L’archivio della rubrica «Nel mondo»

L’aggressione a Leonid Volkov

La sera di ieri, il 12 marzo, Leonid Volkov – uno dei principali collaboratori di Alexey Navalny – è stato aggredito a martellate vicino alla sua abitazione a Vilnius.
Tra parentesi: (alcuni media occidentali definiscono Volkov il collaboratore principale di Navalny. Ebbene, i giornalisti di quei media non sono molto aggiornati: lo era fino ad almeno cinque o sei anni fa. Ma non importa: questo fatto non rende l’aggressione un fatto meno grave).
Il fatto interessante è che in una intervista rilasciata poche ore prima Leonid Volkov, rispondendo alla domanda su quali siano i rischi principali che vede ora per la squadra di Navalny, ha detto: «Il rischio principale ora è che saremo tutti uccisi. Beh, è una cosa abbastanza ovvia».
Lo capisce lui, lo capiscono gli altri, lo dovrebbero capire anche le autorità di diversi Stati…


Gli amanti greci del rischio

Il quotidiano greco Proto Thema scrive che il corteo di Vladimir Zelensky sarebbe finito sotto tiro (russo) a Odessa, dove il presidente era giunto per incontrare il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. Secondo il giornale, le truppe russe hanno lanciato un attacco missilistico su Odessa intorno alle 11:43 ora locale del 6 marzo, poco prima dell’incontro tra Zelensky e Mitsotakis. L’esplosione è avvenuta a 150 metri dal luogo in cui si trovava la delegazione greca, anche il corteo di Zelensky si trovava in quella zona. Nessuno dei partecipanti all’incontro sarebbe rimasto ferito; dopo la fine dell’incontro la delegazione greca ha visitato alcuni luoghi della città.
Lo scrivo perché l’incontro ha avuto una caratteristica particolare: non solo non è stato annunciato in anticipo (è normale: succede ogni volta che qualche politico occidentale viene in Ucraina), ma non è stato nemmeno pubblicizzato poco prima dell’inizio o mentre era già in corso. Dalle visite precedenti dei grandi leader occidentali abbiamo imparato che proprio l’annuncio anticipato – pubblico o trasmesso solo al Cremlino – ha garantito la sicurezza di quei leader: l’esercito russo ha sempre avuto paura di ucciderli o ferirli provocando chissà quale risposta «simmetrica». Di conseguenza, potremmo supporre che l’annuncio sia una specie della garanzia della sicurezza fisica.
Questa volta, invece, non si capisce se sia trattato di una tipica spensieratezza greca o della presunzione che Putin non si ferma più davanti a niente. Entrambe le opzioni mi sembrano molto interessanti.


Le vere indagini

L’altro ieri 43 Stati hanno chiesto alla Russia di condurre un’indagine internazionale indipendente sulla morte di Alexei Navalny. La richiesta è stata pronunciata, a nome di quegli Stati, dalla ambasciatrice dell’UE presso le Nazioni Unite Lotte Knudsen.
In questo momento non ho voglia di indagare se si tratti di una manifestazione collettiva di pura stupidità (ingenuità?) o di una battuta di scarsa qualità fatta in un momento sbagliato (che sarebbe sempre la manifestazione di una intelligenza limitata). Mi limito a dire che io non avrei mai sprecato il tempo della mia unica vita per chiedere le indagini all’unico responsabile del crimine in questione.
Vorrei invece ricordare ai lettori che l’indagine internazionale è già in corso. È stata avviata – senza alcuna richiesta da parte degli Stati o Organizzazioni internazionali – dal noto a molti di voi progetto Billincat. I suoi autori riconoscono la difficoltà estrema della missione, ma, allo stesso tempo, sottolineano che le loro indagini saranno anche in un certo senso facilitate dalle caratteristiche particolari del luogo del delitto. Infatti, la zona del carcere dove è stato ucciso Navalny è molto isolata e poco popolata: proprio per questo qualsiasi raro evento (o anomalia) viene notato dalla popolazione e poi rimane nella memoria senza essere «coperto» da altri numerosi ricordi cronologicamente successivi. Di conseguenza, è tecnicamente possibile avviare da subito un buon ritmo delle indagini.
Sono sicuro che i risultati arriveranno. Ora anche voi sapete da quale fonte aspettarli.


