L’archivio della rubrica «Elettronica»

AirPods testati

Alla fine di dicembre del 2016 erano finalmente stati messi in commercio gli AirPods (e a marzo di quest’anno ne è stata annunciata la seconda generazione). Fin dal momento della loro comparsa sono stato molto scettico nei confronti della loro funzionalità e, inizialmente, non intenzionato a diventarne possessore. Ma poi è intervenuta la vita reale: mi sono stufato di estrarre la polvere dallo slot audio del mio iPhone. Sì, quella polvere che a volte impedisce il corretto funzionamento (o addirittura l’inserimento) del jack degli auricolari «normali».
Insomma, sono diventato un felice possessore degli AirPods e dopo due mesi dei test posso dire: il mio scetticismo era infondato. Quindi ora commento molto brevemente quegli aspetti che vengono più frequentemente criticati o comunque visti come cause di potenziali problemi. Ne ho evidenziati sei, ma non escludo l’eventualità di averne dimenticato qualcuno importante.

1. Gli AirPods sarebbero facili da perdere. Dipende tutto dalla forma delle vostre orecchie: ad alcune persone gli AirPods cadono spesso, mentre altre persone riescono pure a correre o andare in bici senza perderli. A me non sono mai caduti, ma nelle prime settimane la paura è stata abbastanza fastidiosa. Involontariamente, ho pure iniziato a camminare lontano dai tombini per l’acqua piovana.
2. Gli AirPods sarebbero tanto leggeri da far dimenticare di averli nelle orecchie. Boh, a me sin da subito sono sembrati non meno pesanti degli auricolari normali, forse anche un po’ più pesanti. Appositamente per il presente post ho pure eseguito un confronto scientifico (si veda la foto). Secondo me i proprietari si dimenticano di loro a causa dell’assenza del cavo. Viva la spensieratezza!

3. Chi indossa gli AirPods non sentirebbe cosa succede attorno. Un buon livello di ANR è la caratteristica distintiva di tutte le cuffie e auricolari di qualità, quindi è un pregio e non un difetto. In ogni caso, l’arrivo delle auto un po’ si sente comunque, quindi non si rischia la vita. Con o senza gli auricolari, bisogna prestare un minimo di attenzione a ciò che succede attorno.
4. Gli AirPods indurrebbero all’autolesionismo. Questo è vero: quando per qualche motivo al primo «doppio tap» sull’auricolare non segue l’azione attesa (per esempio, non si riesce a rispondere a una telefonata) il possessore inizia a picchiare con una violenza crescente (letteralmente!) il proprio orecchio. Io vi invito alla moderazione.
5. Gli AirPods farebbero venire il mal di testa. Mai notato.
6. Nella scatola-caricatore degli AirPods entra la polvere. È vero. Ma è altrettanto vero che ne entra pochissima (quantità omeopatica) ed essa è facile da togliere, per esempio, con un semplicissimo bastoncino per la pulizia delle orecchie.
Ecco, erano questi i sei punti che volevo illustrarvi. Spero che vi siano utili per decidere sull’eventuale acquisto degli AirPods.
Concludo con l’osservazione fondamentale: la qualità dell’audio è buona (per quanto possa essere buona negli auricolari). Inoltre, gli AirPods, connettendosi via bluetooth, possono essere utilizzati anche con gli smartphone con l’Android e con i computer portatili con il Windows.


Come cadono gli imperi

Ho scoperto un interessante progetto che permette di vedere, su un grafico dinamico, il mutamento della spartizione del mercato dei telefoni mobili dal 1992 al 2017. Senza vederlo non è sempre facile rendersi conto della velocità dei cambiamenti. Appena dieci anni fa c’erano il predominio assoluto della Nokia e della Motorola e l’assenza di fatto della Samsung. Inoltre, la Nokia è passata dall’essere un gigante all’essere un nulla in appena due anni.


Qualche anno fa un mio amico russo aveva lanciato un appello su facebook, chiedendo se qualcuno avesse ancora delle foto (o video) scattate nelle aule universitarie nei primi 2000. Incredibilmente, si è dimenticato quanto erano rari (e scarsi) i telefoni dotati delle fotocamere in quegli anni.


Ma le renne sono meglio

Forse avete già visto il nuovo video della Boston Dynamics: dieci robot «da tiro» della sua produzione trascinano un camion:

Ma io continuo a preferire quei loro prodotti che oltre alla forza hanno anche altre abilità difficilmente immaginabili – fino a qualche anno fa – per i robot. Per esempio, il robot Atlas: Continuare la lettura di questo post »


Le mie scoperte: usb reversibile

Il difetto principale dei connettori USB è la necessità di inserirli con il lato orizzontale corretto. Addirittura, mi è capitato di sentire la battuta sul fatto che un usb si inserisce con successo solo al terzo tentativo.

Ebbene, qualche giorno fa ho scoperto che esistono gli USB reversibili: possono essere inseriti senza controllare il lato dei contatti. In sostanza, i cavi con quel tipo di attacco hanno il piano dei contatti che si sposta nella direzione giusta al momento del contatto con la porta dove si tenta di inserire il cavo.

Dieri che è una invenzione bella e utile. Allo stesso tempo, però, non sono sicuro che abbia senso applicarla anche alle «chiavette»: i contatti mobili potrebbero essere più fragili di quelli tradizionali fissi (nessuno vuole perdere i dati, vero?).


