Domenica nel cantone svizzero San Gallo si è svolto un referendum sul divieto di «dissimulare o nascondere il proprio viso» nei luoghi pubblici: il 67% dei votanti si è espresso a favore.
Io, di fronte a tale notizia, provo dei sentimenti un po’ contradditori. Da una parte, sono a favore del burqa estivo obbligatorio per tutte le donne (sì, proprio per quelle donne che escono di casa quasi nude, distraggono gli uomini e spesso danno pure dei maniaci a questi ultimi). Dall’altra parte, conosco l’opinione di molte donne musulmane su questo capo di abbigliamento: «ci permette di non sentirci osservate dagli uomini».
A quali conclusioni posso giungere in base a questi due elementi? Prima di tutto, posso constatare che tutte le donne vedono il mondo circostante popolato dei maniaci sessuali, ma almeno quelle musulmane comprendono la necessità di non provocare. In secondo luogo, deduco che la maggioranza raggiunta al referendum svizzero sia composta dai voti degli uomini (stanchi dalle accuse infondate) e delle donne di scarsa responsabilità civica.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Vi sarà sicuramente capitato di leggere delle grosse perdite subite dalla collezione del Museo nazionale del Brasile nel grave incendio scoppiato la notte tra il 2 e il 3 settembre.
Il danno è grave, ma almeno può essere da lezione a tutti noi. E, soprattutto, deve essere un chiaro avvertimento a tutti i colleghi dei sfortunati dipendenti museali brasiliani: bisogna digitalizzare tutto. Bisogna farlo prima possibile (l’incendio arriva esattamente quando lo ritiene necessario, non quando siamo pronti noi). Tutto ciò che può essere scannerizzato, deve essere scannerizzato. Il resto deve essere fotografato. E il risultato del lavoro deve essere conservato sui server, non necessariamente server di proprietà: chi ha delle conoscenze minime sul funzionamento dell’internet, sa già che da quest’ultimo non sparisce proprio nulla.
In tantissimi musei, archivi e biblioteche mi è capitato di vedere alcuni (sottolineo la parola alcuni) dipendenti, praticanti, stagisti sfiniti per la nullafacenza pluriennale o per le attività di dubbia utilità pratica. Ecco, ora i loro dirigenti – se dotati di una mente analitica – dovrebbero finalmente capire di quali lavori utilissimi caricarli per i prossimi anni.
Per l’anniversario dell’11/9 è stata riaperta – restaurata – la stazione della metropolitana newyorkese che si trova(va) proprio sotto le Twin Towers.
Rileggete bene queste parole semplici: è stata riaperta la stazione.
Qual è la morale di questa notizia? I problemi, anche quelli gravissimi, di una stazione della metropolitana non possono e non devono causare il blocco della intera linea. Purtroppo dubito che i costruttori delle nuove linee della metropolitana milanese siano capaci di comprendere e/o di mettere in pratica tale principio.
Il 95% dei rifiuti di plastica portati dai fiumi finisce negli oceani attraverso questi dieci fiumi:
Fiume Azzurro (Yangtze, in Cina),
Fiume Giallo (Huang He, in Cina),
Fiume delle Perle (Zhujiang, in Cina),
Fiume Nero (Hai He, in Cina),
Mekong (passa per Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam),
Amur (una notevole parte di esso fa da confine tra Russia e Cina),
Indo (passa per Cina, India e Pakistan),
Gange (passa per India e Bangladesh),
Nilo (passa per Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda, Sudan del Sud, Sudan ed Egitto),
Niger (passa per Guinea, Mali, Niger, Benin e Nigeria).
È interessante osservare che il Fiume Azzurro trasporta tanti rifiuti plastici quanti gli altri nove fiumi messi insieme.
E mi sa che molte delle campagne di sensibilizzazione organizzate dagli ecologisti in Europa sono… ehm, come dire… degli sforzi sprecati. Un po’ come se fossero andati negli asili per spiegare ai bambini che non va bene essere pedofili.
In Minnesota il giudice federale ha respinto il ricorso degli atei che contestavano la presenza della frase «In God We Trust» sulle banconote e monete statunitensi. Secondo i ricorrenti il motto nazionale sarebbe incostituzionale in quanto viola il principio della libertà della fede religiosa. E, purtroppo, non è la prima volta che falliscono nella loro lotta giudiziaria contro quel anacronismo.