Lo humor di guerra

Questa volta il discorso annuale di Putin davanti alle Camere riunite del «Parlamento» russo (tenutosi ieri) ha avuto solo un aspetto che può essere definito interessante e sorprendente: non è stato dedicato interamente alla guerra e alle minacce all’Occidente. Questa volta ha parlato anche della Russia, quindi dello Stato le cui problematiche interne reali non lo hanno mai interessato in un modo particolare. Ha raccontato che la Russia che «si trova dalla parte del bene» (non è una citazione, ma il senso generale di una parte del discorso) sta crescendo e crescerà ancora di più, lo Stato russo aiuterà a tutti perché per esso l’importanza della vita è fondamentale (posso ridere?), gli «eroi» della «operazione militare speciale» dovrebbero raggiungere i vertici direzionali del Paese… Ah, e poi Putin pensa — non sappiamo ancora quanto ragionevolmente — di poter fare dei piani almeno fino al 2030. Insomma, oltre al semplice fatto di una certa varietà degli argomenti, nulla merita lo spreco del tempo per i commenti.
Di conseguenza, non vorrei che dietro a questo evento abbastanza noioso vengano perse le poche e rare cose relativamente interessanti.
Spostiamoci alla città ucraina di Orekhiv: si trova a circa 60 chilometri a sud-est di Zaporizhzhya e a meno di 40 chilometri dalla città di Tokmak occupata dall’esercito russo. Secondo l’amministrazione militare ucraina regionale, Orekhiv è distrutta al 95%. I combattimenti attivi per Orekhov hanno avuto luogo nella primavera del 2022, poi l’esercito ucraino è riuscito a difendere la città, rendendola un importante centro logistico a 10 chilometri dalla linea del fronte. Nel febbraio 2024 le forze armate ucraine hanno affermato che le truppe russe avevano accumulato riserve nell’area di Orekhiv e si stavano preparando per un’offensiva sulla città…
Ma nei giorni scorsi sulla bacheca dedicata ai sospetti ricercati dal Servizio di sicurezza dell’Ucraina sono comparsi due nuovi avvisi. Uno di questi avvisi «wanted» riporta la descrizione di Vladimir Putin, mentre il secondo riporta la descrizione del governatore di nomina russa dei territori occupati della regione di Zaporizhzhya, Yevhen Balitsky:

Mi piace il fatto che i militari ucraini abbiano mantenuto, dopo oltre due anni di guerra, una certa capacità di scherzare: è una buona fonte di speranza per la vittoria…


Ieri il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha tenuto una conferenza stampa sui risultati di due anni di guerra e per la prima volta ha pronunciato il numero delle perdite ucraine (degli uccisi) sul fronte: 31 mila. In questo momento non ha senso cercare di interpretare quella dichiarazione o tentare di capire quanto sia precisa: finché la guerra è in corso, non possiamo sperare di avere da Zelensky i dati statistici precisi al posto della propaganda difensiva (ed è normale).
La cosa che mi incuriosito di più di tutta la conferenza è invece il fatto che Zelensky continui a non capire – o fare finta di non capire – la realtà quotidiana che vige sul territorio dello Stato-nemico. Dice che i cittadini russi non protestano contro l’uccisione dell’oppositore principale di Putin, che i cittadini russi andranno alle «elezioni» di Putin a marzo e che si conosce già il risultato di quelle «elezioni». Come se non avesse ancora capito – negli ultimi 25 anni o almeno durante i due anni della guerra – che non tutti i russi sognano di essere picchiati ed essere mandati per qualche anno in carcere, che in ogni Stato esiste una porzione degli ignoranti indifferenti a tutto, che l’affluenza alle «elezioni» russe è in un continuo calo e che i risultati ufficiali di quelle «elezioni» non dipendono in alcun modo da quello che i votanti fanno con le proprie schede elettorali.
Capisco che Zelensky si sente stanco, arrabbiato (anche più di arrabbiato) e sempre più solo. Ma nella politica continua a scegliere i nemici sbagliati. A volte include nell’insieme dei propri nemici anche dei vasti gruppi delle persone che in realtà fanno il possibile di sostenerlo nonostante tutti i pericoli derivanti dal governo del proprio Stato.


