L’articolo segnalato questo sabato è la testimonianza della fotografa Nicole Tung che ha passato diversi mesi – a partire dai primi giorni – a fotografare la guerra in Ucraina. Esistono tante interviste ai fotografi di questa guerra, in quella consigliata oggi è particolarmente interessante l’aspetto della abitudine alla guerra, della integrazione della guerra nella vita quotidiana.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
È sicuramente bella la storia di quel signore giapponese che con l’inizio della guerra è andato a fare il volontario in Ucraina, dopo circa sette mesi ha venduto la propria casa in Giappone e ha aperto un «ristorante» a Kharkiv per far mangiare gratis circa cinquecento persone al giorno.
Ma esistono anche delle iniziative di portata molto più ampia, non meno belle e statisticamente più utili. Per esempio, l’organizzazione World Central Kitchen ogni giorno distribuisce più di 100.000 pasti ai rifugiati ucraini in 9000 sedi. I prodotti necessari per la preparazione dei pasti provengono da tutto il mondo.
Anche le donazioni si accettano da tutto il mondo.
Per qualche strano motivo pure i media occidentali hanno iniziato a scrivere che i droni «ucraini» (in realtà non si capisce proprio da chi siano stati inviati) avrebbero «colpito Mosca». Molto probabilmente i loro autori sono rimasti vittime della propaganda russa e non hanno avuto abbastanza pazienza per guardare bene la mappa. Mentre in Russia qualcuno ha fatto lo sforzo di segnare sulla mappa i punti ai quai ieri è arrivata la maggioranza dei famosi droni:
Ebbene, le mappe vanno non solo contemplate, ma anche analizzate: nel caso specifico considerato ora non si tratta di una zona geografica qualsiasi. Si tratta di una delle zone più costose, più «fighe», più prestigiose, più di lusso della periferia moscovita (si trova a sud-ovest della città). Per comprarci un terreno e/o un immobile molto spesso non è nemmeno sufficiente avere tanti soldi: ci vogliono anche le amicizie giuste (altrimenti non avrai la vita tranquilla). In particolare, i droni sono andati nei seguenti punti:
Uno dei droni è caduto nel villaggio di Ilyinskoe, a soli 3 chilometri dalla residenza del presidente Putin a Novo-Ogarevo.
Uno dei droni è caduto nel villaggio di Znamenskoe si trova la tenuta di Gennady Timchenko, un amico di Putin. Accanto c’è la residenza Gorki-9 del Primo Ministro Mikhail Mishustin e la casa di Kirill Shamalov, l’ex genero di Putin. Nelle vicinanze vivono il padre del governatore della Regione di Mosca, il senatore Yury Vorobiev e il ministro della «Difesa» Sergei Shoigu.
Passiamo al punto seguente. Le ville degli amici più stretti di Putin, Arkady e Boris Rotenberg, si trovano una di fronte all’altra nel villaggio di Zhukovka, nel polo di Ilyinskoe. E accanto c’è la casa dell’amante di Shoigu, Elena Shebunova. Nell’insediamento di Landscape, Sergei Kirienko ha una casa. Igor Sechin ha una casa a Barvikha. L’ex dacia del ministro sovietico Mikoyan è di proprietà di Viktor Zolotov, capo del Servizio di Guardia Nazionale.
Un altro punto di caduta. Ad Arkhangelskoye si trova la casa di Valery Zorkin, capo della Corte Costituzionale.
Negli stessi luoghi vivono anche i «principi»: i figli di Igor Sechin (il capo della Rosneft), Inga e Ivan (a Barvikha), il genero di Zolotov (il capo della Guardia Nazionale), Yuri Chechikhin, e il figlio di Zolotov, Roman (a Rechnoye).
Un altro drone, poi, drone era diretto a Vlasikha, il posto di comando centrale delle forze missilistiche strategiche.
Insomma, cosa (chi) e per quale scopo i droni abbiano attaccato non è quella domanda alla quale si possa rispondere con «Mosca, per intimidire».
