L’archivio della rubrica «Nel mondo»

2 a 1

Mi ricordo ancora una lezione del corso di relazioni internazionali (Facoltà di Scienze politiche, Università Statale di Milano), svoltasi a metà febbraio del 2006.

Il professore A. C. entra in aula e dice: «Ragazzi, oggi non ho voglia di spiegare la teoria. Quindi fatemi delle domande sulla attualità».

A questo punto lo studente D. K. alza la mano e chiede: «Professore, cosa ne pensa della situazione in Kirghizistan?»

Al che il professore A. C. risponde: «Guardi, piuttosto parliamo della Champions League…»

Nel 2006 quello stato soffriva ancora il caos politico iniziato con la «rivoluzione dei tulpani» della primavera del 2005. Oggi, più di dieci anni dopo, Kirghizistan ci ha finalmente fornito un altro motivo per parlare della sua misera esistenza nelle steppe sfigate.

Il Ministero della cultura del Kirghizistan ha indetto un concorso per la migliore opera musicale sulla ribellione kirghiza contro l’Impero Russo del 1916. Quell’anno l’imperatore Nikolai II decise di mobilitare i maschi di età tra i 19 e i 43 anni del Kirghizistan per lo svolgimento dei lavori manuali sulla linea del fronte della Prima guerra mondiale. Trattandosi di una pretesa senza precedenti, i kirghizi (sudditi dell’Impero Russo praticamente privi di obblighi avanti allo Stato) decisero di ribellarsi: uccisero circa venti mila russi (non solo maschi e/o militari) residenti sul loro territorio, ma non seppero organizzare una lotta armata vera contro l’esercito professionale.

Insomma, non so chi abbia fatto la stronzata più grossa: l’imperatore (la sua idea di far lavorare i nomadi fu difficilmente realizzabile almeno dal punto di vista organizzativo) o i ribelli (vidi la loro reazione).

Ora il conto è stato portato al 2:1.


Non sottovalutate i poliziotti

Come avrete già letto o sentito, domenica all’aeroporto a Minsk i Red Hot Chili Peppers sono stati «scambiati» per i Metallica dai poliziotti bielorussi. Questi ultimi hanno portato il gruppo nel proprio ufficio dove hanno chiesto di firmare dei cd, foto e poster dei Metallica.

La mia spiegazione è semplice come 0 + 0. I poliziotti bielorussi, come quasi tutti i loro colleghi dell’ex-URSS sono degli ottimi imprenditori. Sanno che la foto di un personaggio famoso firmata da un personaggio famoso vale più della carta sulla quale è stampata. Se i personaggi raffigurati e firmatari sono diversi, si potrebbe tentare di fare la somma dei valori.

Ah, in ogni caso l’attitudine alla imprenditorialità non corrisponde necessariamente a un alto livello intellettuale del soggetto.


Brexit accademico

Era troppo prevedibile: gli studenti universitari hanno già iniziato a chiedere di poter scrivere la tesi di laurea sugli effetti del Brexit. Non ridevo tanto dalla primavera del 2006, quando un mio conoscente (ora assessore milanese di fatto al secondo mandato) scrisse la tesi sulla «rivoluzione arancione» ucraina basandosi su una buona quantità di libri belli voluminosi.

Ma che cazzo di tesi volete fare se non si sa ancora se, quando, come e per quanto tempo avverrà il vero Brexit? E, soprattutto, quali effetti volete analizzare se:

a) alla vera uscita della Gran Bretagna dall’UE mancano minimo due anni;

b) la Gran Bretagna è stata un membro dell’UE a regime molto ridotto; e

c) dato che dovrà necessariamente trattarsi delle vostre fantasie, perché avete aspettato proprio questo momento storico per scegliere un argomento del genere?

Ricordatevi che la maggior parte degli effetti a cui assistiamo in questi giorni sono più di carattere politico ed economico. Consiglierei di aspettare la riscrittura dei 177 accordi commerciali tra la Gran Bretagna e l’UE: il vero show giuridico e diplomatico sarà proprio lì. Sarà, secondo le mie previsioni, una delle migliori illustrazioni della frase più citata de «Il Gattopardo».

P.S.: a settembre spero di sapere la quantità precisa dei progetti di ricerca in materia del brexit presentati per le scuole di dottorato.