Tutti gli eventi degli ultimi giorni non possono farmi dimenticare della triste data odierna: sono due anni esatti che l’esercito putiniano continua a uccidere e distruggere, tutti i giorni e con una intensità particolare, in Ucraina. Aveva iniziato a farlo nel 2014 in Crimea e in una parte del sud-est «continentale» (infatti, gli ucraini si sentono in guerra proprio da allora), mentre il 24 febbraio 2022 abbiamo visto che il suo ritmo preferito sta appena iniziando.
Tra i cittadini russi ci sono quelli che manifestano apertamente la propria contrarietà: nonostante l’impossibilità di influire sull’operato di Putin e la comprensione (per coloro che si trovano in Russia) di tutti i pericoli legati a tale posizione.
Tra gli Stati occidentali ci sono quelli che hanno imposto delle sanzioni contro lo Stato russo, senza però inventare qualcosa di realmente sensibile e/o insuperabile. Gli stessi Stati aiutano militarmente l’Ucraina, ma con una lentezza e con un minimalismo che spesso mi restano incomprensibili.
Tra le aziende occidentali ci sono quelle che hanno sospeso le proprie attività in Russia per dei motivi reputazionali. Alcune altre (o, in parte, le stesse) aziende hanno interrotto i propri rapporti commerciali con lo Stato russo: a volte per non essere colpite dalle sanzioni occidentali, a volte per gli stessi motivi reputazionali.
E poi ci sono delle aziende occidentali che continuano a vendere in Russia e allo Stato russo, contribuendo, nel loro piccolo, alla continuazione della guerra. Proprio nel secondo anniversario dell’inizio della grande guerra in Ucraina volevo segnalarvi un articolo dedicato a uno di quegli fenomeni: l’indagine sulla Beretta che continua a importare i propri prodotti – in migliaia di esemplari – in Russia nonostante il divieto in vigore dal 2014.
Molto probabilmente vi è capitato di leggerne qualcosa, ma ci sono delle cose che meritano di essere ricordate.


Anche sul territorio europeo

Pare che l’uomo ucciso la notte tra il 19 e il 20 febbraio in Spagna sia realmente il pilota russo Maxim Kuzminov: quello che lo scorso agosto aveva disertato attraversando appositamente il confine russo-ucraino e si era arreso all’esercito ucraino insieme all’elicottero Mi-8 che pilotava (formalmente va utilizzato il verbo «disertare», anche se in questo specifico caso non mi piace tanto). Inizialmente, la notizia della uccisione è stata diffusa da alcuni media-spazzatura (quelli di propaganda statale russa che si fingono europei), ma poi è stata confermata dai media locali più seri.

Ecco, ora non mi va di ridere della spiccata intelligenza alternativa che Kuzminov ha deciso di mostrarci andando in Spagna (uno degli stati europei più pieni di russi di varia «qualità») e invitando la propria ex fidanzata russa a visitarlo (ovviamente, facendolo da solo e con chissà quale mezzo digitale). Non è bello commentare in un momento del genere gli errori delle brave persone morte. Vorrei sottolineare solo che il momento della uccisione di Maxim Kuzminov è capitato nel momento storico più «adatto» di sempre. Gli europei minimamente portati alla visione globale degli eventi potrebbero logicamente giungere alla conclusione: gli agenti di Putin uccidono non solo sul territorio russo o ucraino.
Spero che questa osservazione – assolutamente non nuova – spinga qualcuno a prendere qualche decisione giusta.