E non vedo nemmeno alcuna chiara indicazione del fatto che i droni siano stati lanciati dall’esercito ucraino.
Molto probabilmente vi è già capitato di leggere che la settimana scorsa Vladimir Putin ha ottenuto una importantissima vittoria nella sua «guerra del gas».
Il Bloomberg scrive, citando i partecipanti alla fiera annuale dell’energia E-World di Essen, che secondo i top manager dei principali operatori i prezzi dei contratti del gas a breve termine in Europa potrebbero diventare negativi in alcuni brevi periodi di questa estate. Un evento di questo tipo (in cui i produttori di gas pagano gli acquirenti che prendano il loro gas) sta diventando sempre più probabile, dato che i prezzi si sono già avvicinati ai livelli pre-crisi. La settimana scorsa i prezzi del gas nella borsa europea sono scesi sotto i 300 dollari per mille metri cubi per la prima volta in due anni. Alla contrattazione del 26 maggio, il costo dei futures di giugno sull’hub TTF nei Paesi Bassi è sceso dello 0,3%, a 25,38 euro per 1 MWh, o circa 286 dollari per 1000 metri cubi, incluso il tasso corrente sul mercato forex internazionale.
In particolare, in alcuni mercati regionali del gas in Europa i prezzi potrebbero diventare negativi nelle ore o nei giorni in cui si registra un’elevata produzione di energia rinnovabile.
Per apprezzare meglio la suddetta notizia, ricordatevi le preoccupazioni per l’inverno freddo che si provavano in Europa appena otto o nove mesi fa. La velocità con la quale è stata raggiunta la «grande vittoria» è impressionante.
Tra tutti i possibili argomenti in qualche modo correlati alle elezioni presidenziali turche mi ha stupito maggiormente una relativa tranquillità dei rappresentanti dello Stato e della propaganda russi. Infatti, Recep Tayyip Erdoğan non solo è un presidente politicamente comprensibile a Putin, ma anche un presidente comodo per la sua prevedibilità: i due regimi «si conoscono» da vent’anni e sanno come trattare con successo in tutte le situazioni possibili e immaginabili.
Di conseguenza, mi è sembrato strano di non vedere un particolare tifo statale russo per Erdoğan e di non sentire di alcuna teoria abbastanza credibile circa l’interferenza russa nelle elezioni turche. Nemmeno la teoria sulla interferenza nelle elezioni presidenziali americane era tanto credibile (o, almeno, la sua portata era stata un po’ esagerata), ma questa volta proprio non ho letto o sentito delle cose del genere.
Saranno stati troppo sicuri della vittoria di Erdoğan.
Il presidente armeno Nicol Pashinyan aveva annunciato già lunedì la storica – e a suo modo saggia – decisione di fare un passo concreto e utile verso la reale fine del conflitto pluridecennale e riconoscere il Nagorno-Karabakh come un territorio azero. Naturalmente non so cosa accadrà in pratica e non posso essere sicuro che il tutto proceda senza problemi e/o lungaggini.
Non posso però non sottolineare che l’accordo generale sull’argomento suddetto (anche se senza ancora firmare alcun documento ufficiale) è stato ieri raggiunto con Aliyev proprio a Mosca: cioè nella capitale di uno Stato che si è dimostrato del tutto incapace di fare qualcosa del genere. Non sono sicuro che tutti i sostenitori della guerra in Ucraina abbiano notato e apprezzato questo aneddoto diplomatico.
Io, invece, in attesa della pace – in Ucraina, ma anche in Nagorno-Karabakh – non posso fare a meno di esprimere la speranza che insieme al problema territoriale Pashinyan riesca a liberarsi da una parte sensibile della dipendenza dallo Stato russo, almeno nel campo della sicurezza. Non so se ci contava (o ci sperava), ma ha una piccola possibilità di prendere due piccioni con una fava.
E i residenti del Cremlino potrebbero perdere ancora un po’ di influenza, il che è sempre una cosa buona.