Due piccoli aspetti del Brexit

1.
Puoi essere la persona più speciale del mondo, ma se compri casa in paesino sfigato di provincia inutile, la gente del posto ti chiama «forestiero». Allo stesso modo, se sei svizzero, giapponese, singaporiano o statunitense, nell’UE (che è sempre più una provincia del mondo che si aggrappa al proprio passato) sei considerato un «extracomunitario».

(Il complesso del provinciale si nasconde pure nella divertente espressione italiana «il resto del mondo».)

2.
Mi sono reso conto, con tanto piacere, che grazie al brexit la mia collezione delle euro-monete è cresciuta notevolmente di valore in una sola notte.

P.S. Su Facebook a volte si trovano delle cose geniali:


La Terra di Tim Peake

Il sabato 18 giugno l’astronauta britannico Timothy Peake è tornato, dopo sei mesi, sulla Terra dalla ISS.

Durante la propria permanenza nello Spazio ha scattato un sacco di foto fighissime del nostro pianeta.

Potete vederle nell’account Flickr di Tim: flickr.com/photos/timpeake/


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Brexit

Lo sapete già: il 48,1% ha detto di voler restare, mentre il 51,9% ha detto di voler tornare libero.

A differenza di molti non vedo una grossa tragedia nell’abbandono dell’UE o addirittura nella disgregazione di quest’ultima. Infatti, ogni Stato, se diretto da persone professionalmente adatte, è capace di produrre in proprio la burocrazia idiota o, al contrario, le regole vantaggiose per le aziende e persone straniere. Anzi, al di fuori da una organizzazione interstatale altamente regolamentata ci sono più possibilità di offrire qualcosa di veramente interessante al mercato globale e concorrenziale. Insomma, non è detto che l’Inghilterra debba per forza cadere in una crisi permanente: dipende tutto da come sfrutta la propria libertà nei prossimi anni.

Quanto ho appena scritto può essere collocato nella categoria dei vantaggi a lungo termine. Tra gli effetti a breve termine, però, gli elettori inglesi hanno già raggiunto i seguenti:

1) L’imminente trasferimento del centro finanziario dell’UE in Germania;

2) Il rafforzamento del peso politico nell’UE della Germania e della Francia (si spartiscono la parte inglese);

3) Il rischio di vedere una sequenza di referendum sul modello di quello scozzese, ma con i risultati opposti a quello del 2014;

4) L’indebolimento della moneta nazionale (ma questo può anche essere, se dura nel tempo, un vantaggio per l’economia).

Ora facciamoci una scorta di pop corn e mettiamoci a osservare. L’esperienza inglese può tornare utile a tutti.


Bremain

L’ultimo sondaggio prima del referendum sul «brexit» parlava del 43% dei rispondenti favorevoli alla uscita, 41% contrari e 16% indecisi.

Tentare di fare le previsioni sui risultati elettorali del referendum di oggi è inutile per almeno due motivi. Prima di tutto, ricordiamoci di due epic fail di massa: le previsioni sulla indipendenza della Scozia nel 2014 e sulle elezioni politiche britanniche del 2015.

In secondo luogo, come ci suggeriscono gli esperti del «Captain Obvious OJSC», alla pubblicazione dei risultati mancano ormai poche decine di ore.


35% ucraino

Stamattina la Verchovna Rada («Consiglio Supremo», l’unica camera del Parlamento ucraino) ha approvato una legge sulla lingua delle canzoni trasmesse alla radio e TV. Su 343 deputati presenti, 268 hanno votato a favore di un testo in base al quale le canzoni in lingua ucraina devono avere almeno il 35% del tempo dedicato da parte delle emittenti alla musica. La quota deve essere rispettata sia nell’arco della intera giornata che nelle fasce orarie dalle 7:00 alle 14:00 e dalle 15:00 alle 22:00.

A prima vista l’approvazione di una legge del genere è una pura e semplice stronzata di stampo nazionalista. Una persona normale non cambia i gusti musicali per adeguarsi a una legge dello Stato: piuttosto cambia il modo di trovare e ascoltare la musica. (Lo stesso vale, per esempio, per il cinema. Di conseguenza, non è corretto condannare la cosiddetta pirateria la quale è, in una certa misura, uno strumento di difesa contro la stupidità del legislatore e l’incapacità degli autori.)

