Uno dei fenomeni meno comprensibili che possiamo osservare in questi giorni sulla stampa europea è l’ingenuo entusiasmo legato alle dimissioni del diplomatico russo Boris Bondarev.
Certo, in generale potremmo anche dire che ha fatto bene a manifestare nell’unico modo onesto il proprio disappunto con la politica condotta dallo Stato che si trovava a rappresentare. Ma, allo stesso tempo, non possiamo non notare che:
– ha avuto bisogno di tre mesi di tempo per accorgersi della guerra in corso;
– non si sa bene di cosa si sia occupato in concreto in questi tre mesi e nei precedenti vent’anni di carriera diplomatica;
– non si sa ancora cosa e come farà della sua vita dopo le dimissioni;
– l’unico motivo delle sue dimissioni che conosciamo è quello che risulta dalle sue dichiarazioni pubbliche;
– non si tratta di un caso unico tra tutti i dipendenti pubblici russi, ma nemmeno di una tendenza (si potrà parlare di una tendenza dopo, approssimativamente, alcune centinaia o migliaia di dimissioni avvenute in poco tempo) – per ora si può parlare di diversi casi singoli.
Dopo avere capito tutte queste cose potremmo anche tentare di essere ottimisti e dire che è meglio tardi che mai.
Boris Bondarev
(27 maggio 2022)
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