Il canale televisivo russo di propaganda statale Russia Today (noto ad alcuni di voi anche con il nome RT) afferma che l’esercito russo avrebbe deliberatamente lasciato entrare i sabotatori ucraini nel distretto russo di Hrayvoron per circondarli e distruggerli.
Potete facilmente immaginare anche voi che si tratta di un piano geniale e potenzialmente universale. Per esempio: si potrebbe suggerire all’esercito russo di continuare su tale strada e di ritirarsi dunque dalla Crimea e dal Donbass per attirare in quelle regioni gli ucraini creduloni e farli dunque in una trappola pericolosa! (avendo visto i «successi» dell’esercito russo degli ultimi sedici mesi, possiamo intuire la pericolosità strategica di una trappola del genere)
Boh, prima o poi potranno inventare una scusa del genere anche da soli…
La lettura consigliata per questo sabato è l’inchiesta congiunta di Important Stories, Der Spiegel e OCCRP dedicata al modo in cui la Russia aggira le sanzioni occidentali acquistando ogni mese droni e microelettronica per milioni di dollari attraverso il Kazakistan.
Per esempio, gli autori dell’inchiesta hanno scoperto che le importazioni di microelettronica del Kazakistan sono più che raddoppiate dopo l’inizio della guerra, passando da 35 a 75 milioni di dollari. Le esportazioni kazake di microchip verso la Russia sono aumentate di due ordini di grandezza in un colpo solo, da 245.000 dollari a 18 milioni di dollari…
Ma leggete tutta l’inchiesta: riguarda tanti aspetti dell’import militare russo effettuato attraverso il Kazakistan.
Leggo che solo in Finlandia 1109 cittadini russi hanno chiesto asilo per paura di essere arruolati nell’esercito russo ed essere mandati alla guerra in Ucraina. Il Servizio Immigrazione finlandese ha dichiarato al media Yle che le autorità non possono concedere loro lo status di rifugiato senza una posizione dell’UE sulla questione.
Purtroppo, tale notizia è un nuovo motivo per ricordare quanto sia stupida la politica europea di oggi nei confronti dei comuni cittadini russi. In sostanza, viene ripetuto lo stesso errore che era già stato commesso ai tempi del Terzo Reich, quando i comuni tedeschi in disaccordo con la politica del proprio regime erano spesso di fatto costretti rimanere in (o tornare in) Germania a causa dell’impossibilità di stabilizzarsi — con le condizioni di vita normali — in altri Stati europei. I russi di oggi, come i tedeschi di 80+ anni fa, sono spesso costretti a tornare «da Putin» solo per avere una casa, una assistenza medica, una possibilità di lavorare etc. etc. Ma tornando contribuiscono, anche involontariamente, al prolungamento della sopravvivenza della economia di guerra russa. Mentre i politici europei, ottenendo la vittoria facile contro un nemico immaginario, contribuiscono alla continuazione della guerra. E dimostrano di non conoscere la propria storia.
Posso capire una politica del genere da parte della Ucraina: in essa c’è una forte componente emotiva e la paura delle infiltrazioni pericolose. La politica europea in materia, invece, è per nulla razionale: possono essere inventati diversi strumenti per il controllo della «qualità», del grado di rapporto con lo Stato russo e della posizione sulla guerra delle persone in ingresso.
Ma non so proprio in quale modo diplomatico (in tutti i sensi del termine) spiegarlo ai vertici europei…
Il Ministero della «Difesa» russo ha dichiarato, sul proprio canale Telegram, che una stazione radar e cinque lanciatori del sistema di difesa aerea statunitense Patriot sono stati completamente distrutti durante un attacco a Kiev nella notte del 16 maggio. La CNN, invece, ha citato delle fonti secondo le quali il sistema Patriot ha subito danni minimi nell’attacco russo e continua a funzionare.
Indipendentemente da quale sia l’affermazione più vicina alla realtà, vorrei mettere in evidenza la portata dell’evento discusso: dopo quasi quindici mesi di guerra l’esercito russo cerca di difendere un grande risultato quale il danneggiamento di un Patriot.
Naturalmente, da parte mia non è assolutamente una lamentela. Anzi.