Io, da parte mia, spero ancora di fare in tempo a vedere il mondo — almeno quello occidentale — libero da ogni genere di simbologia religiosa negli spazi pubblici. Restino pure le chiese (tanto per me sono solamente degli edifici con un loro valore artistico più o meno alto), ma tutto il resto dovrebbe sparire: i simboli, le immagini, le divise da lavoro dei preti etc. Perché gli umani, essendo dotati della ragione, hanno il compito di comprendere il mondo e non rimanere degli eterni bambini riempiti di favole. Perché ogni religione è una favola, raccontata alla società-bambino per aiutarla a crescere con dei giusti valori e principi nella testolina. Ma nel XXI secolo la (o le?) società occidentale è ormai grandicella per continuare a vivere di favole. Dovrebbe ormai liberarsi delle religioni per non apparire rimbambita.
In questo senso, le mie speranze sono ancora molto legate a quanto succede — o può succedere — negli USA, uno dei più grandi esportatori del progresso degli ultimi decenni (anche se pure la società americana ha delle grandissime stranezze).
Come saprete, teoricamente non è possibile espellere dal territorio di uno Stato le persone apolide. A meno che non si trovi un altro Stato disposto ad accogliere quella persona. Quindi l’espulsione di Jakiw Palij è una rara e giusta occasione di fare i complimenti a Donald Trump per il lavoro diplomatico svolto.
Ed è una buona occasione per constatare che pure Trump, nato e formato negli USA, non è del tutto privo a quei principi di libertà che stanno ostacolando molte delle sue iniziative presidenziali.
Come probabilmente avete già letto, la ministra degli Esteri austriaca Karin Kneissl ha inviato il presidente russo Vladimir Putin al proprio matrimonio (il quale si terrà domani, 18 agosto); Putin ha accettato l’invito (lo stesso giorno deve già incontrarsi con la Merkel).
L’eurodeputato austriaco dei «Verdi» Michel Reimon, infastidito da tali rapporti tra i due politici, ha invitato la ministra a dimettersi.
Ecco, di solito non trovo opportuno commentare le parole e le azioni dei vari «verdi»: il senso di quello che dicono e fanno mi fa semplicemente dubitare della loro salute mentale. La reazione alla prossima visita di Putin, però, è una buona occasione per fare i complimenti a Karin Kneissl. La quale, infatti, ha avuto la forza di utilizzare ai fini lavorativi anche un importante evento personale come il matrimonio. I diplomatici devono cercare e trovare i modi di comunicare (discutere, scambiarsi le opinioni e le idee) con i colleghi e i leader esteri anche nelle situazioni informali. Anche qualora la controparte rappresentasse il più ripugnane dei regimi, è necessario mantenere almeno un debole contatto. Perché nel nostro mondo globale senza un minimo dei contatti non si lavora. Se l’unico modo di incontrare in un ambiente informale Vladimir Putin (il quale, ricordiamo, viaggia pochissimo all’estero) è questo, complimenti a chi ha avuto la professionalità di approfittarsene.
Il riassunto del cosiddetto attentato a Nicolas Maduro:
– Maduro parla
– si sente un suono forte
– Maduro guarda in alto
– le guardie coprono Maduro con degli scudi
– l’esercito scappa (triplo ahahaha)
– I punti precedenti sarebbero le prove video di un attentato
– I punti precedenti sarebbero la prova di un attentato organizzato dai nemici esteri.
Se la crisi è forte e il colpevole è in cima allo Stato, non resta altro che inventare dei nemici in questo modo poco originale.
Fine.
Il progetto russo «L’ultimo indirizzo», avente per l’obiettivo la commemorazione delle vittime delle repressioni politiche (chi non sa di cosa si tratta può rivedere la mia spiegazione), ora si estende anche alla Moldavia.
Oggi, infatti, a Chișinău sono state applicate le prime due targhe. Hanno lo stesso design delle targhe russe e le scritte in due lingue: il russo e il moldavo.
Oltre alle numerose città russe, le targhe de «L’ultimo indirizzo» sono fissate su alcuni palazzi di Kiev e di Praga.
È un tipo di export che mi piace.
Complimenti anche a coloro che hanno preso la decisione sull’import!
Si dice che il presidente dell’Ecuador starebbe discutendo della opportinità di consegnare Julian Assange al Regno Unito.
Considerando che Assange dal 2012 si trova ininterrottamente nella ambasciata ecuadoriana, non penso che sarebbe particolarmente dispiaciuto per una ipotetica consegna. Perché la sua reclusione volontaria non lascia alcuna speranza nella liberazione (soprattutto quella anticipata) e vita normale futura. Io, molto probabilmente, mi sarei consegnato da solo e molto tempo prima.