95% di tutte le esportazioni. In totale, la Turchia avrebbe importato circa 160 mila tonnellate di carbone dai territori annessi dell’Ucraina tra il febbraio e il giugno. Il valore di queste forniture è stato stimato dai giornalisti in 14,3 milioni di dollari. Il carbone sarebbe stato consegnato alla Turchia dai porti di Rostov-on-Don e Novorossiysk, collegati a Donetsk e Luhansk da linee ferroviarie.
A questo punto è molto importante non dimostrarsi ingenui e non stupirsi del comportamento di Erdgan che fino a qualche tempo fa appariva un «alleato» della Ucraina nella guerra. Ma in realtà Erdogan vuole solo una cosa: indebolire la posizione della Russia nella regione, per esempio nel Mar Nero che potrebbe di fatto diventare un mare interno turco dopo la distruzione della flotta russa. Se Erdogan fosse un vero alleato dell’Ucraina, avrebbe già bloccato tutte le esportazioni verso la Russia dei beni bloccati dalle sanzioni che ora viaggiano attraverso il territorio turco. E non avrebbe comprato il carbone a buon prezzo dalla Russia che se ne è appropriata. Ma sulla pratica continua a fare, di volta in volta, esattamente ciò che gli conviene. Quindi spesso anche aiutare militarmente l’Ucraina.


Il triste destino di Lukashenko

Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che condanna la partecipazione del regime di Alexander Lukashenko all’aggressione militare «ingiustificata, illegale e non provocata» della Russia contro l’Ucraina.
Tutte le motivazioni – numerose – della risoluzione possono essere lette sulla apposita pagina ufficiale.
Mentre io sono quasi pronto a esprimere le mie condoglianze a Lukashenko. Per tutta la sua carriera politica aveva cercato di ottenere qualcosa da due «fronti» politici in mezzo ai quali si trova (la Russia e l’Europa). Cercava di rimanere l’ultimo dittatore, ma utile a tutti per guadagnare un po’ da tutte le parti. Ma nel 2022 – e nemmeno nel 2023 – non poteva esprimere la contrarietà alla guerra perché immaginava troppo facilmente tutte le conseguenze per la propria persona e per il proprio regime (Putin avrebbe punito subito). Ha cercato di apparire più neutrale possibile, ma non si è comunque salvato dalla condanna europea.
Non so se sarà capace di cercare l’origine del fallimento nel proprio comportamento degli ultimi decenni.


La mossa “nemica” della Armenia

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato ieri che lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale sarà ratificato integralmente:
Il governo ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento e, secondo la mia posizione e quella della frazione del nostro partito, lo Statuto sarà pienamente ratificato. Il fatto della ratifica non ha nulla a che fare con le relazioni tra l’Armenia e la Russia, ma riguarda le nostre questioni di sicurezza.
Il Governo armeno ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento per la ratifica il 1° settembre. Il presidente del Parlamento Alen Simonyan ha dichiarato che il documento, firmato dalla Armenia nel 1998, verrà ratificato presto.
Si tratta di uno di quei rarissimi casi in cui io interpreto le parole del linguaggio diplomatico esattamente così come sono state pronunciate. L’Armenia si trova realmente in una situazione del costante percolo bellico accompagnato dai vari crimini di guerra. Mentre Putin – per il quale è stato emanato il mandato internazionale di arresto proprio dalla Corte penale internazionale, istituita dal suddetto Statuto – viaggia poco all’estero e non vorrà certamente visitare una zona già poco sicura come l’Armenia. Di conseguenza, è evidente più o meno a tutti che la suddetta ratifica dello Statuto non è una misura rivolta (almeno in via principale) contro di lui: l’Armenia dipende ancora in molti aspetti dalla Russia, dunque l’applicazione dello Statuto sarà sicuramente molto selettiva. Ma il Ministero degli Esteri russo, ovviamente, non poteva non esprimere pubblicamente la propria «preoccupazione»: fa parte del suo lavoro.


Che cosa era arrivato

L’Ucraina ha lanciato nella notte un attacco missilistico contro una fabbrica di riparazione navale nella zona occupata di Sebastopoli. Il Ministero della «Difesa» russo ha dovuto ammettere che sono stati colpiti e danneggiati con tre missili da crociera la fabbrica e due navi da guerra in fase riparazione. I residenti locali hanno riferito di aver sentito almeno sette esplosioni.
A prima vista non sembrerebbero dei danni eccezionali. Però possiamo provare a vedere la mappa e ricordarci che Sebastopoli è una delle città ucraine occupate attualmente più lontane dalla linea del fronte. Questo potrebbe farci pensare che l’Ucraina abbia finalmente ricevuto i ATACMS e che sappia già usarli bene.
Molto bene: è un altro piccolo passo in avanti.


Chi ha più bisogno

Stamattina il treno blindato con il leader nordcoreano Kim Jong-un è arrivato in Russia. Sarebbe il primo (almeno tra quelli noti) viaggio internazionale di Kim da quando è iniziata pandemia del Covid-19.
Immagino dunque che sia stata una vera lotta tra due titani della diplomazia: tra Putin che ha paura di uscire dalle Russia per motivi legali (ricordiamoci che è uno ricercato internazionale) ma ha bisogno dell’aiuto bellico della Corea del Nord (pensate quanto in basso è caduto) e tra Kim Jong-un che ha ancora paura di uscire dalla Corea del Nord per motivi sanitari (sì, pare che abbia ancora pura del covid) ma evidentemente ha un forte bisogno dell’aiuto materiale dalla Russia (nella sua Corea del Nord starebbe finendo il cibo).
Ecco, l’aspetto della visita di Kim Jong-un in Russia che i interessa di è di più e proprio quello: come ha fatto Putin (che ha bisogno di più cose) a convincere Kim Jong-un che deve essere lui a viaggiare. Tutto il resto sono dei piccoli, poco significativi dettagli…