La sera del 20 agosto vicino al villaggio Bolshiye Vyazemi (vicino a Mosca) è esplosa in corsa una Toyota Land Cruiser Prado. Al volante c’era Daria Dugin, la figlia del noto «filosofo» Aleksander Dughin. È morta sul posto, non si sa ancora precisamente se in seguito alla esplosione o nell’incendio seguitone.
Pare che quella macchina sia formalmente di Dughin e non della figlia. Infatti, entrambi erano di rientro da un evento pubblico e solo al momento della partenza Dughin aveva deciso di viaggiare su un’altra macchina (con alcuni amici, dicono). Qualcuno avrebbe certamente potuto scrivere che è morta una giovane star del nazismo russo, ma in realtà è evidente che l’attentato aveva per l’obbiettivo Aleksander e non Daria (la quale, in tutte le sue esibizioni pubbliche, non faceva altro che riassumere e mixare le parole del padre). Di conseguenza, l’attentato mi sembra molto strano. Infatti, se una bomba non esplode al momento della accensione del motore, significa che è comandata a distanza. In quest’ultimo caso l’auto della vittima doveva essere necessariamente osservata dall’esterno, quindi l’"operatore" avrebbe dovuto accorgersi che sulla macchina c’era solo la figlia di Dugin. Non voleva «sprecare» l’esplosivo ormai piazzato? Ha premuto il tasto per sbaglio o per agitazione? Boh… Insomma, per ora non riesco a capire bene il senso dell’accaduto.
Per ora posso solo ricordarvi che Dughin è uno pseudointellettuale narcisista, nazionalista e nazista, un po’ ridicolo e allo stesso tempo arrogante, incapace di produrre dei contenuti sensati e ben strutturati. Si autodefinisce (e viene definito dalla propaganda russa) un filosofo e in tale qualità viene venduto alla parte meno esigente del pubblico occidentale. In realtà Dughin non ha svolto e non sta svolgendo alcun ruolo in nessun evento o processo politico russi, non ha influenzato e non sta influenzando alcunché di sostanziale e non ha e non ha alcun valore in alcuna decisione o prospettiva politica. Non è il «padre spirituale» di Putin, non ha «messo idee» nella testa di Putin e non è mai stato un «ideologo» di alcuna «politica imperiale». (N.B.: Putin ha la testa piena di altre cose, ma ne parlerò un’altra volta.) Quindi l’eventuale assassinio di Dughin avrebbe potuto essere solo un gesto simbolico capace di spaventare i veri collaboratori rilevanti di Putin. allo stesso tempo, l’attentato avvenuto diventerà sicuramente un pretesto per delle nuove repressioni in Russia: lo diventerà con la scusa della lotta al terrorismo.
P.S.: «Gli ucraini devono essere uccisi, uccisi e uccisi. Non si deve dire altro. Ve lo dico da professore». Indovinate chi lo ha detto.
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