L’aspetto della nuova legge poco evidente agli occidentali è però un altro. Una percentuale prossima al 100% degli ucraini parla il russo. Il grado di conoscenza varia in base alla età e alla regione di provenienza, ma quasi tutti gli ucraini sono in grado di leggere, scrivere, parlare e comprendere la lingua russa (non parlo del 100% degli ucraini solo per l’abitudine di evitare delle generalizzazioni gratuite). Inoltre, una ampia maggioranza degli ucraini utilizza la lingua russa nella vita quotidiana. Quindi una parte considerevole delle canzoni trasmesse dalle radio ucraine proviene dalla Russia.

Negli ultimi due anni e mezzo lo Stato russo ha fatto, da parte sua, tutto il possibile per far allontanare i comuni cittadini ucraini da ogni cosa che in qualche modo rappresenti la Russia. Lo Stato ucraino, naturalmente, non poteva seguire l’esempio.


E’ un pianeta difficile

Se un marziano, di passaggio sulla Terra in questi giorni, avesse letto certi testi pubblicati su internet, sarebbe giunto a delle conclusioni piuttosto curiose. Per esempio, avrebbe pensato che con il termine omofobo sulla Terra si intenda un gay che ha sparato 103 altri gay.

Nelle occasioni delle visite precedenti il nostro amico extraterrestre ha già appreso che per una parte considerevole degli abitanti della Terra l’omosessualità sarebbe una caratteristica sufficiente per descrivere un essere umano (non importa se in modo negativo o positivo).

P.S.: ovviamente quella sulla sparatoria di Orlando non è tra le notizie che mi riempiono di gioia.


Il futuro dei taxisti

Come probabilmente avete già letto o sentito ieri, il tribunale di primo grado parigino ha multato la filiale francese di Uber per il lancio dell’app UberPOP (vietata in Francia già da luglio 2015). L’app permette agli automobilisti privati di svolgere l’attività di trasporto di persone senza una licenza da tassista. Quindi l’Uber è stata multata con 800 mila euro, mentre due suoi dirigenti con 30 e 20 mila euro. E’ già stato annunciato il ricorso.

Ricordiamoci che in Francia, ancor più che in Italia, la lotta della lobby dei taxisti conntro il progresso assume varie forme: proteste di strada più o meno violente, legislazione pro-monopolio etc. La causa principale di tale comportamento è evidentemente i prezzi delle licenze che superano i 150 mila euro (in Italia possono arrivare a 200 mila euro). Questi soldi sono sempre stati considerati dai taxisti degli investimenti a lungo termine, da recuperare al termine/cambio della propria attività lavorativa. L’avanzare dell’Uber, a sua volta, comporta il deprezzamento di tale investimento (nessuno ti compra quel pezzo di carta se può lavorare liberamente con l’Uber) e l’azzeramento delle speranze per una vecchiaia tranquilla.

Di conseguenza, i tassisti francesi (ma pure quelli italiani), sono disposti a lottare contro la demonopolizzazione del proprio settore con tutti i mezzi disponibili.

Il loro problema sta nel fatto che inevitabilmente perderanno la lotta. Ciò succederà per due motivi. Il motivo minore è lo stesso della popolarità dell’Uber e altri servizi simili in Europa: i cittadini lo scelgono sono in tanti, in maggioranza rispetto ai taxisti. Il primo politico, nazionale o locale, che si accorgerà della ampiezza diseguale dei due gruppi, logicamente punterà a difendere gli interessi di quello più numeroso.

Il motivo principale della imminente sconfitta dei taxisti-monopolisti sta invece nell’avvicinarsi della epoca delle automobili senza i conducenti: considerati i recenti successi nella loro sperimentazione, possiamo vederle circolare per le vie delle città già tra pochi anni. Il peso dei taxisti tradizionali nel sistema del trasporto delle persone, a quel punto, sarà più o meno lo stesso dei gondolieri veneziani.

Non penso che qualche Stato arrivi al punto di vietare qualsiasi manifestazione del progresso tecnico o sociale al solo fine di tutelare i soldi dei taxisti. Oppure ne conoscete uno?