Houston, abbiamo una cimice

Si ritiene che la parola bug nel senso di «errore» sia comparsa nel 1964 quando la sottotenente Grace Murray Hopper trovò, lavorando al computer Harward Mark II, un insetto bruciato tra due contatti in corto circuito. La Hopper incollò l’insetto con lo scotch nel diario tecnico e aggiunse una nota: «Il primo caso reale del ritrovamento di una cimice».

In realtà, però, la parola bug nel senso di «errore tecnico sconosciuto» veniva utilizzata già molto prima della comparsa dei computer da parte degli addetti delle compagnie telegrafiche e telefoniche relativamente ai problemi con le attrezzature elettriche e radiofoniche. Nel 1878 Thomas Edison scrisse:

It has been just so in all of my inventions. The first step is an intuition, and comes with a burst, then difficulties arise – this thing gives out and [it is] then that «Bugs» – as such little faults and difficulties are called – show themselves and months of intense watching, study and labor are requisite before commercial success or failure is certainly reached.

In un’altra lettera di Edison troviamo le seguenti parole:

You were partly correct, I did find a ‘bug’ in my apparatus, but it was not in the telephone proper. It was of the genus ‘callbellum.’ The insect appears to find conditions for its existence in all call apparatus of telephones.


Durante la Seconda guerra mondiale, poi, con la parola bug venivano chiamati i problemi con la elettronica dei radar.


L’aggiornamento epocale

È successo! La Microsoft ha ufficialmente dichiarato che su Windows 10 con l’aggiornamento 1809 sarà possibile estrarre i dispositivi di memoria esterni senza il ricorso alla «rimozione sicura». (In sostanza, si potrà semplicemente tirare fuori le chiavette con la mano senza fare alcuna altra operazione.) Tale possibilità sarà offerta dalla opzione «estrazione veloce» che esclude l’uso del cache nella fase della scrittura dei dati. L’uso di tale opzione, ovviamente, rallenterà la velocità di scrittura sui dispositivi esterni, ma allo stesso tempo escluderà la possibilità di perdere dei dati ancora non trasferiti dal cache al dispositivo qualora quest’ultimo venisse estratto. Naturalmente, si sconsiglia tuttora di estrarre il dispositivo mentre la scrittura è ancora in corso.
La domanda del giorno, però, è la seguente: perché ci hanno messo vent’anni a inventare questa cosa?

P.S.: conosco due grosse categorie di persone: quelli che non usano mai la «rimozione sicura» e quelli che la usano sempre. Il 90% degli appartenenti a ciascuna categoria non sa a cosa serve la suddetta rimozione sicura (ma hanno la possibilità di scoprirlo grazie a questo post). Ebbene, per evitare lo sbattimento della «rimozione sicura» basterebbe aspettare 10–20 secondi dopo la fine della scrittura sulla chiavetta. Dopo tale periodo si può staccare la chiavetta con la mano (anche senza l’attivazione della nuova opzione di Windows 10 e quindi senza far rallentare le chiavette).


La sveglia aumentata

Alcuni giorni fa ho letto di una nuova interessante app gratuita disponibile per iOS e Android. Si chiama Odd Alarm ed è una sveglia che utilizza dei rumori realistici al posto delle solite melodie tipiche alle sveglie da telefono. Infatti, il cervello umano può abituarsi alle melodie, ma difficilmente si abitua ai rumori fastidiosi.

Sono disponibili 20 rumori diversi (solo i primi 3 dei quali sono gratuiti) indubbiamente efficienti, ma quelli migliori stranamente mancano del tutto. Dove sono il trapano, l’aspirapolvere, il tagliaerba e il flauto della bocciata cronica che la mattina della domenica ci fanno ricordare la puttana anonima e tutti i suoi figli la Madonna?

A proposito della Madonna: si potrebbe aggiungere pure le campane delle chiese italiane.
Ma l’app rimane comunque un prodotto interessante e utile.


Gli sconti sbgliati

Non tutti sanno che gli annunci sui vari sconti vanno sempre letti attentamente: le condizioni di vendita potrebbero essere diversi da quelli annunciati dalla scritta grande (quella attira l’attenzione). Per esempio, potrebbe nascondersi un errore a nostro favore.

Sì, capita anche ai negozi grandi.
No, non sono sicuro che non sia una mossa di marketing.


& i più scemi di tutti

Cosa sarà più facile: costringere i produttori dei notebook a mettere le porte usb a una distanza più grande oppure costringere i produttori delle periferiche esterne a fare i «corpi» meno larghi?
Una di queste due cose va per forza fatta. Altrimenti continueranno a crearsi dei seri conflitti di lavoro.


Il controllo delle pile

Tutti i telecomandi hanno un trasmettitore a infrarossi. Su molti modelli dei telecomandi tale trasmettitore è coperto dalla plastica nera e, di conseguenza, la sua «lampadina» non si vede nemmeno.
Se il vostro telecomando non funziona come dovrebbe e volete capire se sia la colpa delle pile scariche o di un guasto, fate una cosa semplice. Prendete il vostro smartphone, aprite la fotocamera, puntate il telecomando verso l’obiettivo e schiacciate qualsiasi tasto. Se, a questo punto, sullo schermo dello smartphone si vede la luce (per esempio, bianca o azzurra) di una lampadina, sappiate che le pile del telecomando hanno ancora la carica. Se invece la luce della lampadina non si vede, le pile sono scariche.

La spiegazione del fenomeno è semplice. Gli smartphone vedono le onde infrarosse, mentre i nostri occhi no.