Le “trattative” possibili

La Bloomberg (e non solo) scrive che Donald Trump, se dovesse vincere le elezioni presidenziali del novembre 2024 (secondo me, purtroppo, le vincerà), sta pensando di fare pressione sulla Russia e sull’Ucraina per costringere le parti a tornare ai colloqui di pace. Pure diversi politici e funzionari europei iniziano, periodicamente, parlare della «necessità di trattative».
A questo punto devo ricordare che le trattative riguardanti la guerra in Ucraina sono tecnicamente possibili solo su due argomenti:
1) entro quali termini temporali la Russia si ritira dal territorio ucraino e rimborsa tutti i danni materiali causati dalla guerra;
2) a costo di quali territori l’Ucraina si arrende alla Russia.
Su quali altri argomenti si potrebbe trattare? Il mio cervello difettoso non riesce a immaginarli.
La prima delle opzioni che ho elencato con una probabilità maggiore comporta la fine politica di Putin (o perché rimane senza le risorse per un po’ di tempo, o perché l’Occidente «chiede la sua testa» in cambio delle punizioni meno severe).
La seconda opzione con una certezza quasi assoluta comporta la ripresa della guerra dopo un periodo di tempo imprecisato, ma nemmeno tanto breve (anche perché il motivo reale della guerra attuale non è una pretesa territoriale di Putin).
Io non leggo i pensieri di Donald Trump (e di certi politici europei), ma penso di sapere quale dei due tipi di trattative intende.


L’arresto costoso

La Bloomberg scrive, con riferimento ai documenti giudiziari depositati presso il Tribunale distrettuale di Manhattan, che il Dipartimento di Giustizia degli USA ha chiesto al tribunale l’autorizzazione a vendere il superyacht «Amadea», che apparterrebbe al senatore e miliardario russo Suleiman Kerimov. Lo yacht in questione è di 106 metri, ha il valore di 325 milioni di dollari ed è stato arrestato alle Fiji su richiesta degli USA nell’aprile del 2022 in seguito alle sanzioni imposte alla Russia dopo l’inizio della grande guerra in Ucraina. Le autorità statunitensi affermano di pagare 600.000 dollari al mese per la manutenzione dello yacht: questo importo comprende 360.000 dollari per pagare l’equipaggio, 75.000 dollari per il carburante dello yacht (presumo che nel caso di uno yacht fermo serva solo per la generazione della corrente elettrica) e 165.000 dollari per la manutenzione, il ritiro della spazzatura e altre spese.
Le autorità statunitensi sostengono, abbastanza logicamente, che le suddette spese dovrebbero essere sostenute da chi si dichiara il reale proprietario del bene arrestato (un altro personaggio russo sottoposto alle sanzioni). Mentre io posso suggerire una alternativa: può rivelarsi utile anche negli Stati europei, dove si trovano tanti altri beni russi arrestati. È vero che la responsabilità penale è personale, ma nel caso dei personaggi (e, spesso, enti) russi ritenuti responsabili della guerra in Ucraina si tratta evidentemente di una associazione a delinquere accumunata dello stesso crimine. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare un utilizzo utile e comprensibile (e tanto discusso da un po’ di tempo in Europa) degli utili generati dalle risorse finanziarie russe congelate. Legalmente sarà non meno facile del destinarle alla Ucraina o del trasformarle nell’utile di uno Stato occidentale, ma almeno permetterà evitare i costi della propria politica nei confronti del regime putiniano (ora non mi metto ad analizzare ancora una volta quanto sia efficace quella politica).
Sono proprio curioso di scoprire se qualcuno dimostri la stessa mia fantasia…


Alexander Stubb sulla guerra

Le elezioni presidenziali finlandesi sono state vinte – con il 51,6% dei voti – dall’ex premier Alexander Stubb. La figura del Presidente non è di importanza primaria tra le Istituzioni finlandesi, ma si tratta comunque di una personalità dello Stato importante.
Di conseguenza, sono stato contento di leggere alcune prime dichiarazioni del presidente eletto di un nuovo Stato-membro della NATO sulle questioni internazionali attuali. Per esempio, ha detto di non vedere una possibilità del «dialogo politico» con Putin mentre continua la guerra in Ucraina: «Tutti vogliamo trovare una via per la pace, ma mi sembra che al momento questa via passi solo attraverso il campo di battaglia».
I politici europei capaci di valutare realisticamente la situazione corrente sono, purtroppo, pochissimi (ma più di quelli capaci di prendere anche delle decisioni sensate), dunque non posso non esprimere la mia gioia di fronte alla comparsa di qualche nuovo (almeno per me) personaggio.
Anche se devo riconoscere che, a causa della vicinanza geografica alla Russia e ai tristi precedenti storici, i politici finlandesi sono molto più portati alla realisticità rispetto a un europeo medio.